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Santa Cecilia. Beethoven diretto da Kurt Masur. Dall'idillio all'apoteosi della danza
Il 17 settembre 2010, in una Sala Santa Cecilia che ha fatto registrare il tutto esaurito, abbiamo assistito a una splendida esecuzione della VI e della VII sinfonia di Ludwig van Beethoven. L’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, diretta da Kurt Masur, ha interpretato con leggerezza non disgiunta da profonda ispirazione i due capolavori del maestro di Bonn, al punto che gli stessi orchestrali hanno tributato un insolito omaggio all’ottantatreenne direttore tedesco (che ha diretto senza usare la bacchetta), con una standing ovation accompagnata da applausi sincronizzati.
La prima delle sinfonie eseguite, la n. 6 in fa maggiore op. 68 (nota come “Pastorale”), rappresenta uno degli esempi più emblematici di “musica a programma”, che nell’Ottocento culminerà nella forma del poema sinfonico resa celebre da Franz Liszt e Richard Strauss (e in quanto tale contrapposta alla “musica assoluta”, che si riferisce soltanto a sé stessa).
Lo stesso Beethoven, nei quaderni preparatori alla Sinfonia, composta tra il 1807 e il 1808, usò il sintagma sinfonia caracteristica, riferendosi al fatto che l’ascoltatore viene orientato verso una costellazione di caratteri tematici (di solito i temi che andavano per la maggiore tra ‘700 e ‘800 erano quelli pastorali, militari, venatori, meteorologici e patriottici). In questo caso, come ha notato lo studioso Maynard Solomon nella sua autorevole biografia di Beethoven, il compositore di Bonn accantona le contese con il Destino (incarnazione, da un punto di vista psicoanalitico, del principio paterno) per trovare conforto in una sorta di rousseauiano ritorno alla Natura e all’infanzia, simboli, invece, della generosità materna.
La sinfonia “Pastorale” si articola in cinque movimenti, benché si possa segmentare in due blocchi compatti: il primo è costituito dai due movimenti iniziali, di impostazione più classica ed echeggianti la forma-sonata; il secondo, invece (che consta dei rimanenti tre movimenti), appare di carattere più narrativo, ma subordinato a una concezione del tempo di tipo circolare, quasi a rappresentare il divenire immobile della Natura scandito dall’eterno ritorno che poi Nietzsche renderà celebre.
L’orchestra attacca il primo movimento (Allegro ma non troppo, con la didascalia beethoveniana “Risveglio di sentimenti lieti all’arrivo in campagna”) in modo sommesso, per poi dare risalto alla timbrica strumentale, che viene esaltata dall’acustica della sala. Colpisce la nitida distinzione delle parti affidate ai vari strumenti, che esprimono ciascuna il mondo ordinato e stabile dell’antica campagna patriarcale, caratterizzando lo scorrere del tempo in senso elegiaco (e non a caso il tema principale è tratto da un canto agreste e popolare croato).
Un aspetto insolito di questo movimento è l'uso di una struttura microscopica, ottenuta grazie alla ripetizione di motivi molto brevi, in cui le cellule ritmiche rispecchiano la ripetizione dei suoni della natura e l’armonia riproduce invece il sublime. Come ha osservato Theodor W. Adorno, questo tempo riesce ad esprimere la quiete per mezzo del movimento, e ricorda la Šekinah ebraica, ossia la presenza, nascosta o visibile, di Dio nel mondo.
Il secondo movimento (Andante molto mosso. “Scena presso il ruscello”) vede gli archi suonare un motivo che imita il fluire dell’acqua corrente: due violoncelli in sordina intonano il tema del flusso, accompagnati dal pizzicato degli altri violoncelli e del contrabbasso. Alla fine del movimento, tre strumenti a fiato imitano i richiami degli uccelli: usignolo (flauto), quaglia (oboe) e cuculo (clarinetto).
Il terzo movimento (Allegro. “Allegro convegno di contadini”) è una specie di Scherzo, seppure in forma alterata, con moduli espressivi che si ritroveranno nella sonata per pianoforte n. 29 "Hammerklavier" e nelle sinfonie di Anton Bruckner. Il tempo si conclude con un’atmosfera tumultuosa e si interrompe bruscamente con l’arrivo delle prime avvisaglie di pioggia.
Il quarto movimento, in fa minore (Allegro. “Tempesta, bufera”), rappresenta un violento temporale con scrupoloso realismo, partendo da poche gocce di pioggia fino a culminare in un maestoso climax orchestrale. Come accade nel Quintetto per archi KV 516 di Mozart, si passa quasi senza soluzione di continuità al sereno movimento finale.
