Mazzoleni. Monologhi tra soliloqui e stream of consciousness

Articolo di: 
Teo Orlando
Mazzoleni

Quando si parla di monologhi a livello artistico, si pensa per lo più a due tipologie: i monologhi teatrali e quelli letterari. Il monologo teatrale è una composizione scenica o una sua parte, concepita affinché venga recitata da un solo attore.

L'inteprete si trova da solo sulla scena o si apparta, sia fisicamente, sia psicologicamente, dagli altri attori per convogliare su di sé tutta l’attenzione del pubblico. Tra i più celebri monologhi teatrali possiamo annoverare l'«Essere o non essere» nell'Amleto e il discorso di Antonio nel Giulio Cesare di William Shakespeare. Secondo alcuni critici 1, in realtà bisognerebbe distinguere tra soliloquio, monologo interiore e flusso di coscienza. Nel soliloquio, tipico del teatro, abbiamo a che fare con i seguenti tratti caratteristici: 1)il personaggio parla realmente; 2) è da solo sul palcoscenico; 3) si rivolge al pubblico, esplicitamente o implicitamente; 4) gli spettatori, per convenzione, sentono le parole del personaggio anche se non vengono chiamati direttamente in causa.

Il monologo interiore caratterizza invece la narrativa contemporanea. Il personaggio effettua una sorta di autoanalisi che non implica un discorso in presenza di un ascoltatore: il lettore è introdotto ex abrupto nella vita interiore del personaggio, senza alcuna chiosa e senza alcun intervento estrinseco. Si tratta di una sorta di pensiero diretto libero (indirect free thought) prolungato, come lo definisce Seymour Chatman, con le seguenti caratteristiche: 1) è in prima persona; 2) il tempo del discorso narrativo in atto coincide con quello della storia in atto, cosicché i verbi sono quasi sempre coniugati al presente; 3) il linguaggio esprime l’idioletto del personaggio, con i suoi tic e le sue caratteristiche peculiari; 4) ogni allusione alle esperienze del personaggio viene spiegata solo dal flusso delle sue idee; 5) non viene presupposto un uditorio diverso dal personaggio che svolge i suoi pensieri, cosicché il lettore deve integrare con la sua abilità pragmatica quello che l’attore direbbe se avesse di fronte a sé un pubblico reale.

Una forma estrema di monologo interiore è il cosiddetto stream of consciousness. Il concetto fu introdotto dal filosofo William James, fratello del celebre romanziere Henry James, trasposto in letteratura dalla scrittrice May Sinclair e reso famoso da James Joyce nel capitolo finale dello Ulysses: nel monologo interiore di Molly Bloom si trovano tutti i tratti caratteristici del flusso di coscienza, ossia le repentine associazioni di termini, il magma confuso di immagini e sensazioni, il lampeggiare irregolare della psiche dell’io narrante o, come dicono gli autori del libro, il «mormorante sciabordio dell’inconscio».

La peculiarità del cinema consiste nella capacità di combinare entrambe le tecniche espressive, quella del soliloquio e quella del monologo interiore. Tecniche che possono essere compresenti nello stesso film, in diversi momenti del decorso diegetico (narrativo), oppure addirittura fuse insieme, come accade ad esempio nella cinematografia di David Lynch.

Arcangelo e Francesca Mazzoleni sono ben consapevoli di questa combinazione di tecniche espressive, e la loro decisione di dedicare un’antologia critica ai Monologhi e scene memorabili al cinema (Roma, Dino Audino editore, 2008) appare particolarmente felice, sia nella selezione dei monologhi selezionati, sia nei commenti che li introducono. Lo scopo del libro è quello di introdurre non solo teoricamente al monologo cinematografico, ma anche di fornire una serie di patterns per registi e sceneggiatori che volessero cimentarsi con l’arte di scrivere monologhi.

