Supporta Gothic Network
Fiera della piccola e media editoria. Toni woke e poca filosofia
Anche quest'anno, dal 4 all'8 dicembre 2024, il Centro Congressi La Nuvola – progettato nel cuore del quartiere Eur dall'archistar Massimiliano Fuksas – è stato il grande palcoscenico che ha ospitato Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori (AIE), originariamente e fino al 2016 dislocata nel Palazzo dei Congressi del medesimo quartiere romano. L’evento editoriale, dedicato agli editori italiani piccoli e medi (tra cui anche Adelphi, Carocci, Il Mulino, Laterza e La Nave di Teseo), ha cercato di intercettare i temi più attuali correlandoli alla migliore produzione libraria.
Il tema di questa 23° edizione è stato La misura del mondo: si è cercato di rendere omaggio alla ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, viaggiatore e autore de Il Milione, diario immaginifico dei suoi viaggi in Asia. Da questo capolavoro della letteratura di viaggio ai romanzi classici contemporanei, l’edizione 2024 di Più libri più liberi ha ruotato intorno al tema dell’immaginazione, che è misura esatta del mondo e di ciò che esso contiene. Se leggere è percorrere nuovi territori e pensieri, i libri ne diventano la carta geografica.
Più libri più liberi è promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori, con il sostegno del Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura, Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma e ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, con il contributo di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori e di Poste Italiane. È realizzata in collaborazione con Istituzione Biblioteche di Roma, ATAC azienda per i trasporti capitolina, EUR Spa, Dior e si avvale della Main Media Partnership di Rai con il Giornale della Libreria. La manifestazione è presieduta da Annamaria Malato e diretta da Fabio Del Giudice. Il programma è a cura di Chiara Valerio.
Il manifesto di questa edizione era firmato da Antonio Pronostico. L’illustratore, uno dei più interessanti nel panorama italiano, con le sue campiture di colore accese e brillanti crea scene surreali che sono metafore visive. Una donna scruta l’orizzonte da un’alta colonna posta tra gli alberi; i libri dunque come vette da cui osservare il mondo per interpretarlo da un’altra prospettiva, per orientarci nella sua estensione e complessità.
La curatrice della manifestazione, Chiara Valerio (non a caso laureata e addottorata in matematica), ha correlato i temi della fiera a sei unità di misura del mondo: metro, kilo, secondo, anni luce, pagine e soldi. Il tutto per parlare di libri, editoria, nuove uscite e grandi autori.
Siamo rimasti ben impressionati dalla sezione di incontri della fiera dedicati alle scienze fisico-naturali, che illustrano e spiegano la nostra diretta esperienza del mondo. Meno entusiasti siamo per la scarsa attenzione dedicata ai libri più specificamente filosofici, dove subodoriamo una certa diffidenza verso la filosofia accademica da parte di due dei più attivi presentatori dei libri in fiera, ossia Andrea Colamedici e Maura Gancitano, fondatori dell'associazione Tlon.
Non vogliamo qui, invece, entrare nel merito dell'invito a Leonardo Caffo, divulgatore di filosofia invitato per parlare dei suoi libri, nonostante il processo penale per maltrattamenti e violenza a cui era sottoposto – in stridente contrasto con la dedica della kermesse a Giulia Cecchettin, vittima di un efferato femminicidio –, ma che alla fine ha rinunciato.
