Lucifer Over London di Antonello Cresti. La scena controculturale inglese tra musica folk e industrial

Articolo di: 
Alberto Balducci
Lucifer Over London, di Antonello Cresti

L’Inghilterra è da sempre nazione prolifica per la musica “popolare”, anche se viene ricordata per lo più per i Beatles, il punk, e al limite la New Wave of British Heavy Metal dei primi ’80. In verità la proverbiale eccentricità albionica ha dispensato una miriade di figure rivoluzionarie e tutt’altro che superficiali in ogni deriva musicale e intellettuale. Nel suo libro, Cresti conduce un’esplorazione circostanziata della scena controculturale che ha dato i natali a progetti come Throbbing Gristle, Current 93, Death In June, Coil… la cosiddetta industrial music e l’apocalyptic folk.

Queste derive culturali non sono funghi bizzarri nati all’improvviso dopo un acquazzone, per poi scomparire subito dopo senza lasciar traccia. Sono bensì piante dalle radici robuste e profonde che affondano nel fertile sottosuolo della cultura britannica e mondiale, abbracciando nelle loro circonvoluzioni tutto il retaggio del passato, e incrociandosi anche tra loro.

Gli artisti che compongono le fila della musica industriale delle origini e del folk apocalittico si conoscono tutti bene tra di loro, si frequentano e si scambiano idee, visioni, esperienze di ogni tipo; instaurano rapporti artistici e sentimentali, vivono insieme, si lasciano e si rimescolano senza sorta.

Questa promiscuità globale è una vera rarità: nel loro modo di procedere non v’è invidia reciproca, perché ciascuna realtà ha le proprie fisime e i propri obiettivi che la differenzia dalle altre: va detto infatti che i mezzi espressivi utilizzati sono molto variegati, a seconda di quali ingredienti della ricetta preponderano sul tutto, e questo consente a ciascun gruppo di mantenere un’alta individualità nella propria proposta.

In tal senso, la forza di questi artisti è la capacità di mettere in ogni lavoro la loro situazione esistenziale del momento, interiore ed esteriore, e al contempo farsi forti di una visione collettiva per spingersi sempre oltre nella propria ricerca.

Il background culturale è infatti comune a tutte le personalità coinvolte. Si origina dalle infinite deviazioni culturali inglesi che da sempre sono esistite: non si può comprendere la genesi della musica industrial/apocalyptic folk senza affrontare personalità come Aleister Crowley, Austin Osman Spare e William Blake, oppure senza contare gruppi come la Incredible String Band o i Black Widow; i Rolling Stones che flirtano con il Kenneth Anger di Lucifer Rising; le albioniche radici pagane e la magia a corte con John Dee nel ‘500…

Questo solo per rimanere in patria, perché non si può in alcun modo dimenticare l’influenza che movimenti artistici come il dadaismo, il futurismo, fluxus, la mail art, ecc, hanno avuto su gruppi come i Throbbing Gristle.

E tutto questo, si badi bene, prima di cominciare ad accostarsi ad una sola delle band propriamente oggetto di questa discussione. È fondamentale infatti comprendere come, nel giro di un decennio e nella stessa struttura sociale, siano potute nascere strade così differenti tra loro come il punk, i Judas Priest, i Venom e l’heavy metal, e l’industrial in coppia con un recupero della tradizione folk.

A tutto questo inquadramento socio-culturale, il libro di Cresti dà ampio spazio, e ciò lo differenzia da altre produzioni similari, che raramente sono così ben contestualizzate.

La musica industrial nacque dunque per un rigetto dello stato sociale del periodo; e se il punk rigettava le strutture sociali dall’esterno, annullandole in sé con un violento nichilismo autodistruttivo, l’industrial le mette in discussione dall’interno, formulandone una rappresentazione estrema ed accurata. Con lo scopo di risvegliare una certa consapevolezza verso la decadenza, utilizza elementi scioccanti che catapultano il fruitore in una serie di sensazioni inusitate.

"It’s the death factory society, hypnotic mechanical grinding, music of hopelessness"

Non a caso lo slogan della prima e più rappresentativa formazione industrial, i Throbbing Gristle, allorché fondarono la propria etichetta discografica, la Industrial Records, era “Industrial Music for Industrial People”, il logo era una foto di Auschwitz, e i dischi erano “rapporti annuali”.

I Throbbing Gristle in sé racchiudono già un coacervo di influenze differenti: la loro musica è utilizzo consapevole del rumore, una sorta di approccio dadaista all’Arte dei Rumori del futurista Luigi Russolo e a Stockhausen, filtrato attraverso l’esperienza psichedelica e la kosmische Musik tedesca. I live show sono oltraggiosi, studiati per scioccare e disorientare lo spettatore, con performance improvvisate, voce gridata e tematiche scabrose.

"Yes, we improvise always on stage" 

L’avventura dei Throbbing Gristle, un raro esempio di coerenza e assenza di compromessi, tutto al servizio della creatività e della ricerca e abbattimento dei limiti, darà origine a innumerevoli epigoni. Ma già durante la loro pur breve esistenza (03/09/1975 – 23/06/1981) riusciranno a creare un network di individui dalla mentalità comune, che mai si scioglierà del tutto.

Così, ciascuno dei 4 membri originari del gruppo, proseguirà la sua avventura altrove: Genesis P-Orridge fonderà gli Psychic TV e una pseudoreligione, il Thee Temple Ov Psychick Youth; Peter Christopherson si unirà a John Balance per formare i Coil; Cosey Fanni Tutti e Chris Carter saranno compagni nella vita e nella musica.

