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Current93. La persistenza dello Spirito
L’i(n)-spirazione, nel senso etimologico di una ‘comunione’ con lo Spirito (spiritus, anima mundi, ecc.) allorché esso fluisce in noi, è merce assai rara; mantenerla poi per periodi lunghi è ancora più complicato. È proteggere una Fiamma attraverso tempeste e uragani!
Limitandosi all’ambito musicale, il corollario di quanto precede è che ogni artista, in tutta la sua carriera, produce soltanto uno, al massimo due, lavori veramente significativi. Questo è palese a chiunque abbia una vista sufficientemente ampia, al di là di preferenze personali. Tutto ciò che viene prima sono prove di trasmissione, tutto ciò che viene dopo al più è affinazione tecnica1.
Detto questo, gli ultimi lavori di Current93 sono lavori ispirati.
Rettificando: alcuni degli ultimi lavori di Current93 sono lavori ancora una volta ispirati.
Mi riferisco essenzialmente a Black Ships Ate The Sky (album del 2006) e al mini CD (4 tracce) Birth Canal Blues (2008), sul quale si incentra il presente articolo.
Facciamo ordine nei dati a nostra disposizione: trattasi di un’opera accessoria, preludio al disco in prossima uscita, ad edizione limitata e venduto solo in tour o attraverso mailorder, con un rapporto €/min piuttosto elevato e di realizzazione esteriore molto “casereccia”.
Questo tipo di produzioni, invero preponderante nel catalogo Current93, riesce a legare alla band un seguito fedele che tende a sentirsi “parte della famiglia”, nonostante il peso sotto cui s’incurvano gli scaffali dei collezionisti sia in buona parte superfluo.
Ma come fare se comunque quasi tutte le uscite sono superflue, sì, ma di ottima qualità?
Questo disco ha una forza espressiva fresca e vibrante che sembra frutto di una nuova linfa nella vita del progetto: questa circostanza è fornita dalla sostituzione dell’ormai abituale e dotatissima Maja Elliot al piano con Baby Dee (che generalmente si dedica all’arpa) e soprattutto da Andrew Liles che prende eccezionalmente il posto di Steven Stapleton alla manipolazione sonora e a tutte le diavolerie di studio. Abbiamo quindi una lineup ridotta all’osso: David Tibet alla voce su un tessuto pianistico ripetitivo (à la Soft Black Stars come struttura, ma dagli esiti molto differenti2) condito con uno sperimentalismo giocoso e capace sull’effettistica, con esiti espressionisti (in certi casi nettamente rumoristi) che riportano alla luce certe radici nella scena industrial inglese degli albori.
In realtà, ciò che stupisce è la persistenza dell’ispirazione, poetica e musicale, che di volta in volta si reinventa e si rinnova in questo progetto sotto forme diverse a distanza di più di venti anni. Se la sostanza è sempre quella, mutuata dalla tradizione cantautoriale popolare (e che nel periodo più strettamente folk della band vedeva la chitarra al posto del piano), con il cantante che narra affidandosi a temi musicali ripetuti con poche varianti, la forma assume una sua identità personale grazie al trattamento e all’arrangiamento dei suoni; evidente è il lavoro svolto sulla voce di David, che è sempre estremamente distorta ed effettata. Questo lavoro sulla voce è un tratto caratteristico delle produzioni Current93, in quanto è già successo ben più di una volta che il cantante utilizzi un mix vocale diverso per ogni pezzo di un disco (vengono in mente Black Ships e ad esempio Thunder Perfect Mind, del 1992), solo che stavolta gli effetti sono preponderanti rispetto all’intonazione reale.
Nella prima traccia I Looked To The South Side Of The Door, il cantato è composto da due take diversi sovrapposti, spostati l’uno sul canale destro l’altro su quello sinistro, ambedue con effetti di delay e riverbero molto pronunciati ma differenti tra loro. Le piccole differenze di performance tra i due canali generano sfasamenti nella percezione della recitazione. Questo trattamento vocale è adagiato su un tappeto di pianoforte melodico, il tema è ripetuto con variazioni in dinamica ed espressione e riesce a sottolineare bene i vari momenti del recitato.
Nella seconda traccia, She Took Us To The Places Where The Sun Sets, questo approccio effettistico è portato a conseguenze estreme: la voce del cantante è mutata in un ringhio sibilante e gracchiante da una distorsione estrema, con effetti di eco che moltiplicano gli spigoli del rumore come vetri rotti sull’asfalto. L’esperienza è terrificante: dopo una breve introduzione con un semplice motivo di pianoforte dal suono secco e dai bassi pestati come fossero campane, la voce irrompe nel silenzio all’improvviso come una serpe che sibila nelle orecchie in modo spaventoso; ben poche parole sono comprensibili qui. Ma non è un brano “nero” come poteva esserlo un Nature Unveiled (1984): qui si ha l’impressione di esser di fronte ad una rappresentazione, come succede nelle favole per bambini, dove il narratore impersona le forze del male e delle tenebre senza esserlo lui stesso, ma anzi mettendo in guardia da certi pericoli.
