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Joan Miró a Pisa. I miti del Mediterraneo tra simboli ed estasi poetiche
Sabato 9 Ottobre 2010 si è inaugurata la seconda grande mostra del Palazzo Blu di Pisa, dove, dopo quella dedicata a Chagall dell’anno scorso (in un ciclo triennale dedicato al rapporto di questi artisti con il Mediterraneo), si aprono le porte all’esposizione di 110 opere del pittore catalano, tra diversi mezzi espressivi: pittura, scultura, litografia, poesia.
Il percorso della mostra, articolato nella graziosa architettura del Palazzo Blu (un antico edificio affacciato sull’Arno, di recente ristrutturazione e riapertura), ripercorre un’ampia fase della produzione di Joan Miró. Essa costituisce un degno sunto dell’opera dell’artista, e consente di farsi un’idea non solo dei suoi temi principali, ma anche del suo rapporto con la tradizione e con la sua terra natale, la Catalogna.
L’esposizione e il catalogo (che, detto tra parentesi, è eccellente, con un’impaginazione semplice ed efficace, e una buona selezione di articoli), fanno largo uso di citazioni dell’artista per introdurre sezioni e opere: queste citazioni sono importanti per tentar di comprendere le urgenze espressive di Miró che di volta in volta animano la sua produzione. Pertanto anch’io le utilizzerò per facilitarmi la via nell’esprimere le mie sensazioni e riflessioni di fronte alle opere viste.
Ecco la citazione che giustamente apre la mostra:
“Il surrealismo mi ha aperto un universo che giustifica e placa il mio tormento.”
Se il surrealismo per Miró fu l’apertura di una porta sulla via dell’espressione di sé, essa fu presto superata per approdare ad un percorso personale, quello proprio a tutti i veri artisti. Frequentare ambienti surrealisti e dadaisti ebbe su Miró un’influenza più di tipo “poetico” che tecnico, e gli fornì alcuni mezzi di base su cui imbastire la propria ricerca espressiva: possedendo infatti una predisposizione innata per l’espressione poetica svincolata da schemi mentali rigidi, egli non era un artista “convertito” a quella corrente, ma un surrealista di nascita, e pertanto un surrealista “a modo suo”.
Il “tormento” esistenziale di cui sopra è il punto zero di ogni ricerca artistica, e anche il fondamento metafisico onnipresente nelle opere che nascono da essa nel vano tentativo di placarlo. Nelle parole dello stesso Miró:
“Sono di carattere tragico e taciturno. Nella mia giovinezza, ho conosciuto periodi di profonda tristezza. Ora ho raggiunto un certo equilibrio, ma tutto mi disgusta: la vita mi sembra assurda. […] Se c’è qualcosa di umoristico nella mia pittura, non l’ho cercato consapevolmente. Questo umorismo deriva forse dal fatto che provo il bisogno di sfuggire al lato tragico del mio temperamento. È una reazione, ma è involontaria.
Ciò che, al contrario, in me è voluto, è la tensione dello spirito.”
In questo scenario, le origini catalane dell’artista s'intercalano a colori sgargianti e a temi d’intensa introspezione ed estasi poetica. Gialli e rossi di una luminosità estiva e mediterranea s’innestano su percorsi simbolici, tratteggiati in un nero assoluto. I contrasti massimi che ne derivano dardeggiano dalle tele alla ricerca di significati primordiali.
Ad esempio, le numerose tele dedicate al tema della donna e dell’uccello costituiscono un leitmotiv che si ritrova in tutta la produzione di Miró. Queste sono figure complesse, simboli polivalenti: la sessualità della donna, sempre esibita in primo piano (prorompente dalle tele nonostante l’estremo astrattismo e semplificazione stilistica), non è mai fine a se stessa.
Nonostante l’innegabile voluttà di desiderio, queste raffigurazioni femminili con il sesso esposto sono tante Sheela na Gig mediterranee: una femminilità universale, che in uno dei suoi aspetti incarna Madre Natura come divinità assoluta e a suo modo spietata. La strettissima comunione con l’uccello, tramite del divino, sublima ancor più queste raffigurazioni.
E si badi bene che il rapporto tra queste forze universali non è sempre pacifico, al contrario, alcune tele vibrano di una crudele interrelazione tra le due forze che sconfina nello stupro e nell’affermazione violenta, com’è evidente ad esempio da Donna, uccello III (1973) e Donna, uccello (1974). Un rito della fertilità e un mito della creazione.
