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Una surreale formazione. Il segreto del bosco vecchio di Dino Buzzati
Sicuramente il racconto di Dino Buzzati Il segreto del bosco vecchio, pubblicato per la prima volta nel 1935, e di recente ristampato da Mondadori, ci appare come un testo onirico, immerso in una dimensione in cui la realtà viene trasfigurata e diventa surrealtà. In essa gli uccelli parlano, gli alberi sono le dimore dei geni, i venti hanno voci e comportamenti simili a quelli umani.
Uno dei personaggi del romanzo è il vento Matteo, la cui storia corre parallelamente a quella del protagonista, il colonnello Sebastiano Procolo. Entrambi sono destinati a terminare, scomparendo, il loro cammino di formazione. Il primo è anche quello che causa la triste e ironica fine del colonnello, annunciandogli la falsa notizia del decesso del nipote.
Il colonnello è un uomo tutto d’un pezzo, un militare, di poche parole, deciso a divenire il padrone assoluto del terreno che ha ereditato, quello in cui è compreso lo spazio misterioso e irreale del Bosco Vecchio, una foresta popolata da geni che abitano antichi alberi e che non vogliono perdere le loro dimore da cui traggono la forza di vivere. Uno di essi, Bernardi, stabilisce un patto per la sopravvivenza dei suoi simili: costoro vengono costretti ad un duro lavoro che li rende schiavi del colonnello Procolo, ossia la raccolta di legna.
Ma il padrone del Bosco Vecchio ha un rivale, cui è destinata parte del fondo, il nipote Benvenuto, un bambino ingenuo e ignaro dei disegni dello zio. Nel corso del romanzo costui scopre tutti i segreti degli abitanti della foresta, ma non solo. Acquista familiarità con il vento Matteo, che da suo persecutore diventa poi suo confidente; la sua presenza col tempo fa mutare i sentimenti dello zio nei suoi confronti; inoltre la sua crescita lo porta a misurarsi con un gruppo di compagni del collegio, che prima lo deridono e poi gli riserbano la loro stima.
Il percorso che compiono i due personaggi nel romanzo è un cammino di “formazione” come ricordato prima: entrambi si evolvono e cambiano le loro prospettive.
Il vecchio colonnello dapprima desidera la morte del nipote, tanto che ordina al vento Matteo di mettere in atto il suo disegno, poi, dopo aver ascoltato la sentenza pronunciata contro di lui dagli uccelli del bosco, che lo dichiarano colpevole di aver attentato alla vita del ragazzo, ed essere stato abbandonato dalla sua ombra (come non ricordare il racconto di Adelbert von Chamisso Storia meravigliosa di Peter Schlemihl?), che lo lascia solo perché si è disonorato, matura dentro di sé un nuovo sentimento di umanità nei confronti di Benvenuto. Si preoccupa della sua salute e chiama il genio Bernardi per farlo guarire; poi, alla fine del romanzo, andrà a cercare di recuperare il corpo del ragazzo sommerso da una slavina, seguendo la notizia riportata dal vento Matteo.
In realtà, l’ironia della sorte vuole che l’ultimo racconto del vento sia falso e per questo il colonnello morirà in solitudine e schiantato dal gelo, scavando sotto la neve. La sua ultima visione, prima di chiudere gli occhi, è simbolica e onirica al tempo stesso. Egli contempla il suo reggimento schierato che avanza a passo di marcia.
Il colonnello è ora un altro uomo, ha riacquistato la sua dignità e affronta la morte con fierezza. Anche il giovane Benvenuto, nel corso della narrazione, muta il suo punto di vista: da bambino diventa adulto, le esperienze vissute in casa dello zio e al collegio lo fortificano e lo fanno crescere. A lui, infatti, il genio Bernardi dice: "Ma anche tu un bel giorno non ti farai più vedere e anche se tornerai, non sarà più la stessa cosa… verrà un giorno, non so quando precisamente, forse tra qualche mese, forse l’anno prossimo, forse anche fra due anni, … ecco tu verrai al bosco, girerai tra le piante, ti siederai con le mani in tasca, continuerai a guardarti attorno, poi te ne andrai via annoiato.” La sua ultima azione, infatti, sarà quella di accompagnare sulla cima del Corno il vento Matteo nel suo ultimo viaggio, prima che costui si dissolva e scompaia per sempre.
Il romanzo di Buzzati scorre veloce, con una semplicità assoluta vengono narrati i fatti e non è possibile distinguere nel dettato complessivo la realtà dalla fantasia. È un testo surreale in cui i particolari fantastici convivono con la quotidianità delle azioni del protagonista.
La dimensione temporale è statica, il tempo sembra essere fisso e ciò che avviene è come inserito in un’assoluta astoricità. Un racconto bellissimo, non privo di considerazioni di fondo sull'esistenza umana, che tocca il lettore fino a portarlo alla commozione finale.