I monologhi sono tratti da una cinematografia estremamente diversificata, dalla produzione mainstream fino alle cinematografie underground, quasi del tutto aliene alle sale di proiezione. Troviamo quindi monologhi drammatici ed ironici, introspettivi e utopici, visionari ed elegiaci. Il monismo (unità intrinseca) del vero monologo cede spesso il posto al dialogo fittizio del soliloquio con la seconda persona assente. Tra i registi troviamo Sam Shepard, Quentin Tarantino, Bernardo Bertolucci, Wim Wenders, Roman Polanski e Stanley Kubrick. Tra i film maggiormente notabili Persona, Sacco e Vanzetti,Pulp Fiction, Apocalypse Now, L’attimo fuggente, Il cielo sopra Berlino, Quinto potere, Fanny e Alexander, La morte e la fanciulla,e Good Night and Good Luck.

Qui citeremo soltanto alcuni di questi monologhi, a scopo esemplificativo: quello del barbiere ebreo interpretato da Charlie Chaplin che, in Il grande dittatore, si appella ai valori umanitari, rovesciando la retorica nazifascista e bellicista, analogamente al colonnello Dax in Orizzonti di gloria di Kubrick. Retorica che invece viene drammatizzata per svelarne la grottesca assurdità in monologhi ferocemente militaristi, come quello del colonnello Jessep in Codice d’onore di Sorkin e Reiner, o quello del sergente Hartman in Full Metal Jacket di Kubrick; o ancora la “declamazione” del colonnello Kurtz, in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, ispirato al romanzo Heart of Darkness di Joseph Conrad. Come osservano giustamente gli autori, «il finale del film è l’occasione per l’emersione del Demoniaco che fa breccia fra le pieghe di un reale trasformatosi già in incubo»: il colonnello riesce a conciliare una storia di orrore puro e devastante con la recitazione di alcuni versi tratti dal poema The Hollow Men di Thomas Stearns Eliot.

Notevole appare anche la decisione di antologizzare il breve soliloquio pronunciato prima di morire dal “replicante” Roy Batty in Blade Runner di Ridley Scott: discorso commovente (“tutti quei momenti andranno perduti nel tempo…come lacrime nella pioggia”), ma non scontato o di maniera, e che costituisce un suggello notevole al film ispirato al romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep di Philip K. Dick, (che non conteneva il monologo come fu concepito dagli sceneggiatori del film e dallo stesso attore protagonista, Rutger Hauer. Il testo, forse, si ispira ad alcuni celebri versi di Arthur Rimbaud nel poemetto Le Bateau ivre2).

Il libro è stato presentato in modo molto originale lo scorso 13 novembre al Teatro Arciliuto di Roma: i vari monologhi sono stati rappresentati teatralmente da attori non professionisti, ma molto entusiasti e perfettamente calati nella parte: l’impatto scenico è stato rilevante e il risultato finale estremamente suggestivo, grazie anche all’ambientazione che ricorda le esperienze del Living Theatre.

Note

1 Cfr. ad es. Seymour Chatman, Story and Discourse: Narrative Structure in Fiction and Film, Ithaca/London, Cornell University Press, 1978. Tr. it.: Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, Parma, Pratiche Editrice, 1989.
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2 Il lettore potrà rendersi conto delle affinità tra i due testi semplicemente confrontandoli:
I've seen things you people wouldn't believe.
Attack ships on fire off the shoulder of Orion.
I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate.
All those... moments will be lost in time,
like tears... in rain. Time to die.
(Rutger Hauer in Blade Runner, testo scritto dallo sceneggiatore David Webb Peoples)

Et j'ai vu quelquefois ce que l'homme a cru voir!
J'ai vu le soleil bas, taché d'horreurs mystiques,
Illuminant de longs figements violets,
Pareils à des acteurs de drames très antiques
Les flots roulant au loin leurs frissons de volets!

[…] J’ai vu des archipels sidéraux! et des îles
Dont les cieux délirants sont ouverts au vogueur
.
Arthur Rimbaud, Le Bateau ivre, vv. 32-36 e 85-86).
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Pubblicato in: 
GN8/ 21 febbraio 7 marzo 2009
Scheda
Autore: 
Arcangelo e Francesca Mazzoleni
Titolo completo: 

Monologhi e scene memorabili al cinema
Antologia critica ad uso di attori e sceneggiatori
Dino Audino, 2008
Manuali di script n. 109
p. 139 € 13,00

Voto: 
9
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