Semmai, vorremmo rilevare qualcosa che ben pochi hanno osservato: ossia, la totale assenza, che a noi pare censoria, di tutta la vasta e variopinta galassia degli editori "di destra", spesso anche "di estrema destra". Certo, è innegabile che alcuni di essi riflettano un pensiero neofascista, se non addirittura nazistoide, con punte anche di ripugnante antisemitismo, in alcuni casi limitati. E tuttavia, spesso la loro produzione annovera anche libri di qualità e classici del pensiero conservatore e reazionario. Né le Edizioni di Ar, né Altaforte, ma neppure Settimo Sigillo, Passaggio al bosco, Il Cerchio (una volta presente), Fede & cultura, Edizioni Radio Spada e simili si trovano negli stand della Fiera. Invece, editori di estrema sinistra, apologeti anche del comunismo sovietico, di Stalin e oggi di Putin, non mancano e nessuno osa censurarli. Ora, non si vede perché se Jünger, Schmitt, Heidegger, Pound e Gómez Dávila li pubblica Adelphi vanno bene, mentre se li pubblica un editore "reazionario" debbano essere interdetti. Certo, molto di quello che questi editori pubblicano getta una luce inquietante, ma perfino il più "estremo" di tali editori ha nel suo catalogo libri di valore: le edizioni di Ar (dirette non solo da Franco Freda, famigerato per i suoi trascorsi terroristici, ma anche da una raffinata scrittrice, omonima, per paradosso, della curatrice della Fiera, Anna K. Valerio) propongono ad esempio il volume Platone. La lotta dello spirito per la potenza (Platon. Der Kampf des Geistes um die Macht) di Kurt Hildebrandt, interpretazione del filosofo greco nata all'interno della cosiddetta "rivoluzione conservatrice", che ha la sua rispettabilità. E propongono perfino la ristampa delle Origini indoeuropee del grande glottologo Giacomo Devoto, non certo sospettabile di filo-nazismo.
Sostanzialmente, la questione dell'esclusione di editori di estrema destra da manifestazioni come la Fiera della piccola e media editoria di Roma solleva interrogativi sul rapporto tra libertà d'espressione, pluralismo culturale e responsabilità sociale. Negare la partecipazione a certi editori può sembrare una violazione del principio di pluralismo, che dovrebbe essere un pilastro delle democrazie liberali. Se, infatti, la cultura ha come scopo il dialogo e la diversità di idee, l'esclusione può apparire come una forma di censura che mina questo ideale. È vero che l'estrema destra spesso suscita timori per le sue posizioni, ma si potrebbe argomentare che il modo migliore per combattere idee controverse non sia la loro esclusione, bensì un dibattito aperto e critico. Tanto più che si potrebbe ravvisare un doppio standard: ossia il trattamento diverso riservato agli editori di estrema sinistra, che evidenzia una possibile incoerenza. L'apologia del comunismo stalinista, se paragonata al fascismo, può risultare altrettanto problematica in termini di contenuti che negano i diritti umani o esaltano ideologie totalitarie. Tuttavia, nel contesto italiano ed europeo, il fascismo è visto come una minaccia più immediata per via della sua storia e della legislazione specifica contro di esso (ad esempio la legge Scelba o la legge Mancino). Questo può portare a un'applicazione asimmetrica di princìpi di tolleranza, che a sua volta rischia di essere percepita come ingiusta.
Le fiere del libro non sono solo eventi culturali, ma anche vetrine pubbliche con forte valenza simbolica. Gli organizzatori possono sentire il dovere di garantire un ambiente che non dia spazio a ideologie percepite come contrarie ai valori democratici. Tuttavia, questo criterio è spesso applicato in modo discrezionale. La domanda cruciale diventa: chi decide quali idee sono accettabili? E su quale base? Una soluzione intermedia potrebbe essere la presenza condizionata: editori controversi potrebbero essere ammessi con vincoli specifici, come l'organizzazione di dibattiti critici accanto alle loro pubblicazioni. Questo garantirebbe il pluralismo senza compromettere la responsabilità sociale degli organizzatori. Anche perché resta il rischio di un effetto boomerang: la censura alimenta il vittimismo e polarizza il dibattito. Per garantire equità, sarebbe necessario adottare criteri più coerenti e trasparenti, capaci di bilanciare libertà d'espressione e responsabilità sociale senza cadere in favoritismi ideologici.
Anche perché la Fiera della piccola e media editoria da quando è diretta da Chiara Valerio ha assunto un forte tono woke. Chiara Valerio è una figura intellettuale nota per il suo impegno verso una cultura inclusiva, il riconoscimento delle diversità e l’attenzione ai temi di genere, ambiente e giustizia sociale. Questi elementi, spesso etichettati in modo un po' dispregiativo come "woke", sono parte di un movimento globale che cerca di ampliare il campo della rappresentazione e di promuovere un maggiore rispetto per le differenze. In una fiera dedicata alla piccola e media editoria, questa impostazione potrebbe apparire coerente con il sostegno a voci emergenti o marginalizzate. C'è però il rischio di alienarsi una parte del pubblico e di trasformarsi in un evento che esclude, anziché includere. La cultura dovrebbe essere uno spazio per il dialogo aperto, non un’arena per confermare solo le convinzioni di una parte. Per il futuro, auspichiamo che Chiara Valerio e la Fiera della piccola e media editoria riescano a bilanciare questa sensibilità con il rispetto per una vera diversità culturale e ideologica. Includere voci dissonanti, purché non lesive dei diritti fondamentali, potrebbe arricchire il dibattito e rendere la fiera un punto di riferimento per tutti, e non solo per chi si riconosce nei valori progressisti.
