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Più libri più liberi. Cacciari e Wulf sulla metafisica dell'Io
Pure quest'anno, dal 6 al 10 dicembre 2023, il Centro Congressi noto come La Nuvola (progettato da Massimiliano Fuksas), all'Eur, è stato il grande palcoscenico che ha ospitato Più libri più liberi, la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori (AIE), originariamente e fino al 2016 allogata nel Palazzo dei Congressi del medesimo quartiere romano. L’evento editoriale, dedicato agli editori italiani piccoli e medi (tra cui anche Adelphi, Carocci, Il Mulino, Laterza e, new entry, La Nave di Teseo), ancora una volta si interroga sui grandi temi del nostro tempo.
La manifestazione ha il sostegno del Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura, Regione Lazio, Roma Capitale, Camera di Commercio di Roma e ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, con il contributo di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori. È realizzata in collaborazione con Istituzione Biblioteche di Roma, ATAC azienda per i trasporti capitolina, EUR Spa, Dior e si avvale della Main Media Partnership di Rai con il Giornale della Libreria. La manifestazione è presieduta da Annamaria Malato e diretta da Fabio Del Giudice. Il programma è a cura di Chiara Valerio.
Quest’anno gli espositori sono stati 594, provenienti da tutto il Paese, e hanno presentato al pubblico le novità e il proprio catalogo. Nell'arco di cinque hanno avuto luogo più di 600 appuntamenti in cui è stato possibile ascoltare gli autori, assistere a varie letture, confronti, dibattiti, e incontrare gli operatori professionali. Il tema di questa 22° edizione coincide con il titolo di un gioco per bambini, Nomi Cose Città Animali. Come nel gioco, ogni autore ha composto la propria categoria lessicale, perché giocando si comprenda che per essere liberi in una comunità è necessario stabilire alcune regole, cambiando quando diventa opportuno. Per citare il grande scrittore Giorgio Manganelli: “Ma non è la meta di tutte le nostre disperazioni sciogliersi nel gioco?”. Da bambini infatti giochiamo e impariamo a leggere e scrivere. Da adulti dimentichiamo quanto sia importante vivere con il gioco – ma mai per gioco.
Il giorno inaugurale, il 6 dicembre, abbiamo assistito a un'affascinante conferenza in cui il filosofo Massimo Cacciari ha spiegato al pubblico i temi principali del suo ultimo, impervio libro, Metafisica concreta, coadiuvato dal giornalista Antonio Gnoli e dallo scrittore e critico Arnaldo Colasanti. Il libro di Cacciari, da poco pubblicato presso l'editore Adelphi, suggella una trilogia teoretica iniziata nel 1990 con Dell'inizio e poi proseguita nel 2004 con Della cosa ultima. In Dell’Inizio Cacciari, usando l'originale concetto di “onnicompossibilità” (derivato da Friedrich W. J. Schelling) e quello di protologia (desunto da Vincenzo Gioberti), procede a indagare l’Inizio (o "cominciamento") da cui scaturisce ogni cosa. Parimenti, in Della cosa ultima il filosofo veneziano indagava l’orizzonte "escatologico" (dal greco ἔσχατον, éschaton, ultimo) riguardante la destinazione ultima del singolo, non necessariamente in una prospettiva ultraterrena.
In Metafisica concreta, il punto di vista assunto è quello ontologico. La domanda, di sapore heideggeriano, verte sulla natura dell’essere, a partire da quell'ente unico che è l’uomo in quanto si interroga su di sé e sul mondo. A questa domanda se ne accompagna un'altra che aveva arrovellato Cacciari fin dal 1976, quando uscì Krisis, il primo suo grande libro che affrontava insieme la crisi della dialettica e la genesi del pensiero negativo tra Nietzsche e Wittgenstein: esiste ancora uno spazio per la metafisica in un'epoca in cui la conoscenza sembra coincidere con il sapere tecnico-scientifico e con la sua efficacia operativa?
