Musei Capitolini. Fra la nebbia rosea delle antiche rovine

Articolo di: 
Giulio de Martino
William Turner: “Modern Rome. Campo Vaccino” (1839).

Una mostra concentrata e preziosa - di non facile fruizione – è allestita fino al 19 giugno 2016 nelle sale all’ultimo piano dei Musei Capitolini adiacenti la terrazza panoramica. Il titolo è: «Campidoglio. Mito, memoria, archeologia». Chi si aspettasse una compiuta e rassicurante mostra di archeologia romana dovrà cambiare idea. Sulla prima parete campeggia, infatti, il formidabile dipinto di William TurnerModern Rome. Campo Vaccino” (1839) eccezionalmente in prestito dal Paul Getty Museum di Los Angeles. Una nebbia rosea accoglie e occulta le antiche rovine: come per esaltare la vertigine dell’antico. La «città eterna» vi appare immersa in un velo di memorie, tra chiese barocche e rovine che si dissolvono nella luce del tramonto. 

L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con l’organizzazione e i servizi museali di Zètema Progetto Cultura ed è curata da Alberto Danti e Claudio Parisi Presicce. Nella mostra sono esposti anche tre plastici dell’intera area del Campidoglio - recentemente recuperati e poco noti al pubblico - e numerose opere di grafica e pittura precedenti e contemporanee a quella di Turner che raccontano la suggestione suscitata dal colle del Campidoglio all’inizio del XIX secolo: tra di esse le vedute di Giovan Battista Piranesi, di Luigi Rossini e di Filippo Juvarra. Il punto di partenza non è costituito, quindi, dall’archeologia, bensì dal Neoclassicismo e dal Romanticismo.

I due plastici in mostra furono realizzati da Antonio Muñoz (1884 – 1960) in gesso (scala 1:1000) fra il 1928 e il 1932. Nel primo dei due plastici viene rappresentato il Colle secondo quanto è documentato nel Catasto Urbano del 1820 e del 1870. Il secondo presenta alcune diversità, riscontrabili nella mancanza della chiesa di Santa Rita e nella rappresentazione della zona a ridosso della chiesa della Consolazione, dove sorge un fabbricato destinato agli uffici comunali accanto al nuovo tracciato di via di Monte Tarpeo.

Il tema della mostra si rivela quello storico e urbanistico dell’aspetto del colle del Campidoglio che, dalla fine del Settecento ai nostri giorni, è profondamente mutato. Ma il focus non è posto sul celebrato Palazzo Senatorio e neppure sul Palazzo dei Conservatori, bensì sul retrostante Palazzo Caffarelli-Clementino. Il Palazzo Caffarelli, compreso il nucleo più antico denominato Palazzo Clementino, è stato inserito nel percorso museale dal 2000 ed è sede di un’ala dei Musei Capitolini. Attraverso carte d’archivio e opere delle inesauribili collezioni capitoline, si documenta una storia multisecolare. Si inizia dal periodo in cui i nobili Caffarelli, Giovanni Pietro e Ascanio, occuparono la sommità del colle con il loro palazzo (sec. XVI). Questa fase è illustrata dai ritratti di Carlo V e di Filippo II di Asburgo (1538) e da alcune porzioni degli affreschi risalenti alle prime fasi edilizie del palazzo. Il complesso delle proprietà Caffarelli occuperà per più secoli la spianata del colle fino al bordo superiore della Rupe Tarpea, con giardini, orti, case, negozi e costruzioni di servizio quali il Granarone e le Scuderie vecchie. Al palazzo, che affacciava sul cortile dei Conservatori, si accedeva dal portale monumentale ancor oggi esistente su via delle Tre pile. 

La svolta avvenne nel 1817 quando il Regno di Prussia trasferì alcune sue istituzioni romane sul Campidoglio. Christian Karl Bunsen si stabilì nel Palazzo Caffarelli quale Segretario dell’Ambasciata presso la Santa Sede e, dopo aver acquisito anche la proprietà Marescotti, avrebbe fondato l’Istituto di Corrispondenza Archeologica (1823), l’Ospedale dei Protestanti e la Casa Tarpea (1835). Infine, nel 1853-1854, l’Ambasciata prussiana avrebbe preso possesso dell’intero fondo Caffarelli sul Campidoglio (vedi: Il duca Baldassarre Caffarelli e il suo Palazzo al Campidoglio di Roberto Vergara Caffarelli, 2013).

