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Santa Cecilia. Freire e Gilbert. Images pour un décor
Il pianista brasiliano Nelson Freire per la prima volta a Santa Cecilia con il Concerto n.2 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 83 di Johannes Brahms, si è esibito con la direzione del Maestro newyorkese Alan Gilbert lo scorso 22 febbraio 2011 (anche il 19 ed il 21 sera). La seconda parte del concerto è stata devoluta all’evanescente quadro impressionista di Debussy, con Images nella versione per orchestra.
La prima parte del concerto, dedicata al Concerto n.2 in si bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 83 di Johannes Brahms (1833-1997), presenta al piano Nelson Freire (1944) che ha inciso con la Gewandhausorchester di Lipsia diretta da Chailly (per Decca con cui incide in esclusiva), proprio il primo ed il secondo concerto di Brahms, meritando ampiamente tutti i premi ricevuti con questa ed altre registrazioni.
Composto a partire dal 1878, il Concerto n.2 di Brahms è uno dei concerti più complessi in termini assoluti, in cui la parte del pianista – e del violoncello solista, in questo caso l’eccellente Gabriele Geminiani – richiede, oltre ad un estremo virtuosismo, una coloritura d’interpretazione mistico-trascendentale ed una raffinatezza d’esecuzione in piena collaborazione con l’orchestra. In questo senso si è svolto il concerto di Freire, che con Alan Gilbert alla direzione si è trovato in pieno afflato, tempestando la tastiera con fraseggio cristallino e aulico.
Nel primo dei movimenti, Allegro non troppo in si bemolle maggiore, viene subito esposto un tema lirico in modo audace e portante: al corno fa eco il pianoforte che esplode in un idilliaco percorso che, nel secondo movimento, Allegro appassionato in re minore, ovvero lo Scherzo, diviene ancora più alare, acquistando un ampio respiro reso evidentissimo dagli archi con fraseggi sublimi e raffinati al piano. Il terzo movimento, l’Andante in si bemolle maggiore e fa diesis maggiore, fa pizzicare la tastiera in modo semiestatico e più lento dei precedenti: è qui che la melodia liederistica si intensifica e dove il violoncello solista di Geminiani, coordinandosi col pianoforte, sprona la coloritura trascendentale del suono. Il più ritmato dei movimenti, l’ultimo Allegretto grazioso in si bemolle maggiore, esibisce un elegante lirismo sinfonico quasi da rapsodia ungherese, siglato da un refrain ripreso ed allargato. Questo rondò-sonata chiude allegramente canzonatorio un concerto allietato da un bis finale tratto da Chopin. Un’eccelsa versione da confrontare con quella del 1985 con al piano Daniel Barenboim e Sergiu Celibidache a dirigere la Philarmonia di Monaco.
La seconda parte del concerto è dedicata all’impressionismo immaginifico di Claude Debussy (1862-1918), con Images per orchestra (1905-1912), inizialmente scritte solo per piano. L’ineffabilmente evocativo mondo delle “correspondances” di Charles Baudelaire (cfr. le “foreste di simboli” [forêts de symboles] dell’omonima poesia) tra suoni ed immagini e parole, qui trova la sua apoteosi più vibrante. L’emotiva scissione dei suoni in décors (nel senso di arredi) mentali, assorbe l’ascoltatore in mimetico assmeblaggio con la musica. Le prime Gigues (1909-1912) introducono ad un materiale sfumato e lunare che prende ispirazione dalle memorie del viaggio in Scozia del compositore e dalla canzone Dansons la gigue di Charles Bordes. Le due seguenti composizioni a loro volta sono ispirate dai due paesi divisi dai Pirenei: l’una, le Rondes du printemps all’amata Francia; la celebre Ibéria, invece alla Spagna.
Le Gigues sono l’eterea scorza che mostra un paesaggio di campagna verdeggiante che tanto ricorda il Prelude à l’Après-midi d’un faune (1864): le due arpe fanno librare gli ottoni al di sopra di un aere congiunto ai fiati, proponendo una tessitura che dà colore ai battiti ed alla partitura orchestrale. La sospensione al termine, di tutti gli strumenti introduce alle ben più misteriche Rondes du printemps (1905-1909). Qui, connaturate a sfumature che si perdono in un timbro atemporale, non si indovinano le virate in alto ed in basso, spesso discontinue. La matrice s’ispira sia ai versi tratti dal Poliziano, sia alle due canzoni popolari francesi Nous n'irons plus au bois e Do, do l'enfant do, variabilmente intessute di eterei richiami.
Ibéria (1905-1908), la terza Image, si scompone in tre parti: Par les rues et par les chemins, Les Parfums de la nuit e Le matin d'un jour de fête. Il tema principale è un fuoco d’artificio ritmato dalle nacchere, a ricordare l’origine ispanica, e la sua ripresa indefessa irrora di ancor più diafane caratteristiche Les Parfums de la nuit, dove gli oboi stemperano e liricizzano questo episodio. La celesta evoca paesaggi indefinibilmente incantevoli per poi aumentare il ritmo nel fulgido terzo brano, un andante di marcia con i tocchi dello xilofono che si alternano al ridondare dei fiati e delle percussioni. Alan Gilbert ha diretto supremamente questa seconda parte che risuona dell’elegiaca sublimità immaginifica di Debussy. Da annotare che le Images, per intero, sono risuonate a Santa Cecilia solo per la terza volta, mentre Ibéria ha battuto le nacchere anche due anni fa con la direzione di Heinz Hollinger.
Il flusso sempiterno della musica dell’impressionista francese ha in Wagner e nell’accordo del Tristano una delle sue maggiori illuminazioni, dopo aver visitato Bayreuth nel 1888-89. L’opera di Tristan und Isolde per intero, famoso spartiacque tra la musica moderna e contemporanea, ha avuto per Debussy il significato di epifania musicale, permettendogli di continuare ed osare la sua ricerca nei territori delle dissonanza e dell’atonalità che poi Schönberg portò al suo acme. Distinguendosi da Wagner poi, le opere su cui è più evidente il suo influsso furono nella cantata La damoiselle élue (1888) e nei Cinq poèmes de Baudelaire (1889), come anche in Pélleas et Melisande (1902). Dall’idea del leitmotiv partono gli arabeschi eterei di una nuova liberazione della musica, ordinata nella pentotonalità e rendendo indipendente la melodia dal suo sostengo armonico in un profluvio di colori.