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Bari Teatro Petruzzelli. La magica schiavitù di De Filippo
La Grande magia è l'opera meno rappresentata fra quelle di Eduardo De Filippo. Portata sulle scene dallo stesso autore far il 1947 ed il 1950, e successivamente riproposta da Giorgio Strelher nel 1985. Adesso, a riportarla a teatro, è il figlio del grande drammaturgo partenopeo, Luca De Filippo. Oltre ad esserne regista, De Filippo, ne è anche interprete, ricoprendo quello che era stato il ruolo del padre, il mago Otto Marvuglia. L'opera andata in scena al Petruzzelli di Bari, dall'8 al 10 febbraio, dopo esser passata per Pescara e Caserta, sarà a Roma, presso il Teatro Quirino, dal 19 febbraio al 10 marzo, per continuare il tour teatrale iniziato ad ottobre 2012 al Teatro Stabile dell'Umbria.
La storia dal sapore agrodolce, la fa collocare dallo stesso celebre autore, in quel filone di opere ch'egli intitolò Cantata dei giorni dispari, come si definiscono i giorni amari, peggiori, a Napoli. Il racconto, seppur non manchi di momenti che riservano sorrisi al pubblico, conserva di fatto un'amarezza, data dallo scarto fra realtà ed illusione. Nell'hotel Metropolitan, fra gli ospiti, si distingue un uomo, Calogero Di Spelta (Giovanni Allocca), accompagnato da sua moglie Marta. L'uomo, gelosissimo e sospettoso della consorte, si ritrova suo malgrado protagonista di una magia di Marvuglia, un ciarlatano con grande capacità dialettica, di persuasione, ed un savoir faire, resi perfettamente sulla scena da De Filippo, che riceve dal pubblico uno spontaneo applauso all'ingresso sul palcoscenico.
Il mago, che tiene uno spettacolo nell'hotel in cui gli sposi soggiornano, da impostore quale è, si presta ad una richiesta della signora Di Spelta, ovvero quella di coinvolgerla in un trucco di magia che le permetta di sparire per un lasso di tempo da trascorrere con il suo amante, lontano dagli occhi del marito. La magia, ad insaputa dello stesso mago si protrae più a lungo di quanto previsto, e si traduce nella fuga della fedifraga con l'amante. Lo spettacolo continua per gli ospiti, ignari, dell'hotel, sino a quando Calogero non reclama la sua compagna, chiedendo al mago di farla riapparire. Marvuglia comprende subito che la donna è fuggita e, trovandosi dinnanzi un uomo che non vuole accettare tale ipotesi, gli propina una spiegazione assurda. La donna è rinchiusa in una scatola, che il mago consegna all'uomo, se vuole rivederla, non gli resta che aprirla e porre fine alla magia, questo però, a patto ch'egli creda fermamente che sua moglie sia rinchiusa al suo interno, in caso contrario, questa potrebbe non comparire mai più. Il Di Spelta, che preferisce esser cieco di fronte alla realtà, non prendendo in considerazione un'ipotesi ben più sensata, rispetto a quella fornitagli dal mago, prende la scatola e va via con essa, concludendo il primo dei tre atti che compongono l'opera.
Il contenitore resterà così, chiuso, per quattro anni. Anni nei quali l'uomo sarà intrappolato nel giuoco, suo e del mago, un giuoco fatto di immagini date da sensazioni che non sono reali, ma che sussistono finché andrà avanti la magia. Ma Calogero è soprattutto intrappolato da se stesso, in balia della sua mancanza di fiducia nella moglie, a causa della quale continuerà strenuamente a rinnegare la realtà, ed è proprio attorno a questo che gira tutta la vicenda: la negazione, la sfiducia, il rifiuto dell'accettare le cose così come sono.
Di Spelta è in un certo senso lo specchio di una società, della nostra società, che sia quella di metà '900, quando nasce l'opera, o quella dei giorni nostri. Le parole espresse dall'attore nel monologo finale, possono essere, se si vuole, uno spunto di riflessione per il pubblico, per la gente. Al termine del terzo atto, Di Spelta è ormai un uomo fuori di testa, un folle che lascia scivolare liberamente i suoi pensieri, che si convince di aver fede, e si accinge ad aprire la scatola per ritrovare la sua consorte, e scoprire che tutto è durato solo un attimo, il tempo di un trucco di magia.
Marta a questo punto ricompare, ma, chiaramente, non dalla scatola, che l'uomo conserva ancora chiusa e stretta fra le sue mani, bensì nella stanza, seguita dal mago Marvuglia e da sua moglie, anch'essa complice dell'inganno, che annunciano a gran voce che il gioco e finalmente concluso. La donna, tornata dal marito, gli confessa del tradimento, ma ha di fronte a sé un uomo che, anche di fronte alla più lampante delle verità, preferisce la strada della menzogna. Di Spelta, di fatti, ordina in tono perentorio al suo maggiordomo: “Gennarino! queste immagini devono sparire!”, riferendosi ai tre, che ormai non accetta più di vedere come persone reali, e si ripromette di andare avanti per la sua strada, conservando la scatola chiusa per sempre, continuando a vivere in quella grande magia della quale oramai è schiavo.