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Allied. L'amore al tempo delle spie
Il 12 gennaio prossimo esce nelle sale, per la Universal Pictures, Allied - Un’ombra nascosta, di Robert Zemeckis su sceneggiatura di Stephen Knight. I protagonisti di Allied sono Brad Pitt, nei panni della spia canadese Max Vatan, e Marion Cotillard, che impersona Marianne Beauséjour, pure agente segreta, nonché dirigente della resistenza francese.
C’è in greco antico una parola, mythos [μύθος] (mito): si dice che in assenza di testi sacri ai quali ispirarsi è la parola veritiera, una favola che parla degli dèi. È spiegazione della realtà prima che nasca quella protofisica a noi nota come filosofia. Il mito imperituro per eccellenza è quello di Amore.
E allora iniziamo. Questa è una storia d’amore, la storia di un uomo e di una donna, che s’incontrano perché devono. Sono spie: lavorano. Sono bravi Max e Marianne. E spietati, come si richiede che siano. Uccidono e sanno che uccideranno e che verosimilmente moriranno (la probabilità di portare a termine la missione loro assegnata non supera il 50%). La morte incombe. Non vorrebbero, ma si uniscono in un abbraccio: Amore celebra i suoi fasti e il suo mito. Ma c’è un terzo tra loro, un’entità, un’estensione. Un uomo è solo, si sa. Ma se è solo, solo davvero, non può amare.
I due s’incontrano a Casablanca (Marocco) nel 1942, anno della prima assoluta nella sola New York City dell’omonima pellicola di Michael Curtiz. E non sono poche le somiglianze tra i due film: tanto per cominciare, a ben vedere anche Max è, come Rick Blaine (Humphrey Bogart) nelle parole di Louis Renault – l’ufficiale francese ossequente al Reich –, un “inguaribile sentimentale”. In secondo luogo, sia Rick sia Max amano ricambiati le donne a cui sono legati più che alla propria stessa vita. Terzo: per l’amata entrambi corrono rischi altissimi e l’unico evento che li salvi è di fatto un deus ex machina. E poi c’è la menzogna, una menzogna a fin di bene, e una menzogna tira l’altra...
E se dunque in quel tempo Humphrey-Rick incarnava anche un primato morale (il rinunciatario di sentimenti autentici che s’incarica del lavoro sporco), Max lotta per la libertà insieme ad altri, ai quali è pari. Forse anche il film di Zemeckis porta avanti una battaglia: esce tra guerre dichiarate e non dichiarate, e in una fase nella quale alcuni tra i paesi liberi tradiscono patentemente molti degli ideali per i quali un tempo la loro migliore gioventù aveva combattuto.
Ma torniamo a Max e a Marianne. Essi sono non già allies, bensì allied: questo conta in inglese, nel senso che hanno stipulato un’alleanza più che non siano essi stessi parte di quella grande compagine, gli Allies appunto. L'alleanza che secondo il mythos ci renderà per sempre liberi, una narrazione, questa, ricorrente nelle menti degli operatives che, come Max e Marianne, affiancano i tenacissimi fronti della resistenza al nazismo e al fascismo. I due devono far fuori un importante funzionario del Reich: il piano è ingegnoso, e loro sono scrupolosi. Uccidono sempre e solo chi devono uccidere, così pensano, sorretti dalla loro fede. Tesi e fragili, come tutti gli scrupolosi, sono tuttavia rapidissimi, forse macchinali come i loro avversari, perché sanno che debbono spegnere ogni pietà per chi pietà non merita. E ora fuggono spediti, ma dove? Lui, canadese, è tecnicamente suddito britannico. Bene, allora Londra è il posto perfetto. Lei lo segue rapita.
