Santa Cecilia. La Terza di Mahler. Oltrepassare l''umano

Articolo di: 
Teo Orlando
Iván Fischer

La Sala Santa Cecilia dell'Auditorium Parco della Musica di Roma ha ospitato domenica 13 marzo 2016 un evento fuori abbonamento che ha attirato il pubblico delle grandi occasioni: ospite la Budapest Festival Orchestra, che sotto la sapiente e accorta direzione di Iván Fischer ha eseguito la Terza Sinfonia in re minore di Gustav Mahler.

Oltre a detenere il peculiare record di  essere la più lunga sinfoniatradizionale” che sia mai stata scritta, è anche “opera di una personalità artistica in cui il lettore di filosofia, l’autore di poesie e il compositore di musica si cercano e s’invidiano a vicenda, ciascuno insofferente di sé stesso” (Quirino Principe). La sua esecuzione richiede un tempo che oscilla tra i novanta e i cento minuti, con un organico orchestrale in cui Mahler, per attenuare la tendenza alla proiezione “verticale” delle immagini, usa mezzi particolarmente numerosi ed eterogenei (segnatamente gli ottoni, con otto corni, quattro trombe, quattro tromboni, tuba, basso tuba e corno di postiglione).

L’esecuzione della sinfonia (che segna comunque un ritorno dopo tre anni, dato che l’ultima volta della Terza di Mahler era stata nel maggio 2013, con l’Orchestra, il Coro e le Voci Bianche dell'Accademia di Santa Cecilia, diretti da Michael Tilson Thomas) si prefigurava quindi come un’impresa di notevole portata, in cui le forme musicali non si scontrano dialetticamente come in altre sinfonie mahleriane, ma convergono in uno sforzo e in una tensione portati alle estreme conseguenze, con un immane accumulo di energie e un’esuberanza compositiva che vuole racchiudere nella musica tutto l’universo, fino a raggiungere un afflato mistico e panteistico.

Del resto, solo un direttore che dominasse la complessa materia del grande compositore boemo sarebbe stato all’altezza del compito. E il sessantacinquenne ungherese Iván Fischer ha saputo adempiere perfettamente questa missione, gestendo con consumato mestiere e sagace abilità le ingenti masse orchestrali e il coro, perfettamente distribuiti sul palco della Sala Santa Cecilia: così ottoni e percussioni a sinistra si corrispondevano mirabilmente con le arpe a destra e con il consueto schieramento centrale degli archi. 

La sinfonia fu composta tra il 1893 e il 1896, prevalentemente durante l’estate, nel soggiorno di Steinbach, e venne eseguita per la prima volta solo nel 1902, al festival di Krefeld, sotto la direzione dello stesso compositore: in essa si assiste al prorompere della vitalità della natura, che spezza le catene a cui sembra vincolata, senza però mai esplodere in misura decisiva. Del resto, in questa sinfonia la civiltà poetica e filosofica dell’Europa trova un mirabile senso dell’eclettismo, in cui possono coesistere il poema cristiano Des Knaben Wunderhorn e i versi dell’anticristiano Friedrich Nietzsche.

La prova di Fischer, caratterizzata da equilibrio, eleganza e perfezione formale, è stata davvero notevole, perché dirigere Mahler non vuol dire soltanto calcolare sapientemente la durata quasi estenuante delle sue sinfonie o calibrare attentamente gli elementi e le masse orchestrali, che sembrano provenire dalla Grande Vienna della fine del secolo XIX. Vuol dire anche affrontare la potenza dello spirito dionisiaco che, anziché trovare la serenità trasformandosi in apollineo, rischia di andare incontro alla catastrofe della fine, dissolvendosi e trovando la morte.

Non a caso il filosofo e musicologo tedesco Theodor W. Adorno ha scritto che “in Mahler la musica supera l’orrore dei racconti di Poe e della poesia di Baudelaire, il goût du néant, come se esso fosse divenuto straniamento del proprio corpo”.

Tuttavia, nella Terza Sinfonia la conclusione non appare radicalmente pessimistica, perché sembra rimandare all’idea di una conciliazione che suggelli la rigenerazione di tutto l’universo. Non a caso una delle possibili fonti d’ispirazione della sinfonia è un poema dal titolo Genesis, composto dallo scrittore Siegfried Lipiner, amico di Wagner e Nietzsche, nel quale con inusitata forza visionaria si riconduce l’origine del mondo a una nuvola antropomorfa in grado di parlare e di creare (nel senso del λόγος, lógos, ebraico-cristiano che dà origine al mondo).

