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Anne Frank. La giovane vittima della Shoah e altre vite parallele
La storia di Anne (in italiano spesso nota come Anna) Frank è troppo nota perché si debba richiamarla alla memoria, e anche da un punto di vista cinematografico è stata oggetto di un film del 1959 diretto da George Stevens (The Diary of Anne Frank). A 90 anni dalla sua nascita, #Anne Frank. Vite parallele, il nuovo film diretto da Sabina Fedeli e raccontato da Helen Mirren rilegge le pagine del suo diario in modo "relazionale", non limitandosi a sottolineare l’intelligenza brillante e il linguaggio moderno di una bambina che voleva diventare scrittrice, ma correlandola con quella di cinque sopravvissute all’Olocausto, bambine e adolescenti come lei, con la stessa voglia di vivere e lo stesso coraggio: Arianna Szörenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci.
“Se Anne fosse viva, oggi avrebbe 90 anni (era infatti nata a Francoforte il 12 giugno 1929). Particolare, questo, che non dovrebbe essere mimimizzato", come ha sottolineato Helen Mirren. L'attrice inglese, premio Oscar 2006, aggiunge: "stiamo iniziando a perdere la generazione dei testimoni di quanto è successo in Europa in quei terribili giorni. Per questo è più importante che mai mantenere viva la memoria guardando al futuro. Con le guerre in Siria, Libia, Iraq, con l'immigrazione che sta interessando tutta l’Europa, è così facile puntare il dito su popoli, culture, persone diverse e dire che sono la causa dei nostri problemi". Ecco perché il diario di Anne Frank rappresenta, secondo l'attrice, un insegnamento di grande valore, nonché uno strumento capace di offrire una profonda comprensione delle esperienze umane del passato ma anche del nostro presente e del nostro futuro.
Il film muove in realtà, più che dalle pagine del Diario, da una domanda controfattuale: quale sarebbe stata la vita di Anne Frank se fosse potuta sopravvivere ad Auschwitz e Bergen Belsen? Che cosa sarebbe stato dei suoi desideri e delle speranze di cui amava scrivere nei suoi appunti? E avrebbe usato un linguaggio poetico anche per raccontarci delle persecuzioni e dei campi di sterminio, quasi contraddicendo il divieto di Adorno? Come avrebbe interpretato la realtà attuale, il rinascente antisemitismo e le nuove forme di razzismo? Quello che è certo è il fatto che tuttora Anne resta un punto di riferimento, uno specchio attraverso cui i ragazzi imparano a guardare il mondo e a pors delle domande. Anne scriveva di sé, di ciò che accadeva nell'Europa in fiamme, del Nazismo. E per confidare le sue paure e le sue riflessioni inventò addirittura un'amica immaginaria: Kitty.
Helen Mirren accompagna gli spettatori attraverso la storia di Anne usando le parole del diario. Il set è la camera del rifugio segreto di Amsterdam in cui la ragazzina restò nascosta per oltre due anni. È stata ricostruita nei minimi dettagli dagli scenografi del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa: grazie alla loro precisione quasi maniacale, veniamo trasportati in una dettagliatissima ricostruzione ambientale che ci ricondurrà al 1942. Nella stanza ci sono gli oggetti della sua vita, le fotografie con cui aveva tappezzato le pareti, i quaderni su cui scriveva.
Una giovane attrice, interpretata da Martina Gatti, ha invece il compito di guidarci nei luoghi di Anne e delle donne superstiti della Shoah. È lei a viaggiare per l'Europa alla scoperta delle tappe della breve vita di Anne. È una giovane che potremmo dire appartenga alla cosiddetta generazione Erasmus, abituata a viaggiare e a usare più di una lingua straniera: vuole conoscere la storia dell’adolescente ebrea diventata simbolo della più grande tragedia del ‘900 e ci parla soprattutto attraverso i social media. Il suo linguaggio si traduce in foto digitali e post di differenti chat on line. Così la Gatti racconta e interpreta tutto quello che scopre, dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania (dove Anne e sua sorella Margot morirono tragicamente) al Memoriale della Shoah di Parigi, fino alla visita nel rifugio segreto nella capitale olandese. Martina rappresenta una delle migliaia di teenager che si sentono vicine ad Anne, una delle tante amiche immaginarie, delle tante Kitty che ovunque nel mondo sognano di avere un posto speciale nel cuore della Frank.
Martina scrive così una sorta di diario digitale capace di parlare ai suoi coetanei, senza la minima pretesa di emulare quello di Anne: è solo un modo immediato per mettere in relazione le tragedie passate con il presente, di capire quale sia oggi l’antidoto contro ogni forma di razzismo, discriminazione e antisemitismo. Grazie alla sua curiosità e alla sua voglia di non restare indifferente riscopriamo l’assoluta contemporaneità delle parole di Anne Frank, ma anche la potenza delle voci di chi ancora può ricordare. Quelle di Arianna, Sarah, Helga, Andra e Tatiana, le storie parallele, di donne scampate allo sterminio e oggi novantenni. Come Anne Frank hanno subito, da giovanissime, la persecuzione e la deportazione. A loro è stata negata l’infanzia, hanno perduto nei lager madri, padri fratelli, amici, amori. I racconti delle sopravvissute alla Shoah danno voce al silenzio del diario di Anne, che si interrompe improvvisamente con l’arresto di tutti gli ospiti del rifugio segreto di Amsterdam il 4 agosto del 1944. Queste donne si raccontano, con voce spesso interrotta dall’emozione. Come quando Arianna, deportata a 11 anni, rievoca i suoi incontri con la madre attraverso il filo spinato di Auschwitz. Ma nel loro narrare c’è anche forza, sfida, ironia. Un esempio è la descrizione del gioco “surreale” che Sarah organizzava in campo con le altre ragazzine: una gara fra pulci. Non si vinceva niente ma aiutava a vivere.
Nel film compaiono anche le testimonianze e le interpretazioni del rabbino Michael Berenbaum, storico e docente di studi giudaici in diverse università americane, dello storico della Shoah Marcello Pezzetti, direttore del Museo della Shoah di Roma (da lungo tempo programmato e si spera prossimo alla realizzazione), dell’etnopsicologa francese Nathalie Zajde, delle testimoni Doris Grozdanovicova e Fanny Hochbaum, della violinista di fama internazionale Francesca Dego, di Yves Kugelmann giornalista e membro dell’Anne Frank Fonds, Basel, di Ronald Leopold - direttore dell’Anne Frank House, del direttore del magazine online Jewpopo Alain Granat, del fotografo Simon Daval.
In occasione dell’uscita del docu-film, nasce anche il profilo Instagram @CaraAnneFrank: come Kitty contemporanee, tutti noi possiamo parlare ad Anne e alle altre testimoni raccontando loro i nostri pensieri e le nostre emozioni sul tema della memoria. È questo l’invito rivolto a studenti e lettori in occasione dell’uscita in sala del film.