Bello e privo di sentimentalismi è l’omaggio che Zemeckis fa all’eroismo inglese. Sotto le bombe i londinesi procedono spediti, fulgido ma non unico esempio di una nazione che, galvanizzata da Churchill, affronta stoica la sorte consapevolmente scelta. Da Max e Marianne nasce sotto le bombe Anna, figlia della loro nuova speranza. Ma bisognerà pur rispondere alla Luftwaffe! E se Adam Hunter (Josh Dylan), l’aviatore inviato in missione segretissima da Vatan, non torna, allora parte lo stesso Max, votato alla sua battaglia per la verità: ora tutto torna, tranne un solo, maledetto dettaglio. Chi ne darà conto? Il diretto responsabile, un fanatico di Hitler, e lo farà – paradossalmente – di sua spontanea volontà in un mondo di spie.
Qui, però, tutto ha una sua coerenza: se da una parte si compiono il bombardamento e la voluta autodistruzione della Germania, ultimo folle voto di Hitler, dall’altra un uomo e una donna continuano ad amarsi. Sono spie, assassini implacabili, che consapevolmente combattono un’autentica superpotenza distruttrice, una nazione che l’ossessione del dominio e l’assenza di senso critico, anzi forse proprio un’acrisia idolatra della tecnica e della “Guida” (in tedesco Führer), hanno reso malvagia, secondo Hannah Arendt “banalmente” malvagia. Eppure quei due sanno ancora amare: fino all’ultimo amano la propria missione tanto quanto l’uno ama l’altra.
Ma anche Allied è una buona pellicola, e non solo per la storia o per l’intreccio. La fotografia è ottima e ottimi sono gli effetti speciali. Parsimonioso l’uso di drones. Assolutamente realistiche le riprese della contraerea londinese, verdissimi i prati, per quella luce tenue che sembra splendere solo in terra inglese e che di quelli esalta il fulgore smeraldo. Accurata, e filologicamente avvertita, la trattazione degli interni; estrema, quasi degna di Visconti, la cura dei dettagli, anche di quelli sartoriali (magnifica la fattura delle rutilanti uniformi tedesche). Ottime le acconciature – fantasiosamente variegate, ma del tutto rispondenti ai canoni dell’epoca – delle signore. Realistica la recitazione, agile il ritmo, cosicché la narrazione risulta veloce e avvincente. Eccellente la resa della gelida e ferocemente vendicativa calma olimpica dei funzionari della Corona, ovviamente in impeccabile gessato. Ineccepibile anche la rappresentazione dei loro omologhi nel Reich, sempre irretiti tra un’urbanità e una civilité acquisite a forza, e perciò affettate, e un sottofondo in ogni azione da loro compiuta di furioso, annichilente fanatismo, fintamente spersonalizzato dalla maschera dell’ossequente apparatchik. Però di funzionari solerti ce n’è anche in quest’Albione integra e coraggiosa: uomini d’apparato paranoici o forse solo, per l’appunto, zelanti. Sta a noi scoprirlo, perché una cosa è certa: anche su questo film sembra aleggiare un’aura di tetraggine tutta inglese, di gloom (o glumness, che dir si voglia), ma lo fa con garbo e solo perché la posta in gioco è elevatissima, i pericoli estremi. In un’atmosfera quasi degna de “La talpa” (“Tinker, tailor, soldier spy”, regia di T. Alfredson, 2011, tratto dall’omonimo romanzo di J. le Carré, 1974) qualcuno degli zelanti da un bunker sta spiando chi spia. Ma allora è solo gloom o il pericolo c’è per davvero?
E se in Casablanca finiva un amore perché trionfassero il rispetto di sé e la libertà di tutti, in Allied sembra vinca su tutto l’amore: Zemeckis e Knight sembrano dire che alla fine ce la faremo, che la spunteremo se continueremo a crederci e se combatteremo “da veri inglesi” uniti come un sol uomo, serrando solidali i ranghi. Sembra di udire Churchill: “We shall go on to the end, we shall fight in France, we shall fight on the Seas and Oceans; (...) we shall never surrender!” (Trad.mia: Combatteremo fino alla fine, combatteremo in Francia, sui mari e per gli oceani, non ci arrenderemo mai!).