Remo Bodei ai Lincei. Una partita a scacchi tra memoria e oblio

Articolo di: 
Teo Orlando
Bodei

L'11 febbraio del 2016 il filosofo italiano Remo Bodei ha tenuto una conferenza presso l'Accademia dei Lincei, di cui è diventato da poco autorevole socio. La conferenza, intitolata Tra memoria e oblio. Una partita a scacchi, si riferiva al rapporto tra il ricordare e il dimenticare, con tutte le implicazioni che questo nesso concettuale comporta.

Bodei viene introdotto dal presidente dell'Accademia, Alberto Quadrio Curzio, il quale sottolinea l'attività del relatore, come docente in varie università italiane e straniere, da Pisa a Bochum, fino a Los Angeles; segue poi un breve intervento del neuroscienziato Lamberto Maffei, che ricorda l'ultimo volume di Bodei, intitolato Limite, dove si sottolinea come sia sempre più presente l'idea che non ci siano più limiti nel nostro operare, perfino nella speranza della durata della vita, al punto che l’idea di morire diventa quasi oscena: tutto sembra possibile, anche perché ormai siamo abituati a vivere con le protesi.

Bodei esordisce ricordando un precetto del filosofo spagnolo Miguel de Unamuno: la chiarezza è la cortesia dei filosofi, come la puntualità dei re. Il titolo della conferenza allude a una sorta di partita a scacchi, ideale e metaforica, in cui la memoria e l'oblio si contendono le trasformazioni dell’identità individuale e collettiva in seguito a un trauma politico (una rivoluzione o la caduta rovinosa di regimi apparentemente consolidati o le catastrofi naturali) o al venir meno improvviso di tradizionali modi di vita. Le sei mosse teoriche di questa partita mirano a capire come avvengono le trasformazioni delle identità individuali e collettive: in questi casi un gran numero di persone, intimamente coinvolte da eventi catastrofici, sembrano dimenticare o ripudiare una parte sostanziale della loro storia e modificare il senso del loro passato. Si pensi a quanto accadde in Italia nel 1943, quando molti fascisti si riscoprirono fieramente avversari del regime mussoliniano.
 
Del resto, nessuna forma di identità può venire conservata nel tempo senza essere modificata, ma quando il cambiamento supera la normale soglia di tolleranza di un sistema e coinvolge un numero consistente di individui, la dimenticanza non è semplicemente ascrivibile all’ipocrisia, all’opportunismo camaleontico o al desiderio di dimenticare esperienze altamente spiacevoli. L’oblio diventa allora il prodotto della scomparsa e del dileguarsi delle forze che tengono in vita, danno legittimità e giudicano le nostre memorie condivise e le nostre credenze.  

Da ciò sorge l’esperienza della malinconia, che sorge quando contempliamo gli effetti delle memorie altrui. Capita addirittura che Interi mondi si estinguano e diventino incomprensibili. Per meglio descrivere questi fenomeni, userò concetti "liofilizzati", che ognuno di noi dovrà mettere nell’acqua della sua esperienza facendoli gonfiare.

La prima mossa parte da una semplice domanda: "perché individui e comunità dimenticano e modificano il loro passato"? Ma la vera mossa consiste nell'invertire la domanda. Perché semmai molti ricordano il passato. Si tratta spesso della propensione ad adattare la realtà ai nostri fini: la memoria e l’oblio operano entrambi delle selezioni sicché non è vero che il passato non sia modificabile: per continuare a vivere occorre usare sia la memoria, sia l'oblio per attenuare l'invadenza della forza del passato.

Bodei sottolinea come spesso si assista al collasso delle energie che promuovono la memoria storica e il senso di appartenenza a una comunità, sicché l'oblio può coinvolgere sia le istituzioni collettive sia le abitudini. Per non parlare delle forme di indottrinamento, che si insinuano anche nei manuali scolastici, e delle forme di imposizione di valori. Il tempo individuale viene commisurato con il tempo storico delle commemorazioni (dal 25 aprile all’assassinio di Kennedy, dalla caduta del muro di Berlino all’11 settembre). L'oblio sembra allora essere una perturbazione, un segno di confusione, una perdita di memoria ufficiale e pubblica. Esso crea gli eventi sottraendo, come Michelangelo sosteneva che avvenisse nello scolpire: togliendo si dava forma al marmo sottraendo il materiale superfluo.

Possiamo paragonare la memoria collettiva a una vecchia locomotiva a vapore, che funziona solo se si alimenta con il carbone: ciò vale a dire che se non la si alimenta in maniera continuativa è destinata a spegnersi.  Da questa prospettiva, l’oblio è una sorta di ipoalimentazione temporanea o permanente di ricordi. Il fatto che una memoria si tolga o cambi prospettiva significa che il vecchio modo di alimentarla si trova a venire distrutto dagli eventi. Se è vero che nessuno è capace di vivere in una realtà senza senso, allora l'identità tende a rinnovare sé stessa ricomponendo frammenti e figure mancanti. Non a caso gli storici polacchi spesso parlano ha parlato di una memoria compressa della loro nazione.