Tra l'altro, quest'anno abbiamo notato come la Fiera, pur avendo l'intento di promuovere voci meno conosciute, abbia spesso ceduto troppo alla tentazione di proporre figure molto visibili mediaticamente, piuttosto che esplorare un panorama intellettuale più ampio e profondo. La ripetitività degli invitati, pur essendo personalità rispettabili e con un certo seguito, dà l'impressione di un evento confezionato per un pubblico già fidelizzato. Si rischia così di chiudere la porta ad altri intellettuali, magari meno "di moda" o meno attivi sui social, ma capaci di offrire contributi nuovi e stimolanti.
Senza contare che, come abbiamo rilevato sopra, la filosofia, soprattutto nelle sue espressioni più rigorose e innovative, sembra spesso relegata in secondo piano. Le eccezioni, come Massimo Cacciari, sembrano piuttosto "ospiti fissi", che rappresentano una visione più consolidata che innovativa. Sarebbe auspicabile invitare filosofi meno noti al grande pubblico, ma con idee originali, o anche figure internazionali che possano portare un respiro globale al dibattito e arricchire la qualità intellettuale dell'evento.
In ogni caso, tra le presentazioni e conferenze che abbiamo seguito, ne vorremmo citare alcune come particolarmente significative. Innanzitutto, la presentazione del libro di Giuseppe Mussardo, Dio gioca a dadi con il mondo. La storia della meccanica quantistica, edito da Castelvecchi, Mussardo, professore ordinario di Fisica teorica alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste (SISSA), nel 2013 ha ricevuto il premio per la divulgazione scientifica della Società Italiana di Fisica. Ha presentato lui stesso il libro, insieme al fisico Giovanni Battimelli. I due scienziati sono riiusciti brillantemente a spiegare l'importanza delle teorie fisiche contemporanee, chiarendo che tutto quello che sappiamo sui costituenti ultimi della materia e sulle interazioni delle particelle è il risultato delle indagini dei fisici che, come Planck e Bohr, Born e Pauli, Heisenberg e Schrödinger, de Broglie e Dirac hanno fondato la meccanica quantistica nei primi tre decenni del secolo scorso in vari angoli dell'Europa. Berlino, Berna, Manchester, Copenaghen, Zurigo: la rivoluzione scientifica emerse negli uffici brevetti e nei laboratori europei. Anche le tecnologie odierne, in campi come la microelettronica e l'ottica, sarebbero impensabili senza questa rivoluzione. I due scienziati hanno ben spiegato come il cuore della meccanica quantistica, nella formulazione di Schrödinger, consista nel descrivere lo stato di di un qualunque sistema, assegnandogli una certa funzione, chiamata funzione d’onda, e nel calcolare il risultato di una qualunque misura fatta sul sistema tramite operazioni algebriche fatte su questa funzione d’onda e sull’equazione di Schrödinger che ne determina l’evoluzione nel tempo.
Suggestiva ci è parsa poi la presentazione del libro di Giuseppe Lagrasta Jorge Luis Borges-Italo Calvino. Dialoghi immaginari, edito da Luoghinteriori. L'autore parte dall'idea per cui il dialogo rappresenta una forma di comunicazione profonda che favorisce il confronto e la reciproca conoscenza. In questo volume ha proposto un profondo dialogo immaginario tra Jorge Luis Borges e Italo Calvino: ne emerge una intensa "amicizia" e collaborazione, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista intellettuale ed esistenziale, rendendo i lettori partecipi di una profonda fusione di orizzonti: sia Borges, sia Calvino hanno costruito la grammatica della letteratura fantastica, quasi una summa di provocazioni paradossali prodotte dalle metafore del labirinto.