Cacciari ricorda come il termine metafisica già per Hegel fosse una parola «davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato» (Chi pensa astrattamente?). Questa fuga, declinata variamente sia tra i filosofi cosiddetti "continentali" (attraverso varie decostruzioni, oltrepassamenti, superamenti, dichiarazioni di morte), sia tra quelli analitici (con l'inesorabile e fatale compimento nelle forme della razionalità scientifica), ha finito col diventare un habitus fisso del pensiero contemporaneo. Cacciari, che è indubbiamente un filosofo continentale, ripercorre le filosofie classiche e i grandi sistemi del razionalismo moderno, ma anche le più ardite e recenti teorie della razionalità scientifica, fino a riscoprire ciò che di quel termine resta inesplorato: la trama sottile che collega l’essente in quanto osservabile e determinabile allo s-fondo (tedesco Ab-grund) della sua provenienza e del suo imprevedibile avvenire. Cacciari cerca di analizzare la relazione tra l'osservazione (ϑεωρία, theoría) della cosa sotto l’aspetto della sua caducità (in quanto appartiene all'ordine di Χρόνος, Chronos, il dio Tempo) e l'indagine che cerca di esprimerla nella sua relazione con il Tutto: in quest'ultimo caso si giunge a considerarla, con un'espressione del latino scolastico, res divina. Non c'è però nessun ‘al di là’, nessuna Hinterwelt, o mondo ‘dietro’, che adombri le cose fisiche, tà physiká (τὰ φυσικά). Questo mondo, e il soggetto che intende conoscerlo partendo dalla conoscenza di sé stesso e senza arrendersi al Muro dell’Impossibile, esigono di essere interrogati anche secondo una tale prospettiva. Cacciari desume poi il il sintagma "metafisica concreta" da Pavel Aleksandrovič Florenskij, scienziato, filosofo e teologo russo vittima della barbarie staliniana: filosofia e scienza possono ritrovarsi sotto quest'insegna ed esprimere insieme, in forme distinte e inseparabili, l’integrità e inesauribilità della vita dell’essente.
Come è suo costume, Cacciari intraprende un lungo viaggio filosofico (simile al "viaggio di scoperta" dell'esperienza [Er-fahrung, con la radice tedesca di viaggiare, fahren, simile all'inglese fare] della coscienza nella Fenomenologia dello spirito hegeliana), partendo dai Greci e attraversando varie tappe decisive della storia del pensiero occidentale, toccando soprattutto Platone e Aristotele, Cartesio e la rivoluzione scientifica, Spinoza e Leibniz e la loro discussione sul concetto di sostanza, Kant e Hegel, fino alle teorie della fisica contemporanea. Cacciari cerca di svelare la dialettica tra ciò che esiste e il suo fondamento ultimo, con gli strumenti della filosofia, assistita dal sapere scientifico: ma non intende fare filosofia della scienza alla maniera della tradizione neopositivista e analitica. Anche se ogni ente è quello che si manifesta secondo la prospettiva di chi l’interroga scientificamente, la sua natura non si esaurisce in ciò che si osserva, ma implica una dimensione di inosservabilità come parte costitutiva della sua stessa physis (φύσις).
È qui che si gioca il tentativo di Cacciari: nel far interagire dialetticamente ciò che è osservabile e ciò che è inosservabile. L'aggettivo "concreto" rimanda al latino con-crescere, nel senso che ogni ente è un qualcosa che è cresciuto insieme al suo divenire, tra l’esistenza nel tempo e la tensione a diventare eterno, sottraendosi all'impulso annichilente di ciò che muta: per lui, a differenza che per Emanuele Severino, l’essenza di ciascun ente non risiede nella necessità ma nella possibilità che gli è propria: tema caro anche ad autori come Fëdor Dostoevskij e Robert Musil (il cui uomo senza qualità, Mann ohne Eigenschaften, è anche l'uomo della possibilità), che non a caso Colasanti indica come i più amati, tra i letterati, da Cacciari, insieme a Dante Alighieri: il fine della filosofia in fondo è la volontà di trascendere la propria finitezza da parte dell'individuo. Considerare le cose sub specie caducitatis implica altresì la considerazione, spinozianamente, sub specie aeternitatis: anche in un singolo verso o una melodia musicale irrompe l’epifania dell’eterno, per usare un termine caro a James Joyce. La filosofia diventa metafisica “diaporetica”: un continuo attraversare aporie (dal greco ἀπορία [aporìa], difficoltà, incertezza, strada senza uscita), per pensare in modo sensato la reciproca implicazione del Possibile e dell’Impossibile (si noti, en passant, come Cacciari usi in modo "industriale" termini tratti dalle tre lingue per lui più importanti della tradizione filosofica: il greco, per l'antichità, il latino, per il medioevo e la prima modernità, il tedesco per la contemporaneità – ma in Hamletica, sorprendentemente, non disdegna neppure l'inglese). A una domanda del pubblico sul fatto che forse stava dando una visione troppo riduttiva dell'approccio positivista e neopositivista al rapporto tra filosofia e scienza, il filosofo veneziano ha risposto citando Wittgenstein come esempio virtuoso di tale approccio, proprio perché avrebbe saputo coniugare efficacemente l'uso della logica e lo spazio da riempire con strumenti non riconducibili alle scienze esatte, tentando quella lotta contro i limiti del linguaggio per esprimere ciò che non è dicibile.
