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Santa Cecilia. La Quinta di Mahler. L'angoscia segreta della Grande Vienna
La Quinta sinfonia in do diesis minore di Gustav Mahler, che il Maestro Valery Gergiev ha mirabilmente diretto con l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia all’Auditorium Parco della Musica, il 14 novembre 2010, risulta forse la più celebre ed eseguita composizione del grande compositore austriaco. Scritta tra il 1901 e il 1902 nella sua villa sul lago in Carinzia, nel periodo in cui il compositore conobbe e poi sposò Alma Schindler, ebbe la sua première a Colonia, nel Tonkünstlersaal, il 18 Ottobre 1904.
Secondo Quirino Principe, le sinfonie di Mahler “sono musica altamente impura”, nel senso che ogni tema, ogni semplice motivo, e perfino ogni suono isolato, sono gravidi di significati poetici, filosofici, talora anche sociali e politici, declinati in chiave problematica. Paradossalmente, ciò non smentisce né contraddice l'ideale di "musica assoluta" che viene addirittura esaltato sino al parossismo. Questo apparente paradosso si spiega con il fatto che tutti gli elementi extramusicali, dal Naturlaut (la cosiddetta voce di natura, come i versi degli uccelli o i crolli catastrofici) a ogni evento umano e naturale, assumono una funzione simbolica e non descrittiva, venendo quasi deprivati di ogni possibile valore referenziale, per quanto esso possa essere dotato di forte connotatività (anche perché non esiste musica che sia solo referenziale e denotativa, cosa che contraddirebbe alla sua stessa natura): siamo quindi lontani dalla musica a programma o dai poemi sinfonici del suo contemporaneo Richard Strauss. Semmai si può parlare di una sorta di programma interiore (inneres Program), che trasforma il mondo esterno in una sorta di riflesso dell’infinito pensiero creatore dell’artista.
La Quinta sinfonia non si sottrae a queste considerazioni, ed anzi le conferma in pieno, configurandosi come una sorta di tragedia recitata dall'orchestra, come più volte ha detto lo stesso Mahler, il quale non scrisse mai un’opera teatrale perché le sue sinfonie interiorizzavano, per così dire, il teatro d'opera, rendendolo implicito in sé stesse. E come la Prima sinfonia è il dramma di un eroe che combatte e muore, così la Quinta adombra un itinerario nel deserto.
L’apertura è affidata a un’agghiacciante marcia funebre (Primo tempo: Trauermarsch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt), che la sapiente direzione di Gergiev (il quale, quasi emulando Kurt Masur, conduce senza bacchetta) incanala verso una direzione di particolare e solenne austerità, con l’orchestra che la esegue con simmetrica compostezza, fin dalle battute iniziali, dove la tromba si staglia con cristallina solitudine pur emettendo note “disturbate” (e che rimandano a un tema della Quarta sinfonia).
I fiati e gli archi disegnano poi una sorta di contrappunto melodico ai tempi della marcia, evocando la morte e la decadenza in modo da riflettere la nevrosi e il senso di precarietà che attanagliavano spesso il compositore, portandolo vicino all’angoscia del Nulla, così tipica delle filosofie esistenzialiste, ma che in lui era piuttosto il frutto della coscienza di chi ha potuto contemplare il macabro e il tragico nella loro quintessenza.
In questo movimento, per dirla con Theodor W. Adorno, la musica mahleriana “precipita” come in un caleidoscopio: Mahler rende dinamico il materiale formale, senza però cancellare i circuiti tradizionali. È come se il lamento di chi è ribelle a ogni disciplina trovasse la libertà di esprimersi in una marcia stilizzata secondo schemi convenzionali, per certi tratti addirittura di ascendenza militaresca.
Il secondo tempo (Stürmisch bewegt. Mit größter Vehemenz) è una sorta di Allegro in forma sonata, e secondo lo stesso autore si presenta come il primo vero movimento della sinfonia (peraltro forma con il primo la Prima parte dell’opera). Del resto, in questo movimento vengono liberate alcune cellule tematiche già presenti nel primo (in particolare nella seconda parte del Trio), ma sviluppate in modo nettamente più lento, finché non si assiste a una brusca virata, con vertici di impetuosità rari anche nel resto del repertorio sinfonico mahleriano. Dopo un tripudio di ottoni, che sembrano quasi esaltare ottimisticamente un momento di operosità faustiana, il movimento si conclude con un pianissimo del timpano e un pizzicato degli archi, terminando in una dimensione di angoscioso mistero. Dimostrazione di come la totalità non si armonizzi con il particolare, come invece avveniva nel classicismo viennese (ossia in Haydn, Mozart e Beethoven).
Sempre Adorno ha osservato che questo movimento ricorda la forma del romanzo, nel senso che introduce temi nuovi, ma traveste anche materiali tematici già noti, in modo che l’ascoltatore li percepisca come inediti, come certi personaggi dei romanzi che in un primo momento passano inosservati – e già se n’era accorto Marcel Proust. L’interpretazione di Gergiev è veemente e movimentata (a tratti compie quasi dei salti sulla pedana).
