Roberto Ciaccio. Tenebre multimediali

Articolo di: 
Teo Orlando
Ronerto Ciaccio

L’Istituto Nazionale per la Grafica ospita nella sua sede di Palazzo Fontana di Trevi un’esposizione monografica dell’opera di Roberto Ciaccio proveniente dal Kupferstichkabinett (gabinetto di calcografie) dei Musei Statali di Berlino.

La mostra, curata da Remo Bodei, docente di filosofia alla Università di Los Angeles, presenta un corpus di opere/matrici (1990-2008) costituite da monoprints, monotipi e grandi lastre di metalli diversi (rame, zinco, ferro). L’esposizione ha come titolo Leçons de Ténèbres/Le Son des Ténèbres (vedi nota in fondo), tradendo la valenza filosofica insita nella dedica stessa a Jacques Derrida.

Alla mostra si ispirano le partiture per pianoforte di Philip Corner e di Daniele Lombardi che - in prima assoluta - sono state eseguite in occasione delle serate inaugurali (14 e 15 novembre). Anche Antonio Ballista ha suonato nella stessa occasione brani scelti per pianoforte in assonanza con le opere esposte e linguisticamente vicini alla poetica dell’artista.

Remo Bodei, nella sua brillante presentazione, ha sottolineato che l’opera di Roberto Ciaccio si situa tra il buio e la luce, tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che è preciso e ciò che è vago, tra le lezioni delle tenebre e le magie del colore. In effetti, dato che la condizione della cecità può dipendere sia dall’eccesso di luce, sia dall’eccesso del buio, è necessario, per vedere adeguatamente, abituarsi alla luce in modo graduale. Come si desume dal mito platonico della caverna (uno dei più antichi della cultura occidentale), noi dobbiamo avere il coraggio di guardare tanto l’idea del Bene, della quale è metafora il sole (The inconceivable idea of the sun di cui parlava il grande poeta americano Wallace Stevens), quanto l’oscurità della morte, che è altrettanto inconcepibile.

Nel mito di Platone (contenuto nel VII libro della Repubblica e acutamente riletto da Martin Heidegger nel 1942 nel saggio La dottrina platonica della verità), il sole diventa l’immagine dell’idea di tutte le idee, mentre l’idea è semplicemente ciò che risplende di luce propria. Platone insegna una particolare forma di educazione che si concretizza in una sorta di “tropismo”, ossia di modo di rivolgersi al mondo che guida l’anima verso un’evidenza più elevata di quella che si offre a chi è rinchiuso nella caverna come se fosse prigioniero del corpo e dei sensi. Ma, una volta usciti alla luce e conquistato il sole, occorre ritornare al buio per esplorarlo con nuovi strumenti.

Così le lastre e le matrici (che generano dei multipli di sé stesse sempre leggermente diversi, riunendo l’unicità e la serialità, quasi contrapponendosi all’«auraticità» benjaminiana dell’opera d’arte che non ammette duplicazioni) di Ciaccio ci mostrano, in un alternarsi di luci e di tenebre, un'intrinseca necessità. La verità, come ci ha insegnato Hegel contro la filosofia dell’indifferenza di Schelling (la famosa notte in cui tutte le vacche sono nere), esige differenze di luci e di ombre, perché non si offre soltanto nella luce dell’evidenza monolitica, ma anche attraverso i contrasti chiaroscurati.

Le opere di Ciaccio si pongono appunto sulla soglia mobile di transizioni infinite, alludendo al sole inguardabile (in ciò simile a Barnett Newman e ai pittori americani del sublime). Come se la luce imprigionata nelle lastre rinviasse metaforicamente alla luce invisibile assorbita dal buio e dall’oscurità, dall’abissale presenza del Sacro, traguardato da lungi come una sorta d’inquietante Terra promessa.

Le sue opere sono piuttosto all’insegna del sublime che del bello estetico, perché rifiutano la perfezione delle forme e intendono rendere visibile l’invisibile e presente l’impossibile. È però un sublime immateriale, ottenuto con mezzi minimali, che sfruttano le sfumature del blank nei colori o nei suoni: attraverso i suoi rinvii si manifesta il freudiano ritorno del rimosso (Wiederkehr des Verdrängten). Questo si verifica per mezzo di tracce che sulle lastre rievocano una spettrale testimonianza di gotico sapore. Sono quasi dei revenants (titolo di una sua mostra del 2006 a Berlino), che ritornano depotenziati dal passato, ma non completamente cancellati, disponendosi su uno spazio bidimensionale e suggerendo al contempo la terza dimensione della profondità e la quarta dimensione del tempo. Ricordano in qualche modo i cronòtopi à la Minkowski, incorporando la memoria del passato, l’intuizione del presente e la speranza del futuro.

All’arte quasi-pittorica di Ciaccio si associa una dimensione musicale che si trova espressa sia nei brani del successivo concerto, sia  nelle sue opere, se è vero, come ha osservato Jean-Luc Nancy: “qualcosa di musicale fluttua attorno alla pittura molto di più di quanto qualcosa di pittorico non si disegni attorno alla musica”. Ad esempio in Kandinsky i colori vibrano come suoni in una continua fantasmagoria di mutamenti. E in Ciaccio le lastre-matrici diventano quasi partiture in cui lo spazio sembra dissolversi nel tempo, in un risuonare (anche nel senso della différance di Derrida, del differire e spostare) di vibrazioni e di dissonanze.

I cromatismi della tastiera del pianoforte ci hanno poi quasi trasportati dentro l’esecuzione di Ténèbres: Lessons and Light. Philip Corner ha saputo servirsi delle potenzialità anche percussive dello strumento per distillare suoni in bilico tra ripetizione e improvvisazione, silenzio e rumore.

Più “convenzionale” è stato il programma eseguito da Antonio Ballista, che ha interpretato brani di Olivier Messiaen, John Cage e George Crumb. Di particolare effetto si è rivelato il brano di Messiaen, La parole toute-puissante, tratto da una suite ispirata alla vita di Gesù bambino (Vingts regards sur l’Enfant Jésus), è un tema monodico costruito su tre grandi motivi sfociando poi in un grave ostinato ritmico, ricordando insieme un tam tam tribale e i rintocchi cupi di una lugubre campana.

Infine, Daniele Lombardi ci ha proposto il brano forse più sperimentale, Le Son des Ténèbres, per pianoforte preparato e amplificato, accompagnato da live electronics. Una partitura quasi minimalista, che però rimanda a una dimensione multimediale, in grado di combinare le sonorità reiterate emesse dallo strumento con le superfici di Ciaccio intese come work in progress, in una continua dialettica tra visione e ascolto.

N.d.A.. Si noti che nella fonetica francese le due espressioni a livello di pronuncia sono equivalenti. Il titolo Leçons de Ténèbres è tratto da un’omonima composizione di François Couperin, ripresa anche dal filosofo Roger Caillois per un suo libro.

Pubblicato in: 
GN2/ 18 novembre 2 dicembre 2008
Scheda
Autore: 
Roberto Ciaccio
Titolo completo: 

Le Son des Ténèbres
Opere 1990-2008
Palazzo Fontana di Trevi
14 novembre - 14 dicembre 2008

Anno: 
2008