Supporta Gothic Network
The Musical Box al Parco della Musica. I Genesis redivivi
A dieci anni dall'ultima esibizione che abbiamo recensito su questa testata, torniamo a occuparci di The Musical Box, forse la migliore tribute band dei Genesis: anche questa volta è tornata ad esibirsi, il 20 marzo 2025, nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. I cinque musicisti, di origine canadese (Denis Gagné, François Gagnon, Sébastien Lamothe, Guillaume Rivard e Marc Laflamme), sono stati capaci di rivisitare e riprodurre fedelmente il repertorio e anche i costumi dei Genesis della Golden Age, in special modo quella con Peter Gabriel come cantante, con qualche incursione nel periodo che va fino al 1977 e conclude la fase più propriamente progressive della mitica band inglese.
È un'operazione che potremmo chiamare di recupero vintage, apprezzata dagli stessi Peter Gabriel (per il quale hanno ricreato quello che facevano i Genesis di quando lui aveva poco più di vent'anni) e Phil Collins (per il quale "hanno preso un periodo e lo stanno riproducendo fedelmente nello stesso modo in cui qualcuno farebbe una produzione teatrale”).
Il fulcro intorno a cui ruota questa tournée (intitolata Genesis Live. The Original 1972/73 Show) è costituito dagli album Nursery Cryme e Foxtrot, risalenti rispettivamente al 1971 e al 1972, e che forse costituiscono la massima espressione degli stilemi prog in chiave rock (mentre con il successivo Selling England by the Pound il discorso musicale si apre di più alla musica classica). The Musical Box sono nati nel 1993 e hanno più volte ristrutturato la loro formazione, fino a raggiungere un equilibrio stabile che consente loro di offrire agli spettatori una specie di viaggio a ritroso nel tempo, proiettandoli quasi per magia negli anni ’70, con la riscoperta delle ambientazioni e delle scenografie dei primi Genesis: il tutto ottenuto grazie a un paziente lavoro di scavo e di ricerca che non esiterei a definire “filologico”, sulla base della comparazione di migliaia di foto, di diapositive originali e di video amatoriali dei concerti dei Genesis: l'effetto è quello di una vera e propria rievocazione storica della band che ha scritto un capitolo esemplare della storia del rock progressive.
Il concerto ha ricreato in modo impeccabile il sound e l’atmosfera del periodo d’oro dei Genesis, con una setlist quasi completamente composta dai capolavori degli album Nursery Cryme e Foxtrot, con qualche incursione in Trespass. E in effetti ha permesso ai presenti di rivivere un periodo che ha segnato un’epoca, con i suoi arrangiamenti complessi, i cambi di tempo e l'innovazione musicale che ha contraddistinto il progressive rock. La band ha iniziato con l’immortale "Watcher of the Skies", con Denis Gagné nei panni di Peter Gabriel che ha catturato subito l'attenzione del pubblico grazie alla sua presenza scenica e alla sua voce, sorprendentemente simile a quella del leggendario frontman: ha usato anche gli stessi costumi scenici dell’epoca, con ali di pipistrello accanto alla testa, un vistoso make-up intorno agli occhi e un cappello policromo. I testi erano molto originali, dovuti a Mike Rutheford e Tony Banks (allora poco più che ventenni!), e basati sul racconto di fantascienza Rescue Party di Arthur C. Clarke, con riferimenti anche a John Keats: "Then felt I like some watcher of the skies/When a new planet swims into his ken", "Allora mi sentii come un osservatore dei cieli/quando un nuovo pianeta nuota alla sua portata", “On First Looking into Chapman's Homer”): musicalmente, il brano si apre con alcuni accordi del Mellotron Mark 2 a opera di Sébastien Lamothe che imita Tony Banks, e si dipana su una ritmica della forma 6/4 (in parte ispirata al modello ritmico di 5/4 della suite The Planets di Gustav Holst). Segue una parte poliritmica, dove le tastiere di Lamothe vengono suonate in modo quasi percussivo, per rendere il cambiamento al tempo di 8/4, con l’ovvio accompagnamento ritmico della batteria di Marc Laflamme.