La seconda mossa comporta il paradosso per cui la storia può essere modificata. Per Sant'Agostino nel De trinitate la memoria è identificata con l'amore e il perdono. L’amore apre non solo verso il futuro, ma anche verso il passato. Infatti, la forza fluidificatrice dell'amore riscatta il passato: le sofferenze vissute e il dolore commesso e subito impediscono agli eventi di pietrificarsi nel rancore e nel rimorso. L’amore non annulla retroattivamente l’accaduto, né abolisce il ricordo da un punto di vista intellettuale. La forza dell’amore, semmai, riconverte il passato in energia disponibile. La modificazione del passato è la modificazione del senso di esso, non del passato stesso.

Incipit vita nova, per citare Dante Alighieri, che va oltre Agostino. Il passato può essere modificato anche in forma diversa. Noi abbiamo il pregiudizio che la prima impressione a caldo di un evento sia più vera delle successive. Ma questo non è sempre vero: Bodei cita il caso di una sua allieva che scrisse una tesi di dottorato su come Machiavelli abbia fornito varie versioni di una serie di omicidi politici perpetrati da Cesare Borgia, a partire dal breve scritto Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, per finire con opere successive.

La terza mossa ci induce a considerare che memoria e oblio non rappresentano territori neutrali ma veri e propri campi di battaglia in cui l’identità collettiva viene decisa e messa in forma.

Gli americani commemorano il 7 dicembre del 1941, il "giorno dell'infamia", coincidente con l'attacco giapponese a Pearl Harbour (e aggiungiamo noi, si pensi alla battaglia del Kosovo, luogo di fondazione dell'identità serba, che nella realtà fu una sconfitta contro i Turchi). Ma non ricordano Hiroshima e Nagasaki, 6 e 9 agosto 1945. Non è vero comunque che siano sempre i vincitori a scrivere la storia: ad esempio il popolo ebraico, per cui c’è un obbligo religioso di non dimenticare: gli Ebrei hanno saputo coltivare nei secoli la memoria di sé stessi, nonostante l'incredibile volontà di oblio cui sono stati sottoposti. Ci sono comunque forme di oblio alternato (si pensi alla vendetta sarda, con l’obbligo di non dimenticare, a meno che uno non fosse un sacerdote). Ogni potere dominante ha pensato a una sorta di "oblio verticale". Qui Bodei cita i primi cristiani che costruirono le loro chiese sulle rovine dei templi pagani (da San Martino di Tours ai colonizzatori spagnoli). Secondo Machiavelli, la Chiesa avrebbe commesso un errore perché non ha cancellato la lingua latina, ossia di quel popolo che essa ha sottomesso dal punto di vista religioso. Per lui la pubblicazione di testi (non religiosi) in latino ha minato l’autorità della Chiesa stessa.

Un’altra forma di oblio verticale dipende dal non essere in grado di considerare la realtà e di sovrapporle pregiudizi che si affermano contro ogni evidenza. Nel 1538 a Città del Messico si celebrò la pace tra Carlo V e Francesco I. Il cronista dell’epoca in occasione di questa ricorrenza ricorda che si chiese agli Aztechi, che erano glabri, di vestirsi con delle pellicce, perché così sarebbero stati più simili all’immagine europea dei cosiddetti "selvaggi".

Del resto, la manipolazione del passato è stata praticata sempre su larga scala, soprattutto nell’ultimo secolo. George Orwell in 1984 sostiene che chiunque controlla il passato controlla anche il presente e il futuro. Quindi il Ministero della verità manipolava il passato, a seconda delle alleanze che il Grande Fratello stava intrattenendo. La memoria avrebbe allora la funzione tecnica di proteggere dalle deformazioni della vita.

Walter Benjamin affermava che “solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha ancora smesso di vincere”. La favilla della speranza non è sempre accesa, ma è comunque alimentabile. E Benedetto Croce paragonava lo storico al “bestemmiatore”: “quasi al modo che si narra di certe immagini di Cristi e Madonne, le quali, ferite dalle parole e dagli atti di qualche blasfematore e peccatore, spicciano rosso sangue”. Quasi una specie di vampirismo del passato, che però deve continuare a rimanere come riserva di senso.

La quarta mossa è quella in cui si mostra che esiste il passato che non passa. E questo non solo riferendocisi al dibattito degli storici e all’esigenza di una memoria condivisa. O alle teorie revisioniste di Ernst Nolte. Anche se spesso la storia viene continuamente riscritta (e ancora più di frequente modificata per giustificare l’ultima presa di potere della classe dominante), è anche vero, tuttavia, che esiste un’etica della memoria: ciò vuol dire che esiste una storia che non scompare solo per inseguire le opinioni degli ultimi arrivati.

Sigmund Freud ha individuato un nesso tra il tempo che passa e quello che non passa (ad esempio nelle Considerazioni sulla guerra e sulla morte, 1915). Confrontando la prospettiva di Freud con quella di Leibniz, che polemizzando con il tempus absolutum di Newton parlava di ordine della successione per il tempo e della coesistenza per lo spazio, si può dire che per lui il tempo psichico è la coesistenza della coesistenza e della successione. Mentre il tempo cronologico passa, i ricordi non risolti non passano e diventano ricordi di copertura (Deckerinnerungen). Si pensi ai palazzi umbertini di Roma che contengono templi romani ed edifici barocchi.