Si tratta del quinto movimento (Allegretto. "Canto di pastori. Sentimenti di allegria e riconoscenza dopo la bufera"), scritto in forma di rondò-sonata, nel senso che il tema principale appare in chiave tonica all'inizio dello sviluppo, nonché nell'esposizione e nella ricapitolazione. L'umore che permea questo movimento è assolutamente gioioso (quasi a riprodurre musicalmente il genere dell’idillio, riportato in auge dall’Hermann und Dorothea di Goethe), con l’orchestra che asseconda Masur in una sorta di culmine estatico, in cui si inserisce un passaggio quasi “sotto voce”, il quale rappresenta una regressione felice che funge da antidoto contro il male di ogni impulso distruttivo (Adorno).
La seconda composizione in programma era la celebre Settima sinfonia in la maggiore op. 92, su cui è d’obbligo ricordare i giudizi di Richard Wagner, che la definì “apoteosi della danza”, e di Johann Wolfgang von Goethe, che vi vide, ben prima di Friedrich Nietzsche, perfettamente fusi l’elemento apollineo e quello dionisiaco, chiamandola un’opera “greca” secondo la sua propria maniera.
Composta tra il 1811 e il 1812, ebbe la sua première all’Università di Vienna nel 1813, nel corso di un concerto organizzato per sovvenzionare l’esercito austriaco, reduce dalla battaglia di Hanau combattuta contro Napoleone.
Masur conduce l’orchestra quasi “ondeggiando” e accompagnando sapientemente con i gesti delle mani le repentine variazioni strumentali che si percepiscono fin dal primo movimento (Poco sostenuto. Vivace). Il tema iniziale (che presenta varie e sorprendenti analogie con il secondo tema del quarto movimento della Sinfonia in re maggiore KV 97 di Mozart, a Beethoven ignota perché inedita) è prima accennato dagli oboi e poi ripreso e completato dagli altri strumenti a fiato. La cellula ritmica fondamentale viene poi a introdurre le prime quattro battute del Vivace, che si snoda attraverso un’orgiastica varietà di effetti timbrici, di vertiginosi cambiamenti di registro e di continue tensioni e distensioni armoniche.
Segue il secondo movimento, il celeberrimo Allegretto: Masur lo fa eseguire quasi come se si trattasse di un tempo lento (che in questa sinfonia, come nella “sorella” VIII, è assente). Aperto e chiuso da un accordo di la minore, l’Allegretto si fonda, nel suo mesto e insieme quasi festoso incalzare, su un solo modulo ritmico (scandito dai fiati), che accompagna quasi come un discorso continuo la melodia orchestrale, affidata ai violini (modulo che verrà ripreso nel quartetto schubertiano Der Tod und das Mädchen), finché in conclusione tutti gli strumenti riprendono i due motivi.
Secondo Adorno non è sufficiente sostenere che anche questo movimento mantiene il carattere di danza. Per il grande musicologo francofortese, in esso opera una feconda dialettica tra fissità, oggettività e dinamica soggettiva. Il tema è dapprima fisso, quasi come una passacaglia, ma è in sé stesso estremamente soggettivo: il soggetto e l’oggetto vengono mediati attraverso il destino, per cui il segreto soggettivo trapassa impercettibilmente nella fatalità oggettiva. L’apparente fissità che si può constatare all’ascolto non deriva dal tema stesso, ma da un paradosso: siamo in presenza di variazioni che non variano, nella misura in cui riprendono compendiosamente tutte le novità musicali introdotte da Haydn e da Mozart.
Il terzo movimento (Presto), in forma di Scherzo, inizia con un vero inno alla gioia di vivere, riprendendo il tema dell’introduzione e alternando vari motivi ritmi e melodici, con le sezioni strumentali che quasi gareggiano nell’inseguire i vorticosi cambiamenti ritmici. Si inserisce anche il motivo di un canto popolare religioso austriaco, che funge da ritornello nella parte conclusiva (Presto meno assai).
Il quarto e ultimo movimento (Allegro con brio) vede Masur dirigere l’orchestra in modo da dilatare al massimo i tempi, sia pure con evidente e febbrile concitazione. La musica diventa quasi vorticosa, ispirata a una sorta di furore bacchico, con un vigoroso tema in sedicesimi che si alterna con un motivo trionfale introdotto dai fiati e ripreso dagli archi. È probabile, tra l’altro, che Beethoven abbia attinto qui a varie fonti, dalla canzone folk irlandese Nora Creina alla marcia trionfale di François Joseph Gossec nell'opera Le Triomphe de la République.
Nella perorazione conclusiva assistiamo quasi a un’estasi ritmica che ha fatto giustamente parlare di trascendenza, nel senso di un’apertura totale alla vita e al mondo, in cui lo spirito subisce, per usare un'espressione del musicologo Ernest Newman, una divina e mistica intossicazione.