Ma queste figure hanno anche un peso poetico altrettanto importante. Se nelle opere citate, appartenenti in qualche modo ad un periodo tardo della produzione dell’artista, abbiamo un’interrelazione netta e penetrante dei due simboli, altrove nella sua opera l’aspetto poetico ed estatico prevale.
È il caso della splendida serie Constallations, creata in Francia nel 1940, mentre il mondo stava piombando nella Grande Guerra, che consta di 23 illustrazioni (tutte esposte, in riproduzione) tese al raggiungimento di una pace interiore di difficile attualizzazione, visto il periodo storico e personale dell’artista:
“Quando dipingevo le Costellazioni, avevo la sensazione autentica di un lavoro clandestino che era per me una liberazione poiché allora non pensavo più alla tragedia che mi stava attorno. Lavorando, la mia sofferenza spariva.”
Nelle Costellazioni, lo sguardo arcaico verso il cielo si riversa nell’interiorità con un’estasi quasi poetica, forse indotta di volta in volta da un titolo, e scopre infinite stelle e costellazioni che tracciano una mappa dell’uomo Miró al di sotto della forma fisica e psichica, in una spontaneità inconsapevole.
Qui si sviluppa tutto un vocabolario di simboli visivi (donne, uccelli, stelle, lune, scale, i più svariati esseri notturni), coerente e riconoscibile di opera in opera, che di volta in volta si rimescola in nuovi rapporti reciproci, alla ricerca di un equilibrio difficilmente conservabile per lunghi tratti. Qui donne e uccelli convivono pacificamente nella beatitudine di un chiaro di luna.
Questa voluttà poetica si esprimerà in molte altre forme nella vasta produzione mironiana, trovando di volta in volta stimoli differenti, e gradualmente semplificandosi e astraendosi di pari passo con la sua pittura. Perché le due non sono che una stessa espressione dell’uomo Miró.
“Per mille letterati, trovatemi un poeta! E io non faccio nessuna differenza tra pittura e poesia. Mi capita di illustrare le mie tele con frasi poetiche e viceversa. I cinesi, questi grandi signori dello spirito, non facevano così?”
“Io sento il bisogno di ottenere il massimo dell’intensità con il minimo dei mezzi. È stato questo ad indurmi a dare alla mia pittura un carattere sempre più spoglio.”
L’accenno all’oriente non è fuori luogo. La ricerca dell’astrazione per raggiungere la massima efficacia espressiva si ritrova ad esempio nell’arte della calligrafia cinese, ed in tutta una serie di caratteristiche tipiche della mentalità estremo orientale. Esse sono ravvisabili, tra le altre, nelle pitture delle serie Musica del crepuscolo e La speranza del navigatore.
In Miró, queste suggestioni si fondono comunque con la tradizione pittorica europea, e con le avanguardie che aveva frequentato, sfociando in una serie di creazioni visive e letterarie al tempo stesso, di sommo valore. Tra queste, desidero citare la raccolta di haiku, piccolo gioiello di gusto estetico, e le collaborazioni con Paul Éluard (A tout épreuve) e Tristan Tzara (Parleur seul).
In queste collaborazioni (e forse in special modo in quella con Tzara) la forza espressiva di semplici tratti di pennello e di colore diviene massima, con un equilibrio degno davvero di alcuni caratteri della scrittura tradizionale cinese.
“Certo, mi è bastato un solo attimo per tracciare questa linea con il pennello. Ma mi ci sono voluti mesi, forse anni, di riflessione per concepirla. […] Ho preso un pennello e con un solo gesto ho tracciato la linea. Ma l’ho accettata per definitiva soltanto dopo un mese di nuovo silenzio.”
Tutte queste caratteristiche dell’opera di Miró si ritrovano in tutto il resto della sua produzione, dalle numerose sculture (che non fanno che riprodurre in tre dimensioni personaggi e simboli delle sue tele) alle pitture murali, alle composizioni con corda e oggetti (Sobreteixim).
Il quadro è quindi completo. La mostra si snoda attraverso i simboli e i temi dell’artista fornendo allo spettatore una chiave interpretativa che sboccia dalle opere stesse, e consente di comprendere come Miró, al pari di ogni grande maestro dell’espressione di sé, sia riuscito ogni volta ad infondere nella sua produzione il proprio momento storico. Che l’abbia voluto consapevolmente o meno.