Il virtuosismo strumentale è stato un tratto distintivo della performance. François Gagnon, nei panni di Steve Hackett, ha sfoderato tutta la sua abilità tecnica con assoli straordinari, come quello nel brano eponimo "The Musical Box": certo, la maestria di Hackett è irraggiungibile, ma Gagnon ha fatto di tutto per enfatizzare la precisione e la passione con cui la band interpreta il materiale originale. Sebastien Lamothe ha fornito una base solida alla sezione ritmica, riproducendo in modo impeccabile il basso di Mike Rutherford, mentre Ian Benhamou, con il suo organo vintage, ha regalato un autentico viaggio nel tempo con le sonorità che riecheggiano quelle di Tony Banks. “The Musical Box" è il pezzo più rappresentativo di Nursery Cryme, incentrato su una macabra fiaba "vittoriana", in cui una ragazza uccide il compagno di giochi decapitandolo con una mazza da croquet. Il testo, scritto da Peter Gabriel, è una narrazione surreale e misteriosa che gioca con i concetti di perdita, morte e resurrezione. La "musical box" (scatola musicale) diventa un simbolo centrale nel brano, evocando un’idea di qualcosa che torna ciclicamente, ma che, pur conservando il suo contenuto, risulta distorto e intriso di nostalgia. Il ragazzo decapitato viene riportato in vita, ma il suo ritorno ha qualcosa di inquietante (unheimlich, avrebbe detto Freud) e non naturale, quasi fosse una versione "ombra" di sé stesso, un sinistro Doppelgänger. La malinconia, che pervade il brano, è legata a un ritorno che non è una vera e propria rinascita, ma una ripetizione senza fine di un evento doloroso. Il brano comincia con gli accordi di tre chitarre acustiche, qui riprodotte dalle tastiere con tocco lieve e smorzato; successivamente, il brano si snoda alternando successioni di sezioni acustiche e delicate con momenti più forti, quasi eruzioni vulcaniche dovute alla batteria di Laflamme e ai sapienti giri melodici della chitarra di Gagnon (Hackett nell’originale). La sezione conclusiva approda a una vera climax, con alcuni passaggi strumentali che ricordano le sonate per pianoforte di Beethoven.
Abbiamo molto apprezzato la sezione ritmica, con Marc Laflamme nei panni di Phil Collins, che è stata una delle più precise che si potessero desiderare. Ogni colpo di batteria ha reso omaggio alla sua tecnica distintiva, con il famoso assolo del brano "Supper's Ready" che ha coinvolto il pubblico in un crescendo emozionale. "Supper's Ready", probabilmente il momento culminante della serata, ha visto la band impegnata in una performance quasi teatrale, con Denis Gagné che ha vestito i panni di Gabriel, dando vita a una delle composizioni più ambiziose della storia della musica rock, una suite lunga quasi 23 minuti e che occupava un'intera facciata dell'album Foxtrot. Si tratta di una miniopera epica, divisa in sette sezioni musicali, che mescola elementi di apocalisse religiosa, visioni oniriche e simbolismo biblico, come ha osservato Donato Zoppo (La filosofia dei Genesis, Milano-Udine, Mimesis, 2015). La storia narrata nel brano può essere interpretata come una riflessione sull’umanità, il peccato, la redenzione e la lotta tra il bene e il male. Il testo è permeato da un senso di fine del mondo. La figura della tavola da pranzo, in cui si prepara il "supper" (la cena), diventa metafora di un incontro con il destino, con la preparazione a un grande evento che segna la fine di una fase dell’esistenza e il passaggio a una nuova. La componente apocalittica del brano esplora un mondo che sta per essere consumato dal caos, ma in cui c’è ancora speranza di rinascita. La parte centrale del brano presenta visioni simboliche complesse, tra cui riferimenti biblici e mitologici. I temi del sacrificio e della salvezza sono trattati con un linguaggio ricco di metafore religiose, come nei passaggi che richiamano la Crocifissione e la Seconda Venuta. L’apoteosi del brano si trova nel contrasto tra la distruzione e la speranza di salvezza, in una spirale musicale che esplora le contraddizioni della condizione umana. La band ha rispettato la divisione in sezioni, passando da momenti di solenne tranquillità a esplosioni di potenza musicale che hanno amplificato il messaggio di catarsi e speranza nel brano. Ogni sezione, dall’eterea Lover’s Leap all’apocalittica Apocalypse in 9/8, è stata eseguita con una fedeltà sbalorditiva.