Il Primo tempo, ampio e prolungato, fino a formare quasi una sinfonia autonoma all’interno dell’intera sinfonia, reca come indicazione Kräftig. Entschieden (Vigoroso. Risoluto) e si colloca tra le tonalità di re minore e fa maggiore. Il movimento inizia con un tema affidato a otto corni che lo eseguono in fortissimo. Ma, seguendo i ritmi e i tempi dei fenomeni naturali (quasi contrapposti a quelli della storia umana, come in Lucrezio, dato che per Mahler “la natura comprende tutto ciò che è terribile, grande e ad un tempo amabile”), finisce poi con lo svaporare nel pianissimo di una sequenza dai contorni semispettrali, che non a caso tornerà nel Quarto tempo di sapore “nietzscheano”. È come se il musicista si abbandonasse ad un’ebbrezza dionisiaca, immergendosi nella natura e dimenticando la sua condizione umana e soggettiva. Lo schema della sinfonia e della sonata qui diventa solo “un sottile involucro steso sul decorso formale interiore, che è assai libero” (Adorno).

Ci troviamo di fronte a dei microorganismi musicali che cambiano incessantemente pur essendo collocati all’interno delle immutabili figurazioni principali: merito del direttore è stato quello di aver saputo guidare con fine lavoro di cesello l’orchestra e il coro nell’interpretare la partitura. L’orchestra ha cominciato quasi in crescendo, con decisione e intensità, per poi riprendere il tema iniziale alternando con senso della misura i fortissimi e i pianissimi.

Nel Secondo movimento, in la maggiore, Tempo di Menuetto. Sehr mässig (Molto moderato), l’oboe introduce un tema poi più volte ripreso dagli archi, quasi riproducendo una melodia tradizionale austriaca. Appare quasi come un intermezzo in Jugendstil, o stile floreale, con una melodia quasi ipnotica che potrebbe continuare all’infinito.

Nel Terzo movimento, in do minore, invece, lo Scherzo non fa altro che riportare alla dimensione della sinfonia uno dei Lieder giovanili compresi nella raccolta Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo), con il celeberrimo assolo del corno di richiamo del postiglione, che sembra provenire da una dimensione arcana e distante, dato che appare dietro il palcoscenico: è uno strumento ormai consegnato all’oblio e usato per riprodurre in modo quasi Kitsch una melodia simile a quella del riposo notturno nell’esercito imperial-regio austro-ungarico. Ma nella sinfonia di Mahler esso (suonato mirabilmente da Balázs Tóth) intona una lunga e ipnotica melodia che si protende fino agli spazi interstellari, attingendo una felicità proibita pur usando una materia musicale semplice: al punto tale che, quando entra per la seconda volta, i violini lo ascoltano quasi scuotendo il capo, come sottolinea lo stesso Mahler.

Nel Quarto tempo il contralto solo, Gerhild Romberger, ha intonato il “Canto di mezzanotte di Zarathustra” (“Zarathustras Mitternachtslied”), tratto dalla quarta e ultima parte del poema filosofico in prosa Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra) di Friedrich Nietzsche (che, con singolare coincidenza, nello stesso anno in cui Mahler ultimò la sinfonia, il 1896, ricevette una trasposizione come poema sinfonico da parte di Richard Strauss). Il grande poeta-filosofo affida a dei versi di profonda malinconia una meditazione sul tempo e sul rapporto tra il dolore, il piacere e l’eternità: “Weh sprich: Vergeh! Weh sprich: Vergeh!/Doch alle Lust, will Ewigkeit!/Will tiefe, tiefe Ewigkeit”. (Il dolore dice: perisci! Il dolore dice: perisci!/Ma ogni piacere vuole eternità!/Vuole profonda, profonda eternità.): nella mezzanotte viviamo nella dimensione di solitudine assoluta e cosmica.

Con l’espressione “eternità”, in realtà, Nietzsche alludeva alla sua idea di eterno ritorno: ogni piacere si potenzia nella misura in cui viene reiterato in eterno, perché in tal maniera l’uomo non aspira a qualcosa che potrebbe venire dopo, né pensa ai risultati o alle conseguenze. Il piacere permane pertanto in una dimensione di pura immanenza, mentre il dolore tende sempre a superarsi e a trascendersi. Tuttavia, una simile interpretazione del concetto di piacere lo lascerebbe in uno stato di pura fissità, impedendogli di accogliere l’eterno ritorno come incessante divenire e continuo oltrepassamento dei limiti dell’umano. Il divenire e l’eternità sarebbero prerogativa di chi soffre e quindi non dell’oltreuomo (Übermensch).

