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41° Festival della Valle d'Itria. Il raffinato e buffo Don Checco
Martedì 21 luglio, nell'atrio del Palazzo Ducale, il Festival della Valle d'Itria ha voluto rendere un doveroso omaggio a quest'autore riproponendo proprio il “Don Checco” affidando la direzione dell'Orchestra Internazionale d'Italia alla bacchetta di Matteo Beltrami e l'interpretazione dei due personaggi principali a Carmine Monaco e Domenico Colaianni, ben conosciuti dal pubblico del Festival ed interpreti perfetti per questo genere.
Nell'immenso scrigno di tesori musicali che Napoli ha lasciato ai posteri, patrimonio non ancora del tutto esplorato e valorizzato per la mole di materiale conservato, la forma dell'opera buffa rappresenta un aspetto affascinante e ricco di sorprese. Genere musicale particolarmente amato dal pubblico proprio per la tipologia e la struttura costruita e pensata per divertire, stupire ed esaltare le doti virtuosistiche ma anche teatrali e di recitazione dei protagonisti dell'epoca, aveva come “luogo di culto” il Teatro Nuovo di Napoli, nel quale erano costantemente rappresentate tutte le produzioni di questo genere.
Proprio in questo teatro venne rappresentata, con enorme successo di pubblico nel 1850 e per ben 96 repliche, il “Don Checco” di Nicola De Giosa, autore oggi relegato ad un oblio non del tutto giustificato ma che ha lasciato un contributo ed un'impronta stilistica ben definita.
Nel recensire opere come questa, che per la struttura narrativa vanno soprattutto viste e non certo raccontate, riteniamo sia importante condividere con il lettore gli elementi che nella rappresentazione suscitano, oggi come nel passato, momenti di sincero e rilassato divertimento.
La trama è basata sul classico gioco dell'equivoco e dell'identità presunta o celata degli interpreti e dalle situazioni che ruotando intorno a questi schemi danno lo spunto per creare momenti di comicità.
Fondamentale per ottenere il risultato sperato è la capacità dei cantanti di calarsi in un mondo teatral-musicale che aveva regole ben precise e richiedeva una perizia e disinvoltura scenica specifica e non sempre facile da gestire.
Diciamo subito che i due protagonisti principali, Carmine Monaco-Bertolaccio e Mimmo Colaianni-Don Checco non hanno deluso le aspettative del pubblico il quale, già conoscendo la loro familiarità con questo genere, pregustava quello che avrebbero detto ed anche improvvisato in scena, sia nelle parti cantate che in quelle recitate.
L'opera infatti, uno degli ultimi esempi del genere in un momento del secolo XIX che ormai privilegiava un altro modo di scrivere il melodramma, presenta in sostituzione delle sezioni tradizionalmente affidate a recitativi accompagnati veri e propri momenti recitati nei quali i protagonisti hanno l'opportunità, avendone la capacità, (ma non è certo questo un problema per Monaco e Colaianni) di tratteggiare ulteriormente le caratteristiche dei personaggi, anche improvvisando. Non solo, in questo caso il testo di Don Checco è scritto in napoletano, ma l'ottimo Colaianni non ha avuto problemi a gestire anche quest'aspetto, soprattutto mantenendo una misura ed uno stile che non è mai degenerato in vuota esibizione o grottesca accentuazione dialettale. Una dimostrazione di grande classe e raffinatezza nel solco della più nobile tradizione della commedia dell'arte.
Aggiungendo a queste sezioni ottimamente recitate con il corpo e con la voce quelle tradizionali dell'opera buffa italiana, cioè a dire i classici giochi di parole ritmici e melodici inframezzati da agilità e l'adeguata regia di Lorenzo Amato che, pur non prevedendo nessun cambio di scenografia è riuscita a mantenere una piacevole articolazione dei movimenti scenici, si creano già le condizioni per assemblare un ottimo prodotto di sicuro gradimento visivo e melodico.
L'Orchestra Internazionale d'Italia sotto la guida di Matteo Beltrami ha creato un appropriato “tappeto” sonoro nel quale sia i momenti di un certo lirismo (è pur sempre presente nel libretto anche una travagliata storia d'amore fra Fiorina-Carolina Lupo, Carletto-Francesco Castoro, perfetti nella caratterizzazione e nella vocalità) sia le sottolineature ritmiche e timbriche delle azioni più divertenti sono risultati sempre adeguati e ben calibrati.
In linea con le aspettative e con lo stile dei protagonisti principali le performances degli altri cantanti in scena: Roberto-Rocco Cavalluzzi e Succhiello Scorticone-Paolo Cauteruccio. A nostro parere un poco al disotto di quest'ultimi la precisione del Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca, in alcuni casi leggermente in ritardo rispetto all'orchestra, specie in sezioni veloci ed elaborate, soffrendo forse dei problemi di acustica e percezione del suono che in recite come queste sono sempre in agguato ma che generalmente è possibile risolvere.
Così come accadeva nel 1850 nelle trionfali repliche napoletane (ma anche in quelle in seguito prodotte in Italia ed all'estero) anche in quest'occasione lo spettacolo ha provocato divertimento ed approvazione, regalando al pubblico che affollava l'atrio del Palazzo Ducale un paio d'ore di spensierata evasione musicale.