La terza traccia, The Nylon Lion Attacks As Kingdom, ha di nuovo un diverso trattamento vocale che rende un po’ più straziata la voce di David, la cui performance è comunque espressivamente molto elevata per tutta la durata del disco. In questo pezzo tuttavia, la nuance che ci viene proposta è quella di disorientamento e stordimento.
L’ultimo pezzo, Suddenly The Living Are Dying è in realtà il più rilassato, impregnato di quella malinconia che si prova di fronte all’inevitabile, e la voce è molto naturale, contrappuntata solo da un certo riverbero; rassegnata e sotto tono, si lascia scorrere senza attaccamento.
Passando adesso all’ambito lirico, il disco assume toni apocalittici sin dall’incipit, consonante con le ultime creazioni di Tibet, cioè meno intimamente personale e più “cosmico”; nella fattispecie, il disco inizia con una visione pregnante di biblica potenza, con numerosi rimandi filologici:
Adam stands on docetic mountain
The woman's face is full of stars
And in the words of the Book
And with the lips of the Book
And the trumpet and the seal
And the candlestick that lights up your bed with seeds and flowers
And the lion on your rug that's roaring like a lamb
On the rack and on it's back
I call the martyrs on wheels
To this piss-poor mess
With the blood spreading like flies
Under the table and the gable
Breathing like curtains of eyes
That shift uneasily
La figura imponente di Adamo che apre il disco (una figura archetipale dell’uomo come l’Adam Kadmon della Cabala ebraica) che introduce un rimando al Docetismo, ci conduce verso la visione del mondo che David pare aver abbracciato negli ultimi anni, incentrata sulle dottrine del Cristianesimo gnostico, come testimonia l’ossessione con la lingua copta che accompagna l’autore sin dal concepimento di Black Ships.
L’eresia docetica, attribuita al pensiero gnostico, afferma in sostanza l’illusione della natura umana del Cristo, professandolo come puro spirito e negando quindi la sofferenza sulla Croce, in ottimo accordo con l’avversione gnostica per il mondo “ilico” della materia, considerato come il regno del Maligno. Il primato, qui, è attribuito nettamente allo Spirito. Mescoliamo questo con i riferimenti biblici al Libro dell’Apocalisse evidenti fin dalle prime righe, il leone, l’agnello, i martiri e il sangue, la tromba e il sigillo che determinano il dipanarsi della fine dei Tempi, ed abbiamo una visione piuttosto completa del quadro immaginifico che dà forma alla materia musicale di questo dischetto.
La seconda traccia, a parte il primo folgorante verso «Anyway, MURDER! they say», riesce ad avere anche alcuni slanci di un intimismo autobiografico come in alcuni passaggi di Soft Black Stars:
When I was small the red flowers opened
And I broke letters and dreamed
Of murder and nations and Crowley’s jazz
4 or 5 decades later
I am some Egyptian face
Was I in Luxor carving my name?
Was I binding cats with kindness and saws?
La disillusione è forte, ad ogni modo: d'altronde, nella produzione poetica del cantautore i temi di perdita (che sia dell’innocenza della gioventù per la “luce impietosa” dell’età adulta, o delle convinzioni che cambiano forma, o delle persone care che vengono meno) hanno sempre un ruolo primario. Questo approccio genera malinconia; l’io si disgrega sotto l’azione del tempo cosmico e si fonde con la sabbia delle clessidre, mentre “tutto il mondo scompare”: il disco si chiude con la frase “and my face disappears and falls”3 .
Ma non è finita ancora: spentasi la voce nelle sue elucubrazioni di dissoluzione, sorge una sirena come di guerra, mentre zoccoli scalpitanti ci attorniano da ogni direzione (i quattro cavalieri che annunciano l’Apocalisse), e il tutto conflagra in un’esplosione cosmica di rumore bianco quasi insostenibile, a riportare il tutto al silenzio dei primordi.
Ma lo Spirito permane. È solo l’individualità, che si dissolve “come sale nel mare”, e più non si riprende.
Note:
1 Per “significativo” s’intende qui “non del tutto derivativo” e “non autoreferenziale”. Per il concetto di “ispirazione” citato in apertura, cfr. Ananda K. Coomaraswamy, Figura di parola o figura di pensiero?, in “il Grande Brivido - saggi di simbolica e arte”, ed. Adelphi. Un disco “ispirato” non è necessariamente “significativo”, mentre è generalmente vero il contrario. (torna al testo)
2 Di fatto, il sapore di Soft Black Stars (1998) non è riproducibile: esso è la somma di varie circostanze. In primis la situazione personale interiore di Tibet, ma poi anche le particolari partiture di pianoforte ad opera di Michael Cashmore, la registrazione in presa diretta in un cottage irlandese, e la post produzione quasi inesistente. (torna al testo)
3 In tutto questo si nota con forza l’influenza che gli studi di Buddhismo hanno avuto su Tibet, specialmente la teoria del dukkha, il dolore cosmico (o meglio “affezione” o “commozione”) che sorge in seno all’esistenza stessa; in questo autore è la sensazione di caducità che innesca certe associazioni mentali. Cfr. il disco Imperium, in cui queste sensazioni raggiungono il parossismo. (torna al testo)