Degli altri brani, "The Return of the Giant Hogweed" ha mostrato la capacità della band di trasmettere la tensione e l’energia delle performance dal vivo dei Genesis, con un suono potente e una sequenza ritmica che ha scandito efficacemente il brano, sempre tratto da Nursery Cryme, etra sincopi e metri dispari in 5/4 e 7/8. È uno dei brani più inquietanti e bizzarri della band: la trama ruota attorno a un’invasione di piante mutanti, la "Giant Hogweed" (un’erba infestante), che diventano una minaccia per l’umanità, portando distruzione e caos. Il brano è tanto una critica sociale quanto una riflessione su tematiche ecologiche, con il paradosso della natura che si ritorce contro l'uomo. La pianta, tra l'altro, esiste davvero: si tratta dell'Heracleum mantegazzianum e ha effetti altamente tossici sull'uomo: la sua diffusione in Europa costituisce una minaccia per la biodiversità, specialmente in Inghilterra.
Il brano esplora il concetto di un'invasione naturale che sfugge al controllo dell'uomo. La "Giant Hogweed", una pianta apparentemente innocua ma mortale, rappresenta la forza inarrestabile della natura che può sopraffare l'uomo, un tema che risuona con preoccupazioni ecologiche e sociali. Il testo suggerisce anche un ritorno alle origini di un male o di una minaccia che l’uomo aveva tentato di sopraffare, ma che si è rigenerato e ora torna più potente che mai. Questa "resurrezione" della minaccia diventa simbolo di come le forze che l’uomo tenta di controllare, come la natura o il proprio destino, possano sfuggirgli.
Notevole anche l'interpretazione di "The Knife" (unico brano tratto da Trespass), con una climax strumentale che ha messo in mostra tutta la potenza della band. Si tratta di un brano dove un riff di organo scandisce quasi una marcia, accompagnata da chitarre e basso fortemente distorte a sottolineare la drammaticità del testo, concepito da Gabriel in una fase "gandhiana" del suo percorso spirituale, dove la violenza delle rivoluzioni in nome della libertà spesso nasconde solo la volontà di imporre un altro tipo di dittatura: "Soon we'll have power, every soldier will rest/And we'll spread out our kindness/To all who our love now deserve./Some of you are going to die/Martyrs of course to the freedom that I shall provide". (Presto avremo il potere, ogni soldato si riposerà /e noi elargiremo la nostra bontà /a tutti coloro che ora meritano il nostro amore./Alcuni di voi sono destinati a morire, /certamente martiri della libertà che vi procurerò). Ogni riferimento al conflitto russo-ucraino è puramente casuale...
Degli altri brani, osserviamo come in "The Fountain of Salmacis" gestiscono molto bene la complessità di quella che è una partitura classicheggiante, con passaggi imprevisti dal maggiore al minore, sostituendo l'orchestra con il mellotron. Quest'ultimo strumento si nota anche in "Seven Stones", che con il suo cromatismo sontuoso richiama per certi versi "Epitaph" dei King Crimson. Ci ha molto stupito poi l'esecuzione del brano "Twilight Alehouse", proposto a suo tempo come lato B del singolo "I Know what I Like", con progressioni quasi da poema sinfonico. "Can-Utility and the Coastliners", da Foxtrot, proposta come un quasi bis, ha suggestionato la Sala Sinopoli con la sua complessità armonica e ritmica e un testo che rimanda alla copertina del disco, dove c’è un sottomarino nell’angolo in alto a destra: è un riferimento al sottomarino della US Navy fermo, in quello scorcio di anni '70, nel mare dell’Inghilterra, a puntare direttamente sulla Russia in modo inquietante.
Il concerto di The Musical Box ha rappresentato una vera e propria celebrazione dei Genesis, offrendo al pubblico romano una performance da ricordare. Con la loro capacità di ricreare l’esperienza musicale e visiva del gruppo di Gabriel, Hackett & Collins con una precisione straordinaria, la band canadese ha ancora una volta dimostrato di essere la più fedele e coinvolgente tra tutte le tribute bands in circolazione. Chi ha avuto la fortuna di essere presente a questo evento, ha assistito a una performance che non è solo un omaggio alla musica, ma una vera e propria trasmissione dello spirito del progressive, la vera grande musica dell'ultima parte del XX secolo.