Supporta Gothic Network
Santa Cecilia diretta da Masur. L'olimpica sovranità della fratellanza universale
L’integrale delle sinfonie di Beethoven, affidate all’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, con la direzione di Kurt Masur, si è conclusa il 24 settembre 2010 con l’esecuzione dell’Ottava e della Nona Sinfonia. L’Ottava Sinfonia, la cui composizione cominciò nel 1811, venne portata a termine nell’estate del 1812, durante una serie di soggiorni in località di vacanza nei quali il grande compositore ebbe occasione di incontrare Goethe.
Di Goethe era più giovane di 21 anni, mentre era coetaneo di Hegel: singolare e quasi irripetibile concentrazione di grandi menti in uno stesso periodo e nello stesso paese – eventi simili si possono riscontrare poche altre volte nella storia dell’umanità, per esempio nell’Atene del V secolo a. C. o nella Vienna tra XIX e XX secolo.
Sarebbe ingiusto qualificare l’Ottava come una sorta di intermezzo, una sinfonia di transizione tra l’elegante Settima e la suprema Nona, prendendo a pretesto anche il suo tono quasi “umoristico”. In realtà, si tratta di un’opera in cui viene quasi trasposta in musica l’ironia romantica così ben descritta da Friedrich Schlegel, quando la definiva come il modo di sentire di “chi sovrasta ogni cosa, di chi si eleva infinitamente al di sopra di ogni cosa finita”, superando così perfino la propria arte e la propria genialità.
Beethoven si serve di meccanismi apparentemente rigidi e ripetitivi per osservare, come notò Robert Schumann, in modo distaccato la vitalità ritmica di cui aveva intriso la precedente Settima sinfonia. Del resto, le citazioni dalla musica del XVIII secolo gli servono in realtà per fare risaltare con maggiore forza il “prorompente, il trascendente, l’estaticamente ebbro come sua conseguenza e negazione” (Adorno).
E, pur con un certa solenne e meditata lentezza, Kurt Masur ha condotto l’Orchestra di Santa Cecilia interpretando perfettamente il tono umoristico della sinfonia, assecondato anche da un sapiente gioco tra i fagotti (strumenti tipici del tono umoristico, come sa chiunque ne abbia imparato il timbro ascoltando Pierino e il lupo di Prokof'ev) e gli archi.
Il primo tempo (Allegro vivace e con brio) muove da un tema compatto ed energico (in tre sezioni di quattro battute ciascuna) che però dopo pochi minuti si diversifica, con movimenti secondari che irrompono sinuosi, quasi sovrapponendosi e obliterando il motivo iniziale. Si aggiunge poi un motivo di danza, ad evocare, potremmo dire, i Ländler, le danze folk austriache antesignane del valzer a cui si era già ispirato per la sinfonia “Pastorale”.
Il secondo tempo (Allegretto scherzando) si caratterizza per il tono parodico, al punto che si è ritenuto quasi che volesse imitare il modo di funzionare del metronomo, strumento da poco inventato e perfezionato da un amico di Beethoven, Johann Mälzel.
Il terzo movimento (Tempo di Minuetto) sembra quasi un ripiegamento nostalgico (come già nel minuetto della Sonata per pianoforte op. 31, n. 3) verso Haydn e Mozart, di cui ricorda Ein musikalischer Spass. Ma rispetto ai minuetti settecenteschi quello di Beethoven appare più ruvido, con un ritmo martellante e incalzante che scuote l’ascoltatore, grazie anche ad alcuni sublimi assoli dei corni e del carinetto.
Il quarto e ultimo movimento (Allegro vivace) si ispira al modulo espressivo della “caccia”, con un finale giocoso di stampo settecentesco. Lo schema è quello del rondò-sonata, con il materiale d’apertura che riappare in tre luoghi e con la conclusione che sfoggia un’impeccabile capacità armonica.
Quando si deve parlare della Nona, ogni elogio sembra perfino riduttivo, tanta è la celebrità che la circonda e l’aura di creazione artistica assoluta che l’ha sempre accompagnata. Franz Liszt, che nel 1851 ne compose una trascrizione per due pianoforti, considerava la Nona Sinfonia insieme con la Divina Commedia dantesca come i due massimi vertici dell’ingegno umano. Richard Wagner, invece, la definì “il vangelo umano dell’arte dell’avvenire”, negando quasi, hegelianamente, che dopo di essa ci potesse essere un autentico progresso in musica, salvo il dramma universale, ossia il suo Gesamtkunstwerk di cui lo stesso Beethoven avrebbe fornito la chiave artistica.
E non a caso Adrian Leverkühn, il protagonista del Doktor Faustus di Thomas Mann (le cui parti musicali furono influenzate da Adorno), nel presentare la sua opera - la Lamentatio Doctoris Fausti, un oratorio che cerca di annullare la luminosità della vita e, con essa, ogni afflato di speranza -, esclama: “voglio annullare la Nona sinfonia!”. È come se intendesse scrivere una sorta di Nona invertita, sostituendo con l'esaltazione angosciosa e apocalittica dell'oscura vita moderna la cultura affermativa e i valori di bellezza e classicità veicolati dall’opera beethoveniana.
Il che che non ha impedito a Stanley Kubrick di utilizzare alcuni brani della Nona per accompagnare le imprese più violente del giovane teppista Alex nel film A Clockwork Orange (seppure stravolti al sintetizzatore dal compositore elettronico Wendy Carlos), quasi rovesciando parodicamente il messaggio di concordia e amicizia che Beethoven intendeva attribuirle (del resto, la possibilità di interpretazioni contraddittorie della Nona è ben esemplificata da un lato da Wilhelm Furtwängler, che nel 1941 la diresse di fronte al Führer, non certo per celebrare la fratellanza tra i popoli, e dall’altro da Leonard Bernstein, che nel 1989 la diresse a Berlino per festeggiare la caduta del muro, sostituendo nell’inno finale la parola “libertà” [Freiheit] alla parola “gioia” [Freude]).