In realtà, per Nietzsche tutti gli enti sono stretti da una connessione universale, per cui gli opposti si compenetrano: il dolore è anche piacere, la maledizione è anche benedizione, la notte è anche un sole, un saggio è anche un pazzo. Ne consegue che dire sì a un piacere significa dire simultaneamente sì a tutti i piaceri e a tutti i dolori insieme. L’eternità non spetta ai singoli istanti di dolore o di piacere, ma al divenire stesso, in cui non c’è un senso o una direzione operante: ciò equivale a dire che il divenire viene interpretato e giudicato a partire da qualcosa di stabile che ad esso si sottrae.

Del resto, il discorso filosofico, nella sua stabilità e nella ricerca di un riferimento fisso, non si mostra all’altezza di esprimere il divenire nella sua mobile innocenza. Ecco perché a questo scopo più sembra adatta la parola poetica e ancora di più la sua trasposizione musicale. Mahler ne era consapevole, e in questo si mostra forse più vicino alla sensibilità di Nietzsche di quanto sia stato lo stesso Wagner: la simbiosi tra musica e parole rappresenta un elemento “alato”, un connubio così leggero da poter rappresentare perfettamente l’infinità molteplicità e caoticità del divenire.

Lo stesso tema cantato dal contralto allude alla compenetrazione assoluta dei contrari: per Nietzsche e Mahlermezzogiorno” e “mezzanotte” si equivalgono, essendo entrambi simboli della perfezione del mondo. Ogni momento del divenire è un insieme di Mittag (mezzogiorno) e di Mitternacht (mezzanotte), di piacere e di dolore, di saggezza e di follia. Musicalmente, Mahler traspone la meditazione di Nietzsche in suoni protratti quasi illimitatamente (con l’indicazione “misterioso”, in italiano). Il pedale con la quinta vuota nei bassi sospende per così dire il tempo, permettendo al canto di librarsi accompagnato dal pianissimo degli archi e delle arpe, che riescono quasi a ipnotizzare l’ascoltatore, immergendolo pienamente nell’«innocenza del divenire».

Il Quinto movimento completa in senso polifonico le melodie già preannunciate negli altri: il Canto degli angeli, sempre tratto da Des Knaben Wunderhorn, vede avvicendarsi prima il coro di voci bianche (in cui si potrebbero ravvisare le voci puerili della Rosa dantesca nel canto XXXIII del Paradiso, poi riprese da Goethe nel finale del Faust e da Thomas Stearns Eliot nei Four Quartets, "Little Gidding" V, 35: children in the apple-tree) e poi quello femminile (che evoca la sfera degli angeli delle Duineser Elegien di Rainer Maria Rilke), che infine si sovrappongono, accompagnati dal contralto e creando un’armonia celestiale che si stempera nel lunghissimo adagio del Sesto e ultimo movimento.

Qui il tema principale è ispirato al Lento assai del Quartetto op. 135 di Ludwig van Beethoven (l’ultimo degli Spätquartette del genio di Bonn, incredibilmente innovativi e dirompenti): quasi come un quartetto d’archi dilatato e suonato da un organico sovradimensionato, con la tonalità di re maggiore che allude a una speranza ultraterrena la quale sembra quasi, nella sua irraggiungibilità, costituire un momento drammatico di antitesi con il perenne divenire autodissolutorio del profeta Zarathustra.

 
Pubblicato in: 
GN19 anno VIII 17-24 marzo 2016
Scheda
Titolo completo: 

Gustav Mahler: Sinfonia n. 3 in re minore, in sei tempi; per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra.

Budapest Festival Orchestra

Coro e Voci bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Concerto del 13 marzo 2016 - Parco della Musica di Roma - Sala Santa Cecilia

Iván Fischer: direttore

Gerhild Romberger: contralto

Ciro Visco: maestro del Coro

Balázs Tóth: cornetta di postiglione

I. Kräftig. Entschieden (Forte e risoluto).

II. Tempo di Menuetto. Sehr mässig. Ja nicht eilen! (Tempo di minuetto. Molto moderato. Sì, non accelerare).

III. Comodo. Scherzando. Ohne Hast. (Comodo, Scherzando, Senza fretta).

IV. Sehr langsam - Misterioso (Molto lento - Misterioso). Durchaus ppp (Assolutamente ppp). "O Mensch! Gib acht": Alt-Solo. Text: Friedrich Nietzsche, "Also sprach Zarathustra" (("Uomo, sta' attento": Assolo di contralto. Testo: Friedrich Nietzsche, "Also sprach Zarathustra").

V. Lustig im Tempo und keck im Ausdruck (In tempo vivace e sfrontato nell'espressione). "Es sungen drei Engel": Alt-Solo, Damen- und Knabenchor; aus "Des Knaben Wunderhorn". ("Cantarono tre Angeli": per contralto, coro femminile e coro di voci bianche; da "Il corno magico del fanciullo").

VI. Langsam. Ruhevoll. Empfunden (Lentamente. Tranquillo. Profondamente sentito).

Voto: 
10