Dal 1870, con la risoluzione del contenzioso sulle proprietà Caffarelli fra il Comune di Roma e l’Impero tedesco, e nel 1895, con l’acquisizione dell’adiacente Palazzetto Clementino, furono avviati progetti per l’ampliamento delle sedi civiche e per riportare in luce il famoso Tempio di Giove Ottimo Massimo realizzato sul finire del VI secolo a.C. dai re Tarquini sulla vetta più alta del Campidoglio. Di questo tempio che, fino alla fine dell’età imperiale, era stato il simbolo della grandezza di Roma, si sarebbe perduta ogni memoria archeologica durante il Medioevo. Solo dalla metà del XIX secolo, grazie ai ritrovamenti nelle proprietà ex Caffarelli, si sarebbe potuta scoprire la sua esatta posizione e anche stabilire le sue colossali dimensioni.

Nel nuovo secolo - pochi mesi prima dell’Armistizio dell’11 novembre che avrebbe posto fine al Primo conflitto mondiale -  il 24 giugno del 1918 Palazzo Caffarelli fu preso d’assalto dal popolo romano che intese far culminare la vittoria militare con un gesto di sfregio e di saccheggio verso la sede diplomatica del Paese nemico sconfitto. Nel 1919, sull’onda del nazionalismo postbellico, le proprietà tedesche furono confiscate e lo Stato italiano, per cancellare la memoria della presenza teutonica, con il pretesto degli scavi dei sottostanti resti del Tempio di Giove, procedé alla demolizione del Palazzo Caffarelli. Si salvarono, però, frammenti di affresco, fotografie e altre fonti documentarie. Negli ambienti superstiti vennero ospitati nel 1925 il Museo Mussolini e la Nuova Galleria d’Arte Moderna. Negli anni dal 1924 al 1940 si svolsero a Roma imponenti lavori di sventramento e di demolizione intorno alle aree archeologiche, conformemente alla politica urbanistica dell’epoca fascista definita nel Piano Regolatore del 1931. L’isolamento del Colle Capitolino avrebbe liberato le pendici del Campidoglio dalle stratificazioni di edifici che nei secoli vi si erano addossati.

Si apre qui la sezione della mostra propriamente archeologica. Si ricordano gli scavi di Pietro Rosa (1865) cui seguirono le indagini di Rodolfo Lanciani (1875), Roberto Paribeni (1919-1920), Antonio Maria Colini (1925 e 1959, insieme a Gjerstad) fino agli scavi dei nostri giorni (1999 - 2002) lungo le pendici meridionali del Campidoglio. Nella mostra vengono esposte opere che furono rinvenute durante le demolizioni e i ritrovamenti archeologici: sculture e reperti del saxum della Rupe Tarpea, emblema sacro dell’Urbe, del ninfeo dipinto del Vico Iugario e delle vicine aree dei mercati del Foro Olitorio e Boario: una storia riassunta dal plastico - realizzato tra il 1926 ed il 1927 dal prof. Ermete Proferisce - sul Campidoglio dall’età arcaica all’età imperiale. 

Gli scavi archeologici – oltre ai resti di strutture edilizie e viarie, affascinanti per gli archeologi, ma meno per i visitatori – hanno repertato lo scarico di tegole e di terrecotte architettoniche gettato tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. per rialzare il piano di calpestio dell’area posta davanti al Tempio di Giove Capitolino. Il deposito, costituito da oltre un migliaio di frammenti, ha consentito di ricostruire quasi per intero lo schema del sistema decorativo più antico e di proporre ai visitatori suggestivi dettagli di figure dipinte.

Pubblicato in: 
GN18 Anno VIII 10 marzo 2016
Scheda
Titolo completo: 

Mostra: Campidoglio. Mito, memoria, archeologia

Musei Capitolini
1 marzo– 19 giugno 2016
Enti  promotori: Roma Capitale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Zètema Progetto Cultura
A cura di Alberto Danti, Claudio Parisi Presicce