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Antigone al Sala Uno. Il diritto della coscienza etica
Al Teatro Sala Uno di Roma prosegue la maratona di Alessandro Vantini con l’Antigone di Sofocle (Ἀντιγόνη, rappresentata per la prima volta ad Atene nel 442 a.C.) e due repliche al giorno fino al 30 gennaio 2011. In scena, per le parti dei personaggi, lo stesso Alessandro Vantini nei ruoli di Creonte, Ismene e anche alla regia; Patrizia Bettini come Antigone; Massimiliano Cutrera nelle parti del Messo, Emone, Tiresia. Il Coro è recitato da tutti e tre.
Una scenografia scarna come il dramma che propone: è giusto seppellire un morto che ha ucciso suo fratello? Per Antigone la questione è chiara e molto vi ha scritto il filosofo dell’idealismo Georg Hegel (1770-1831), studioso attento di Sofocle. Possiamo riassumere la lettura della posizione “positiva” di Antigone – ossia di officiare i riti funerari sacri agli dei per il fratello morto Polinice, per mano del suo stesso fratello Eteocle, sepolto secondo l’ufficio caro agli dei - rispetto alla questione della fenomenologia della coscienza etica (Sezione V – C- a dell’opera cardine del filosofo: Fenomenologia dello spirito, pubblicata per la prima volta nel 1807, cfr. edizione a cura di E. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1933) di Hegel:
“La sostanza etica consiste nell’unità della coscienza con l’operare. L’unità dell’operare e dell’essere, del volere condurre a compimento un’azione, diventa sostanza etica e l’individuo in azione diviene perciò coscienza etica.” (v. 179, pag. 339 e pag. 349, op. cit., ed. 1970).
Questo individuo è Antigone perché non scissa e armonica con la sua coscienza etica che le impone il seppellimento del fratello secondo le leggi non scritte degli dei, come dichiara Hegel: “Sono spiriti non scissi in sé stessi, immacolate figure celestiali che pur nelle loro differenze conservano l’intatta innocenza e l’armonia della loro essenza” (pag. 359, 203) e poi:“ Esse valgono all’Antigone sofoclea come diritto degli dei, non scritto e infallibile”.
Nella magniloquente perorazione di Antigone ben interpretata da Patrizia Bettini si ode proprio questa affermazione, che la legge degli uomini non può sopravanzare quella divina:
Antigone:
Non fu Giove colui che misse il bando,
Né la pietà che giù fra i morti alberga,
Da cui venner tai leggi a noi mortali;
Non pensai già che sendo voi mortale
Di tanta forza un vostro detto fusse
Che superasse i santi alti decreti
Che fermaron gli Dei qua giù nel mondo.
La natura della famiglia – in questo caso rappresentata da Creonte, il sorprendente Vantini che interpreta all’inizio anche la debole sorella di Antigone, Ismene, archetipo della donna soggetta al potere patriarcale – è degenere in questo caso perché pone gli individui gli uni contro gli altri, soprattutto se consanguinei, seguendo solo – per quanto riguarda Creonte – il diktat dei rapporti naturali, disconoscendone l’etica, in questo caso promulgata soltanto da Antigone. Lei infatti promuove come supremo l’unico rapporto “insostituibile” dopo la morte: quello col proprio fratello, perché non ne potrà mai avere un altro, essendo morti entrambi i genitori, Edipo e Giocasta (cfr. Edipo Re di Sofocle nella precedente recensione).
Altra figura etica è l’oracolo come nell’Edipo Re che, evolutosi in Shakespeare come fool, estrae e mostra la chiave di lettura della cecità di Creonte. Il giovane e ben solido Massimiliano Cutrera riveste la parte di Tiresia:
Tiresia:
Io pur te lo dirò: sappia che ’l sole
Non dee da questo volger molti giorni,
Che vedrai morto un de’ tuoi figli, in cambio
Di quei due morti a cui fai tanto oltraggio.
Tu privat’hai di questa luce viva
Quell’infelice, e ’n un sepolcro chiusa,
Quell’altro che devrebbe esser sotterra
Lassi senza sepolcro abietto e nudo:
Non sai tu ben ch’a te far ciò non lice?
E che fai forza ingiustamente al cielo?
La motivazione di Tiresia al monito divino è molto chiara e può riassumersi in questa frase che denota quanto possa essere vigliacca l’azione di Creonte contro il morto Polinice, incapace di difendersi perché non più in vita, parla Tiresia: "Or tu cedi al defunto, non colpire un morto. Sarà prodezza uccidere un cadavere?"
L’altra discussione fondamentale che mette in scena Antigone è la credibilità e la capacità di azione di lei in quanto donna – da rapportare proprio alla rassegna in cui è inclusa la tragedia, donne.violenza -: l’esclusione del femminile dalla sfera pubblica era un dato di fatto. Antigone si configura quindi come una delle prime donne a tutto tondo nate dalla storia: rinuncia alla maternità, al suo sposo Emone che però la difende, sfida l’autorità del padre (come la Brünnhilde del Die Walküre di Wagner del 1870 nel quale si confronta alla pari con suo padre Wotan, re degli dei del Valhalla per salvare Siegfried da morte sicura – e qui pure c’è di mezzo un incesto, ma tra fratello e sorella), tutto per affermare la legittimità della sue incommensurabile pietas etica per il fratello. Una scelta radicalmente etica contro la “stoltezza” di Creonte che procurò la morte: di Antigone, di suo figlio Emone, di sua moglie Euridice.