Il terzo tempo è uno Scherzo in re maggiore con due Trii: si tratta della massima esaltazione della polifonia mahleriana, contrassegnata da movimenti in forma di danza (stile valzer viennesi), che si compenetrano perfettamente l’uno con l’altro. Nella coda vengono addirittura combinati quattro temi diversi, affidati inizialmente ai corni e poi a tutta l’orchestra. È stato detto che, mentre i primi due tempi hanno un sapore se non nichilistico quanto meno fortemente pessimistico, il terzo tempo si eleva decisamente verso un’affermazione dei valori vitali, quasi che Mahler riproducesse in musica un percorso filosofico di stampo goethiano e nietzscheano. E non è un caso che il critico musicale Donald Mitchell abbia individuato una fonte della partitura mahleriana nel Lied di Franz Schubert An Schwager Kronos (All'auriga Kronos), basato sul testo di una poesia di Johann Wolfgang Goethe (con i celebri versi: "Vom Gebürg zum Gebürg/Über der ewige Geist/Ewigen Lebens ahndevoll." - "da montagna a montagna/trascorre lo spirito eterno/presago di eterna vita".). Potremmo piuttosto dire che si tratta di due visioni del mondo che coesistono, senza che la seconda superi la prima, forse in virtù del fatto che Mahler tendeva a contemplare sé stesso e gli eventi in modo ambivalente e spesso lacerato.
Il quarto tempo (Adagietto. Sehr langsam, in tonalità di fa maggiore) costituisce forse la più celebre delle pagine mahleriane, resa popolare dal regista Luchino Visconti che la utilizzò come colonna sonora della trasposizione cinematografica (1971) del romanzo Der Tod in Venedig (Morte a Venezia) di Thomas Mann, il quale ammirava così tanto Mahler da chiamare in suo onore Gustav il personaggio principale del romanzo, lo scrittore von Aschenbach (e venne usata anche da Leonard Bernstein come accompagnamento alla sepoltura di Robert Kennedy, nel 1968).
Siamo di fronte a una sorta di oasi lirica, una vera e propria romanza senza parole, compressa tra il complesso Scherzo e il vigoroso Rondò finale, la cui delicatezza traspare immediatamente anche dalla scelta di affidarne l’esecuzione ai soli archi e all’arpa, con la parte iniziale incentrata sui primi violini, che hanno in questa esecuzione evidenziato le loro doti virtuosistiche. Tematicamente esso si rifà a un’opera precedente, ossia al Lied “Ich bin der Welt abhanden gekommen” (“Mi sono perso nel mondo”), il terzo dei Rückert-Lieder (e precisamente alle parole “Ich bin gestorben dem Weltgetümmel” - “Io sono morto al frastuono mondano”), e trasporta l’ascoltatore in una dimensione onirica che dura solo per il tempo in cui vibra la musica, senza dare quasi modo di rimeditarla.
Per Adorno, nell’Adagietto assistiamo a un indugio che arresta il corso del tempo e costringe la musica a rivolgersi indietro: del resto, esso funziona come una sorta di costruzione formale autonoma, in splendido isolamento rispetto alla sonorità complessiva della sinfonia, dominata dagli ottoni e dagli altri fiati; ciò non toglie che funga quasi da introduzione al Rondò finale, che a tratti lo riprende anche nel tema. Gergiev lo interpreta senza dilatarlo eccessivamente, come invece hanno fatto altri direttori che lo hanno portato a oltre dodici minuti.
Il quinto movimento (Rondò-Finale. Allegro, in re maggiore) costituisce una sorta di sintesi riepilogativa, compendiando nella sua struttura della forma sonata vari temi presenti nei precedenti movimenti, ma anche in altre opere, dal tema secondario dello Scherzo al Lied “Lob des hohen Verstandes” ("Lode dell’intelligenza superiore", dalla raccolta Des Knaben Wunderhorn, 1896: si tratta di una sorta di racconto umoristico relativo a una gara di canto tra un cuculo e un usignolo al termine della quale un asino, designato come giudice, proclama vincitore il più saggio dei due, vale a dire il cuculo). La prima parte del movimento riecheggia perfino il finale della Seconda sinfonia di Ludwig van Beethoven.
Infine, come abbiamo poc’anzi osservato, viene ripreso il tema dell’Adagietto, in forma trasmutata, che trascorre in una serie di sottotemi secondari fino a una conclusione reboante, che sembra celebrare il trionfo della vita e della creazione, ma dietro la quale si nasconde qualcosa di deviato e deformato, quasi un “odore sulfureo”, come ebbe a rilevare Adorno, in modo da consegnare ai posteri quell’ambiguità e quell’angoscia segreta che furono i tratti fondamentali della Grande Vienna alla svolta tra il XIX e il XX secolo.