Sempre su temi filosofici, e nella stessa sala Luna, l'8 dicembre si è svolta la presentazione del libro della storica delle idee anglo-tedesca Andrea Wulf, introdotta dallo scrittore Paolo Giordano. Il volume, a cura di Luiss University Press, si intitola Magnifici ribelli. I primi romantici e l'invenzione dell'Io (Magnificent Rebels: the First Romantics and the Invention of the Self) e prende le mosse dalla vita di Caroline Böhmer, compagna prima dello scrittore August Wilhelm Schlegel e poi del filosofo Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, per dimostrare come alle origini della nostra modernità ci sia la scoperta dell'Io libero di autodeterminarsi e che ci consente di essere quello che siamo, perché dotati di libero arbitrio e tensione verso l'infinito.
Andrea Wulf ha raccontato come durante le ricerche su Alexander von Humboldt (grande scienziato e naturalista e fratello del filosofo e linguista Wilhelm), a cui ha dedicato il libro L'invenzione della natura, abbia trovato le risposte alle tipiche domande esistenziali: "quando abbiamo iniziato a essere così ego-centrici come lo siamo oggi? A che punto ci siamo aspettati di avere il diritto di determinare la nostra vita? Quando abbiamo pensato che fosse nostro diritto prendere ciò che volevamo? Da dove è nato tutto questo - noi, voi, io, o il nostro comportamento collettivo? Quando abbiamo posto per la prima volta la domanda: come posso essere libero?" Il luogo di nascita di molte di queste domande, per Andrea Wulf, è stata Jena, una piccola città tedesca a circa 150 miglia a sud-ovest di Berlino. Qui, infatti, nell'ultimo decennio del XVIII secolo, Alexander von Humboldt si unì a un gruppo di romanzieri, poeti, critici letterari, filosofi, saggisti, editori, traduttori e drammaturghi che, inebriati dalla Rivoluzione francese, misero l'Io al centro del loro pensiero. A Jena le loro idee si scontrarono e si coalizzarono e l'impatto fu sismico, diffondendosi in tutti gli Stati tedeschi e nel mondo - e nelle nostre menti.
Secondo l'autrice, il gruppo era legato dall'ossessione per l'io libero (avrebbe fatto meglio a usare il termine tecnico "io trascendentale"), in un'epoca in cui la maggior parte del mondo era governata da monarchi e leader che controllavano molti aspetti della vita dei loro sudditi. "Una persona" - gridò il filosofo Johann Gottlieb Fichte dal leggio durante la sua prima conferenza a Jena - "dovrebbe essere autodeterminata, senza mai lasciarsi condizionare da qualcosa di esterno". Questa enfasi sull'io e sul valore dell'esperienza individuale divenne la luce guida del gruppo.
Per i circa dieci anni in cui vissero insieme a Jena, a partire dalla metà del 1790, la piccola città sulle rive del fiume Saale divenne il centro nevralgico della filosofia occidentale - un semplice battito di ciglia, ma uno dei decenni più importanti per la formazione della mente moderna. Oggi pochi al di fuori della Germania hanno sentito parlare di Jena, ma per la Wulf ciò che accadde in quei pochi anni è rimasto tra noi. Pensiamo ancora con la mente di questi pensatori visionari (ai citati si possono aggiungere, ovviamente, anche Goethe, Hegel, Novalis, Hölderlin, Friedrich Schlegel, Tieck e Schiller) vediamo con la loro immaginazione e sentiamo con le loro emozioni. Forse non lo sappiamo, ma il loro modo di intendere il mondo continua a condizionare la nostra vita e il nostro essere. Il libro di Andrea Wulf si può tra l'altro inquadrare in quel filone di alta divulgazione, dove le teorie filosofiche sono trattate con piglio narrativo, intrecciate con le biografie dei filosofi. Un ottimo esempio è anche Il tempo degli stregoni. 1919-1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l'ultima rivoluzione del pensiero (Zeit der Zauberer: Das große Jahrzehnt der Philosophie. 1919 - 1929), del tedesco Wolfram Eilenberger, dedicato a Benjamin, Cassirer, Heidegger e Wittgenstein, e pubblicato in italiano da Feltrinelli.
Delle altre presentazioni, abbiamo apprezzato il ciclo dedicato alle utopie, dove varie scrittrici si sono confrontate sulle diverse formulazioni di un assetto politico e sociale che non trova riscontro nella realtà ma che viene proposto come ideale e come modello: la linguista Vera Gheno per La lingua come utopia, la scrittrice Cristina Marconi per La Brexit come utopia, la scrittrice e giornalista Loredana Lipperini per La letteratura fantastica come utopia e lo scrittore Vanni Santoni per Le droghe come utopia.