Negli Psychic TV, gruppo votato a scardinare il concetto di “consuetudine”, militerà un giovane David Tibet, che poi guiderà il progetto Current 93, esplorando a fondo le proprie innumerevoli ossessioni artistiche e filosofiche, passando da oscure visioni crowleyane di un’elettronica buia come la notte più fonda, a introspettive digressioni sulla natura divina, riscoprendo così una dimensione puramente cantautoriale, in una sorta di purificazione dell’atto musicale. Tra le sue creazioni si annoverano alcuni dei testi più poetici e appassionati di tutto il songwriting inglese.

Ma qualunque sia la veste, lo sperimentalismo di questi autori non trova mai posa. I Coil, ad esempio, ridefiniranno ad ogni disco il proprio concetto di musica elettronica, espandendo lo spettro d’azione verso reami impalpabili, di una quasi trascendente spiritualità. Lo studio delle possibilità degli strumenti elettronici e di tecniche compositive a dir poco inconsuete, unite a tematiche esoteriche e oniriche, li porteranno ad ottenere risultati di alto livello espressivo: la loro “moon musick”.

"And I ask my lovers, «Do you know / Where the desert roses bloom and grow?»"

E come molte esperienze vissute al limite, anche la carriera dei Coil conosce un brusco arresto il 13 Novembre 2004, quando John Balance muore cadendo dal davanzale della propria abitazione.

"The only thing to fear is fear itself"

In questo intrecciarsi di collaborazioni e filiazioni, nasce lo strano termine “apocalyptic folk”, che inizialmente si applica alle proposte musicali di metà anni ottanta di gruppi come i Death in June, i Sol Invictus e i succitati Current 93.

L’etichetta a ben vedere può essere calzante, alla luce delle considerazioni culturali fatte in precedenza, e il termine “apocalittico”, che riporta alla mente teorie millenariste, scritture esoteriche e visioni catastrofiche da fine del mondo, ben si adatta alla proposta concettuale di questi gruppi musicali.

La componente “folk” quantomeno si biforca, da un recupero più o meno evidente del retaggio della musica tradizionale o del folk elettrico degli anni ’60, a un inneggiare a dimensioni storiche e spirituali ormai ancestrali, nella ricerca di un cuore nascosto dell’antica Gran Bretagna.

È così che le vie di Douglas Pearce, Tony Wakeford (alla guida rispettivamente di Death In June e Sol Invictus) e David Tibet partono all’inizio unite, per poi divergere; ciascuno sempre più annegato nell’individualismo della propria ricerca. Partiti con i Crisis da posizioni politicizzate di estrema sinistra, Pearce e Wakeford si separeranno verso percorsi evolutivi individuali.

Il primo diverrà nel giro di qualche anno l’unica mente dietro il progetto Death In June, che utilizzerà nell’arco della propria carriera un po’ tutto l’armamentario culturale delle prime formazioni industrial: dai riferimenti esoterici all’uso (tipico dei Throbbing Gristle) di uniformi stile militare sul palco, all’uso di materiale controverso, dedotto dalla Germania nazionalsocialista.

"We start afresh / for love and for death" 

L’ambiguità dei riferimenti culturali (che s’innesta perfettamente nelle “shock tactics” ampiamente utilizzate in ambiti artistici d’avanguardia), filtrata attraverso una sensibilità quasi morbosa su una miriade d’influenze, un decadente romanticismo e una capacità d’introspezione fuori dal comune, creano canzoni di grande impatto emotivo.

Il sound Death In June subisce un’involuzione inversa a quella, ad esempio, di Current 93, e procede da un utilizzo dell’elettronica su matrice Joy Division con drum-machine e ampio uso di campionamenti, verso una scheletrica forma-canzone solo voce + chitarra acustica.

È la voce di colui che è abituato a “combattere in solitudine” ma che nonostante la battaglia sia persa in partenza, non desiste dalla lotta, per “vivere e morire allo stesso modo”.

"Hope had brought us this far. Far enough to cut our heart to pieces…" 

Questo disperato romanticismo viene in qualche modo sublimato nell’esperienza di Wakeford che, alla guida dei suoi Sol Invictus, esibisce alcune di prese di coscienza a livello personale di tutto rispetto.

Questo si nota nell’evoluzione stilistica della proposta, che si raffina con il passare degli anni. Anche qui, da partenze post-punk si percorre la strada verso un cantautorato con grande perizia d’arrangiamenti; mentre i testi, senza mai desistere dalla propria critica verso il mondo moderno, acquistano una sagace ironia che smorza il pessimismo cosmico dell’autore.

Tutti questi e altri argomenti vengono sviscerati accuratamente nel libro di Cresti: senza essere mai troppo pedante, esso si rivela come una lunga chiacchierata sull’ambiente storico-culturale che ha favorito la crescita di queste atipiche pianticelle del panorama musicale odierno, condotta con la grinta dell’appassionato e la capacità del conoscitore della cultura inglese, caratteristica fondamentale per portare a termine un’indagine circostanziata.

Non bisogna infatti dimenticare l’essenza autenticamente british di questi progetti musicali, che non sempre il non-inglese riesce a cogliere, e che nondimeno è loro parte fondamentale.

Il libro viene a colmare quindi alcune lacune nella bibliografia italiana in merito, e ciò lo rende un’iniziativa particolarmente gradita.

Pubblicato in: 
GN28 Anno III 24 novembre 2010
Scheda
Autore: 
Antonello Cresti
Titolo completo: 

Lucifer Over London

Industrial, folk apocalittico e controculture radicali in Inghilterra

Ed. Aereostella, 271pp, 20€

Anno: 
2010