Sempre nel filone "scientifico", abbiamo assistito al confronto tra il matematico Paolo Zellini e il poeta Valerio Magrelli, che hanno dialogato sul tema dell’infinito in poesia e matematica, moderati dallo scrittore Paolo Giordano. Zellini, autore anche di vari volumi di altissima divulgazione, ha ricordato come per Borges «c’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’Infinito». È una categoria temibile, come si può notare dalle origini greche sino alla ormai cronica «crisi dei fondamenti» del pensiero matematico. La prima parola occidentale per designare l’infinito è l’ápeiron, l'indeterminato, quale appare già in Anassimandro. Ma l’infinito greco, dai Presocratici alla sistemazione aristotelica, proprio in quanto lo si riteneva un principio «divino, immortale e indistruttibile», viene maneggiato con estrema cautela nei procedimenti del pensiero discorsivo. E si tratterà sempre, allora, di un infinito potenziale, concepito nel segno della «negazione» e della «privazione» (la stéresis di Aristotele), non dell'infinito compiutamente in atto. Magrelli da par suo ha ricordato i grandi poeti che hanno affrontato il tema dell'infinito, da Leopardi a Valéry.
Meno convincente ci è invece parsa la presentazione del volume di Thomas Kuhn L'incommensurabilità nella scienza. Si tratta della traduzione italiana del libro incompiuto del grande storico della scienza intitolato Plurality of Worlds: an Evolutionary Theory of Scientific Development. I due presentatori (Ilaria Gaspari e Lorenzo Gasparrini) hanno fatto del loro meglio per rendere chiare e perspicue le tesi di Kuhn al grande pubblico, ma, non essendo storici o filosofi della scienza, sono rimasti molto sulle generali, senza approfondire realmente i complessi argomenti del libro
che Kuhn stesso ha descritto come un ritorno alle tesi centrali del suo capolavoro, La struttura delle rivoluzioni scientifiche e ai problemi che quest’opera fondamentale ha sollevato ma non risolto. La pluralità dei mondi è preceduto da due testi complementari, ossia “La conoscenza scientifica come prodotto storico” e “La presenza della scienza del passato”. In questi testi sviluppa una teoria del significato fondata su basi empiriche, che gli permette di giustificare la comprensione storica delle teorie scientifiche e di rendere conto dell'incommensurabilità fra la scienza del passato e quella attuale. A suo modo di vedere, l’incommensurabilità è compatibile con un concetto forte del mondo reale indagato dalla scienza, con la razionalità del cambiamento scientifico e con l’idea che lo sviluppo scientifico implichi la nozione di progresso. Del resto, quando nel 1962 pubblicò La struttura delle rivoluzioni scientifiche, riuscì a dare una scossa alla storia della scienza e a porre importanti basi per un campo completamente nuovo: la sociologia della scienza. In questo volume controverso, Kuhn descrisse le rivoluzioni scientifiche come periodi prolungati di conflitto intellettuale che chiamò “scienza straordinaria”. Le teorie più vecchie, in questi periodi, non possono più spiegare i nuovi fenomeni, che comportano quello che chiamò un mutamento di paradigma. Un famoso esempio di tale rivoluzione è la “catastrofe ultravioletta” dei primi anni del 1900. Fu allora che la fisica classica predisse che l’energia emessa da un corpo nero sarebbe aumentata all’infinito al diminuire della lunghezza d’onda della radiazione. Questa previsione non era in accordo con gli esperimenti, che mostravano che l’energia raggiungeva un picco prima di diminuire nuovamente, costringendo i fisici a rivolgersi a qualcosa di completamente nuovo: la teoria quantistica, di cui parlava il libro di Mussardo supra menzionato. Sottolineando la discontinuità, Kuhn non pensava che i nuovi paradigmi dovessero “adattarsi” o condividere il vocabolario scientifico con quelli precedenti. Per usare il suo linguaggio, disse che sono “incommensurabili” tra loro. Nel proporre l’incommensurabilità, Kuhn metteva in discussione il presupposto ampiamente diffuso secondo cui la conoscenza scientifica si accumula linearmente nel tempo. Invece, ha sostenuto, la scienza passa a nuovi paradigmi, definiti da nuovi concetti, metodi e visioni del mondo. Nel libro L'incommensurabilità nella scienza Kuhn rivede l'idea di incommensurabilità: lungi dal ridurre la scienza alla psicologia o alla sociologia, Kuhn afferma essenzialmente che l’unico modo per modellare il modo in cui le teorie scientifiche cambiano è tenere conto del lessico condiviso di concetti e metodi degli scienziati che vivevano in quel momento. Gli storici non possono, ad esempio, confrontare diverse teorie sul comportamento delle onde senza esaminare come i termini “onda”, “suono” e “luce” variassero di significato nel XVIII e XIX secolo. Allo stesso modo, non possiamo giudicare le teorie della temperatura senza capire come i concetti di “caldo” e “freddo” differissero ampiamente tra gli scienziati dopo l’invenzione del termometro a mercurio nel 1714. Per Kuhn, l’idea che la nostra conoscenza sulle onde o sul calore semplicemente fosse migliorata nasconde differenze concettuali – appunto basate sull'incommensurabilità – che resistono a facili confronti.
