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Apocalisse nel deserto. I Presagi rivoluzionari di Scelsi ed Herzog
Il 21 febbraio del 2012, nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, è andato in scena uno spettacolo che non esiteremmo a chiamare “multimediale”, ossia I Presagi. Apocalisse nel deserto, prodotto dalla Fondazione Musica per Roma in collaborazione con il Conservatorio Santa Cecilia, con la partecipazione del Parco della Musica Contemporanea Ensemble, il Ready Made Ensemble e l’Orchestra del Conservatorio di Santa Cecilia, sotto la bacchetta del direttore Tonino Battista.
Lo spettacolo prevedeva l’esecuzione di uno dei brani più intensamente visionari di Giacinto Scelsi, I Presagi, il cui motivo di ispirazione era costituito dalla distruzione apocalittica della civiltà Maya, seguito da una sorta di docufilm del grande regista Werner Herzog, Apocalisse nel deserto, che si basa sostanzialmente sulle riprese effettuate nel Golfo Persico dopo la Prima Guerra del Golfo, accompagnato da una serie di brani di musica classica eseguita dal vivo e dalla lettura commentata di alcuni brani letterari a cura del filosofo della scienza Giulio Giorello.
Non stupisca che anche un filosofo della scienza possa commentare uno spettacolo dedicato a scenari apocalittici: il tema dell’Apocalisse (dal greco ἀποκάλυψις, apokálypsis, «rivelazione»), riecheggia in tutta la cultura occidentale, compresa quella più vicina alla scienza. Non a caso fu proprio Isaac Newton a scrivere un Trattato sull’Apocalisse. Del resto, il 21 agosto del 2010 la Terra ha raggiunto quello che viene denominato l’Overshoot Day, ossia il giorno in cui le riserve rinnovabili del pianeta vennero dichiarate esaurite per l’anno in corso, su basi rigorosamente scientifiche.
Certo, il problema dell’imminenza della fine del mondo non era un’esclusiva dei Maya. Di recente Umberto Eco ha ricordato come Vincenzo di Beauvais, nel XIII secolo, si esprimesse in questi termini: “Dopo la morte dell'Anticristo... il giudizio finale sarà preceduto da molti segni che ci sono indicati dai Vangeli... Nel primo giorno il mare si alzerà di quaranta cubiti sopra le montagne e si ergerà dalla sua superficie come un muro. Nel secondo sprofonderà tanto che a stento si potrà vedere. Nel terzo i mostri marini apparendo sulla superficie del mare manderanno ruggiti fino al cielo”. Nelle pagine successive poi compaiono le alterazioni climatiche e gli tsunami che ancora ci minacciano.
La triste meditazione sulla fine di tutte le cose viene richiamata anche da Ian McEwan nel suo End of the World Blues, che cita in merito il poeta Philip Larkin:
“The sure extinction that we travel to And shall be lost in always, not to be here, not to anywhere and soon. Nothing more terrible, nothing more true.”
Ne I presagi predomina il timbro del basso tuba, con suoni oscuri, cupi, quasi muggiti di tutta la natura.
Gli effetti speciali sono ottenuti con la grancassa, solo sfiorata. Sonorità che ricordano Klangwelten di Karl-Heinz Stockhausen e Syncopated Pandemonium dei Pink Floyd, da Ummagumma.
Il film documentaristico di Herzog si sofferma sui particolari più devastanti della distruzione dell’Iraq a opera della cosiddetta “coalizione dei volenterosi” (coalition of the willing) voluta da George Bush senior nel 1991. L'accompagnamento musicale attinge ad un repertorio di musica classica, eseguita dal vivo dai giovani allievi del Conservatorio di Santa Cecilia: assolutamente indicati sono apparsi i brani di Richard Wagner (Preludio da L'oro del Reno, Preludio dal Parsifal, La marcia funebre di Sigfrido da Il crepuscolo degli dèi), benché eseguiti con una certa impetuosità giovanile non sempre adatta alla loro solennità. Di grande efficacia anche gli altri brani, in particolare La morte di Åse, dalla Peer Gynt suite N°1 di Edvard Grieg, la Sonata per due violini op. 56 di Sergej Sergeevič Prokof'ev e lo Stabat Mater di Arvo Pärt.