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7 psicopatici. Tra Tarantino e i fratelli Cohen
Sono trascorsi quattro anni da In Bruges (2008), prima e unica opera di Martin McDonagh, che gli valse molti premi e riconoscimenti. Oggi torna con 7 psicopatici, sempre con il sodalizio di Colin Farrell. Marty (Colin Farrell) è uno sceneggiatore che ha per le mani un titolo forte, 7 psicopatici, ma fatica a delineare i personaggi del suo script, poiché non riesce a concentrarsi e a continuare la storia; così Billy (Sam Rockwell), il suo migliore amico, cerca in ogni modo di aiutarlo nella stesura anche con mezzi poco appropriati. Billy è un attore in declino che di mestiere ora rapisce cani al parco per ottenere una ricompensa.
Hans (Christopher Walken) è il socio di Billy, un religioso polacco con una triste e violenta storia alle spalle; i due ladri canini però compiono un grave errore sequestrando Bonny, la piccola shih tzu del boss della mala Charlie Costello (Woody Harrelson), che per riaverla è disposto a tutto. La vicenda prende così una piega folle che permetterà a Marty di avere sufficiente materiale per completare il suo film. A patto che riuscirà a sopravvivere.
Sospeso tra (ahimè) Tarantino (per la mole di dialoghi surreali che affollano le varie scene e per il sottofondo pulp) ed i fratelli Coen (humor nero e personaggi sopra le righe), Il film è un enigma continuo, un succedersi di avvenimenti improbabili ed inimmaginabili.
7 Psicopatici in particolare sembra voler esasperare ulteriormente tutto quello che avevamo già visto in In Bruges, riuscendoci fino ad un certo punto. Quello che colpisce di più è sicuramente la sceneggiatura e l'aspetto meta-cinematografico, la storia di un film ancora senza storia e di uno scrittore in crisi che cerca di trovare ispirazione nella realtà e nei personaggi che gli gravitano intorno.
E’ il classico film dove la troppa carne al fuoco non viene cotta a puntino da un cuoco (il regista) poliedrico ma incapace fino in fondo di padroneggiare tutti gli elementi narrativi. La storia appare così un po’ frammentaria e la parte conclusiva non è all’altezza delle premesse. E forse chi recensisce il film, non ha nemmeno mai troppo apprezzato Tarantino.