Nella quinta mossa si mostra che la memoria è anche “affettiva”, nel senso che è viva, che si modifica “biologicamente”, come il vino che fermenta, rispondendo a una chimica interna e non solo a condizioni esteriori. Il presente non può essere ridotto al visibile e all'attualità, perché contiene una grande quantità di materiale latente.

La sesta e ultima mossa mostra l'interrelazione della complessità (e quasi della complicità) concettuale del ricordare e del dimenticare: nec tecum, nec sine te. Nonostante il muto contrasto, l’oblio è indispensabile alla memoria come la memoria all’oblio. Potremmo dire che i due re (quello bianco e quello nero) della partita a scacchi rimangono entrambi in piedi, a testimoniare la convivenza conflittuale della memoria e del suo opposto. Il nocciolo della questione si cela nella volontà contraddittoria e divisa di rammentare e di dimenticare, nell’incessante riproduzione della tensione tra continuità e discontinuità della memoria. La partita a scacchi è anomala perché non può mai concludersi. La vittoria di uno dei contendenti è sempre provvisoria: l’avversario sconfitto una volta prenderà la sua rivincita la volta successiva.

Del resto, anche l’oblio ha sostanza e solidità: non corrisponde semplicemente al vuoto che permetterebbe lucrezianamente agli atomi di memoria di muoversi nell’universo mentale. Non necessariamente il dimenticare costituisce un dramma o una perdita irreparabile. Nietzsche attaccava la Chiesa cattolica, l’anamnesi e lo storicismo, arrivando a dire nella Seconda delle Considerazioni inattuali che è impossibile vivere senza dimenticare. Ma anche lui distingueva quando era necessario sentire in modo storico e modo non storico. Nella Genealogia della morale sostiene che tutte le implicazioni tecniche derivano da condizioni corporali dimenticate e interiorizzate.

Dire con Nietzsche che l’uomo è aggrappato al piolo dell’istante o con Pessoa che tutto ciò che abbiamo è dimenticanza sono polemiche unilaterali. Del resto la memoria non è mera registrazione passiva degli eventi. Non a caso Marcel Proust nella Recherche la vede come rete infinita di allusioni. E Plotino sostiene che si affina nell’esercizio. E Maurice Halbwachs nel 1925 nell'opera I quadri sociali della memoria mostrò che non è vero che la memoria soggettiva sia concreta e quella oggettiva un’astrazione (non a caso il linguaggio si basa sulla memoria collettiva).

Il conflitto tra memoria e ricordo può essere esemplificato attraverso il fatto che i coloni davano in modo apparentemente paradossale ai nuovi luoghi i nomi delle città di partenza (New York, Paris Texas). Ciascuno di noi abbandona un passato che crede noto per volgersi verso un futuro sostanzialmente ignoto, attraverso la sfuggente e traballante passerella del presente. Abbiamo bisogno sia di ricordare per connetterci al passato, sia di dimenticare per ricominciare la nostra esistenza.

Per concludere: noi tutti siamo migranti non tanto nello spazio, ma nel tempo, destinati a giocare una partita che non finisce mai, o che costantemente si riapre, generazione dopo generazione. Noi ci permettiamo di aggiungere, citando Spinoza, che non è sempre nel libero potere della mente ricordare una cosa o dimenticarla (Ethica, parte III, proposizione 2).

Segue poi il dibattito con il pubblico, nel corso del quale la giornalista Livia Bidoli pone allo studioso una domanda in cui prendendo spunto da Jorge Luis Borges chiede se sia lecita l'affermazione per cui si può modificare il passato ma non il futuro. Per Bodei si può modificare in un certo senso anche il futuro: per Sant'Agostino noi non ci muoviamo ma nel presentei; il tempo non passa perché il passato esiste solo come presente del passato in quanto memoria, il futuro come presente del futuro in quanto attesa e il presente come presente del presente in quanto percezione, sicché il futuro non va concepito come una linea tratteggiata che si dipana e passa oltre il presente. Ad esempio Samuel Butler nel 1871 scrisse il romanzo Nowhere in cui mostra che il futuro è determinato da un cambiamento prodottosi nel passato. E anche Leibniz sottolineò che il presente cammina gravido del futuro. Nel calcolo delle probabilità è possibile predeterminare certi eventi, pur considerando che esiste sempre un margine di incertezza. Infine Bodei sottolinea che, come diceva John Maynard Keynes, l'inevitabile non accade mai, l'inatteso sempre.

Pubblicato in: 
GN15 Anno VIII 18 febbraio 2016
Scheda
Titolo completo: 

ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI
Giovedì 11 febbraio 2016, ore 16,00

Conferenza di Remo Bodei
TRA MEMORIA E OBLIO. UNA PARTITA A SCACCHI

Roma - Palazzo Corsini - Via della Lungara, 10