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Accademia Filarmonica Romana. L'arte della transizione secondo Bach
L'Accademia Bizantina guidata da Ottavio Dantone ha inaugurato la stagione dell'Accademia Filarmonica Romana presso il Teatro Argentina con un capolavoro bachiano: ha eseguito L'Arte della Fuga BWV 1080 di Bach giovedì 17 gennaio 2019.
L'Arte della Fuga (Die Kunst der Fuge), BWV 1080, tra le opere di Bach è una delle più sperimentali e quella che lascia più agio ad un quartetto d'archi con clavicembalo e organo – ma varie sono le formazioni ad intraprendere l'esecuzione e la più usuale è in forma di quartetto – di esprimersi attraverso la sua interpretazione più originale, non essendoci direttive precise per gli strumenti. Risale al 1740 e non fu pubblicata prima del 1751; si compone di quattrodici fughe e quattro canoni, le fughe sono comunemente denominate “Contrapunctus”, e sembra vi sia una ragione filosofico-pitagorica nel senso di un enigma nascosto all'interno della struttura, come nelle Enigma Variations di Elgar.
L'Accademia Bizantina guidata al clavicembalo da Ottavio Dantone, direttore musicale ed artistico dal 1996 ma nella formazione autonoma dal 1989 allo strumento, è nata a Ravenna nel 1983, ed è nota per le sue peculiari esecuzioni e incisioni di altissimo livello: ricordiamo il CD Agitata con Delphine Galou che ha vinto il Gramophone Classical Music Award come miglior recital del 2018.
Ciò che si evidenzia dapprincipio è un livello di suono condiviso, con un assolo del clavicembalo di Dantone che, nel corso dell'esecuzione, darà il via a tutti gli altri assoli, come altrettanto notevole quello dell'organo amplificato di Stefano Demichel. Il suono si alza sommessamente dagli strumenti, rigido e venato di una nostalgia perenne, che esalta le fughe come se fossero delle grida soffocate, specialmente a partire dalla seconda, in cui si accendono con vigorìa tutte le parti, una magia che si evolve nel compiersi. Come afferma Christopher Walken nella parte del violoncellista di un quartetto – e qui le parti per quartetto solo si avvicendano con costanza alle altre parti – che sta per lasciare nel film “Una fragile armonia” (A Late Quartet) di Yaron Zilberman: “Nella scrittura per quartetto d'archi l'autore immette la profondità più lacerante del suo cuore", e, quando il violoncello di Mauro Valli va in connubio con il primo violino di Alessandro Tampieri, la soavità di un lento fugarsi della vita moderna lascia il posto alla sacralità della forza di ogni singola nota che svetta sul contrappunto, attraversando l'intero registro emotivo e proseguendo un viaggio nell'oltreuomo, quell'”immer weiter” che Sokurov pose alla fine della sua scrittura filmica del Faust di Goethe.
Il dialogo tra gli strumenti è quindi senza soluzione di continuità, che si incontra anche dopo monologhi, un'arte della transizione secondo Bach, da uno strumento all'altro, da uno specchio all'altro, di fughe e controfughe, incatenati da un filo invisible, guidato da quella matematica vicina all'infinito dei numeri immaginari de I turbamenti del giovane Törless (Die Verwirrungen des Zöglings Törleß, 1906) di un altrettanto giovane Robert Musil, la cui grande opera è rimasta incompiuta (L'uomo senza qualità, 1942), come questa di Bach. Potremmo dire che Bach riunisce tutte le qualità della musica, soprattutto quelle che invariabilmente sfuggono perchè dilatate dal tempo, e con Emil Cioran possiamo dichiarare: "Dieu peut remercier Bach, parce que Bach est la preuve de l'existence de Dieu" e con lui consiglio di vedere un film di Pere Portabella presentato alla 64° Biennale di Venezia: Die Stille vor Bach (Il silenzio prima di Bach) che dal Kantor di Lipsia giunge ai giorni nostri.