Beethoven ultimò la Sinfonia nel 1824, dopo anni di abbozzi e di lavori preliminari; ebbe la sua première a Vienna il 7 maggio dello stesso anno, al Kärntnertortheater, anche se il maestro di Bonn avrebbe preferito farla eseguire a Berlino, ritenendo il gusto viennese troppo plasmato da compositori come Rossini.
Il primo movimento (Allegro ma non troppo, un poco maestoso) è in forma sonata, con una Stimmung spesso tempestosa. Il tema di apertura viene suonato pianissimo con archi che sembrano quasi tremolanti, come se i musicisti stessero accordando gli strumenti. Da lì, gradualmente, ma con una potenza inarrestabile, emerge il tema, di sole quattro battute, che guiderà l’intero movimento. Secondo Theodor W. Adorno, siamo in presenza della pura rappresentazione della necessità, in cui però si può riscontrare la differenza tra arte e filosofia. L’opera d’arte è più resistente della filosofia ad essere assimilata alla realtà: “l’arte è più reale della filosofia poiché dichiara l’identità come apparenza”.
Il secondo movimento (Scherzo: Molto vivace – Presto) è in re minore, con il tema di apertura che ricorda la sonata per pianoforte Hammerklavier, una delle più innovative della produzione di Beethoven, con ritmi propulsivi e uno sconcertante assolo di timpani. Molti degli elementi presenti in questo tempo risultarono assolutamente innovativi: dalla scelta dei tempi pari per la parte centrale fino a sonorità che vennero riprese nel sinfonismo del tardo Ottocento da compositori tedeschi e slavi.
Il terzo movimento (Adagio molto e cantabile - Andante Moderato) è la parte lenta della Sinfonia, costruita intorno a una serie di variazioni che elaborano progressivamente il ritmo e la melodia. La variazione finale è interrotta due volte: assistiamo a un gioco di corrispondenze tra gli squilli di trombe, a mo’ di fanfara, e il lavoro di cesello, quasi rarefatto, dei primi violini.
Il quarto movimento (Presto; Allegro molto assai [Alla marcia]; Andante maestoso; Allegro energico, sempre ben marcato), il più lungo dell’intera sinfonia (al punto da poter essere quasi definito una sinfonia nella sinfonia), contiene la celeberrima parte corale su testo di Friedrich Schiller (An die Freude, L’inno alla gioia divenuto inno ufficiale dell’Unione Europea).
Si può dire che questo quarto movimento sia articolato quasi come una ricapitolazione di tutta la sinfonia, con quattro parti suonate senza interruzione, secondo il seguente schema: dapprima compare il tema principale accompagnato dalle variazioni, introdotto dai violoncelli e dai contrabbassi e poi ripreso dal coro; poi il movimento evolve verso una sorta di scherzo in stile militare per sfociare in una variazione corale in 6/8 del tema principale; assistiamo di seguito a una sorta di lenta meditazione scandita dalle celebri parole “Seid umschlungen, Millionen! (Abbracciatevi, moltitudini!)”; infine, la conclusione appare come una sorta di fuga basata sui temi precedenti.
La musica qui si compenetra perfettamente con le parole di Schiller, in un crescendo quasi ditirambico. Si potrebbe peraltro pensare che il testo dell’Inno alla gioia (che il poeta scrisse nel 1785 per celebrare l’amicizia con Gottfried C. Körner) comunichi un messaggio univoco di ottimismo (influenzato da Leibniz e dai moralisti inglesi, come Shaftesbury, l’autore della Lettera sull’entusiasmo), in cui la gioia, l’amore e l’amicizia sono considerati l’espressione di quella simpatia universale che costituisce il fondamento dell’armonia tra gli uomini e di questi con la Natura.
Va tuttavia osservato che, come ha rilevato acutamente Adorno, è proprio dell’utopia borghese il fatto che essa non riesca a pensare l’immagine della gioia perfetta senza associarvi quella di coloro che ne sono esclusi. La gioia esiste solo in rapporto all’infelicità del mondo. Infatti, “anche chi un’anima sola/sulla terra dice sua” ("wer auch nur eine Seele/Sein nennt auf dem Erdenrund"), ossia l’amante felice, è compreso nella comunità delle persone felici, ossia nell’umanità autenticamente borghese. Ma “chi mai poté, piangendo/abbandoni questa cerchia” ("wer's nie gekonnt, der stehle/Weinend sich aus diesem Bund", trad. it. di Giovanna Pinna): versi forse disumani, come già Jean Paul aveva notato.
E Adorno estende anche alla trasposizione beethoveniana questa umiliazione dell’infelice, non amato o incapace di amare, tipica di una sorta di totalitarismo borghese: la musica così potentemente affermativa della Nona sinfonia martella negli ascoltatori l’idea per cui non c’è un vero spazio per il solitario che non partecipa a questa gioia: “è così e non in un altro modo”.
L’olimpica sovranità con cui Masur ha diretto l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ricevuto dal pubblico il tributo meritato: ben otto minuti di scroscianti applausi, che hanno fatto fremere di commozione il maestro tedesco, congedatosi da questa “occasionale” e straordinaria direzione con il lascito di un’integrale delle sinfonie beethoveniane che in futuro potrà giustamente essere annoverata tra le esecuzioni classiche da conservare nella propria collezione di dischi.