Al crocevia tra filosofia, teologia e storia dell'arte si è situata la conferenza di Massimo Cacciari, che ha parlato della Madonna del Parto di Piero della Francesca, oggetto del suo ultimo libro, La passione secondo Maria, edito dal Mulino. Nell’immagine di questa Donna, attesa e promessa, angoscia, speranza, abbandono, si uniscono senza confondersi e senza età. E il Figlio è il suo bimbo, suo fratello e il suo sposo. È una Madonna che mostra da quale ferita si generi Dio: una Donna sta al centro del mistero dell’incarnazione. Non un semplice mezzo attraverso cui si incarna lo spirito. Nella potente icona di Piero, Maria sostiene il suo grembo pieno, e si slaccia la sua veste per rendere manifesto l’enigma: la sua figura ci appare così naturale e divina al tempo stesso. Cacciari ha anche osservato come due figure femminili siano fondamentali nel Paradiso dantesco: Maria madre di Dio e Beatrice, in qualche modo complementari. Per lui, la Divina commedia è un poema mariano perché comincia e finisce con Maria. Beatrice sarebbe invece l'elemento cristologico del giudizio, integrato dalla misericordia di Maria. Inter alia, ascoltando il filosofo veneziano, abbiamo avuto la netta impressione che egli si sia convertito, ma non voglia ammetterlo in pubblico.
Una menzione speciale per la lectio magistralis di Luciano Canfora, che ha spiegato il suo ultimo libro, La grande guerra del Peloponneso. 447-394 a.C. (Laterza, 2024). Canfora prende ovviamente le mosse da Tucidide, il grande storico greco, testimone dei fatti, per ricercarne le origini. Se gli organi di propaganda hanno sempre le idee chiare e distribuiscono disinvoltamente torti e ragioni, gli storici hanno il compito di scavare nel profondo e di risalire – se l’obiettivo è capire – "quanto possibile indietro nel tempo". È quello che ha fatto Luciano Canfora nella ricostruzione della «grandissima guerra», un conflitto che durò ben più di trent’anni e logorò prima Atene e poi Sparta. La democrazia imperiale ateniese mirava al dominio commerciale nel Mediterraneo. Ecco perché innescò una catena di conflitti contro i ‘barbari’, contro i Greci e alla fine contro i suoi stessi alleati. L’oligarchia spartana non accettava di vedere scosso il proprio tradizionale predominio. Gli Ateniesi pretendevano di "esportare" la democrazia imponendola con la forza innanzi tutto ai propri alleati. Gli Spartani proclamavano di portare la libertà ai Greci oppressi da Atene. La guerra – scrisse Tucidide – fu inevitabile. Tutto era incominciato con la sfida ateniese a sostegno della rivolta antipersiana dei Greci d’Asia e con la risposta, vent’anni dopo e in grande stile, da parte del Gran Re volta a sottomettere, oltre ai Balcani, la penisola greca. E tutto sembrerà concludersi circa un secolo dopo con la «pace del Re». Una pace imposta ai Greci dalla Persia per il tramite della potenza militare spartana, cui l’aiuto del satrapo persiano aveva consentito di sconfiggere Atene. Ma il Gran Re lasciava intendere che solo il suo predominio avrebbe portato la pace ai Greci. E i Greci, finché non affiorò alla storia il regno macedone, la accettarono. Non a torto Arnold Toynbee definì la guerra tra Sparta e Atene «suicidio della Grecia classica». Una vicenda esemplare.