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Bari.Il Teatro Kismet porta l'Amleto di Manfredini on stage
L’Amleto è, fra le opere di Shakespeare, una fra le più interpretate e reinterpretate. A portarla per l’ennesima volta a teatro, con il supporto della produzione de La Corte Ospitale e la coproduzione del Theatre du Bois de l’Aune, è stato Danio Manfredini, nelle vesti di direttore, produttore ed interprete insieme al Teatro Kismet Opera di Bari, il primo ed il due di novembre del 2012.
L’eccentrico e schivo attore, che ha sempre portato in scena propri testi, sceglie di confrontarsi per la prima volta con un grande classico. In principio oscilla fra un “essere o non essere” tutto suo: essere fedele all’opera, o essere fedele a se stesso nel rappresentarla(?). L’iniziale ostilità con il linguaggio, come lui stesso ha confessato, lo ha portato poi verso una sua personalissima interpretazione della tragedia, senza escludere gli avvenimenti fondamentali del testo originario.
E’ così che nasce Il Principe Amleto di Manfredini che, dopo le rappresentazioni del 1° e 2 novembre al Kismet Opera di Bari, tornerà sul palcoscenico del Teatro Franco Parenti di Milano (dal 12 al 14 dicembre). Questo principe di Danimarca è calato completamente nella solitudine dell’introspezione, del delirio, nella sofferenza e nella sua teatrale esternazione.
Quando il sipario si apre, appare un palcoscenico spoglio e buio, che in tutta la sua semplicità riesce comunque ad essere suggestivo. Compare la sagoma di un uomo che giace disteso per terra, morente ed accerchiato da petali di rosa rossi a simboleggiarne il sangue. E’ Amleto, che negli attimi finali della sua vita ripercorre tutto ciò che gli è accaduto, come in un ultimo delirante sogno. Dall’epilogo, muove i primi passi l’intera rappresentazione. La morte del Re, la scoperta del complotto della regina Gertrude e di Claudio, lo smascheramento attraverso la rappresentazione teatrale, l’omicidio di Polonio, la morte di Ofelia, sono tutti ricordi di Amleto riportati alla luce dal suo inconscio, poco prima di morire.
Gli attori, tutti uomini, anche nelle uniche due parti femminili, indossano delle maschere (realizzate dal regista) e si muovono come fossero i burattini di una storia già segnata. Esprimono i loro sentimenti con una gestualità eccentrica, posture innaturali, movimenti sclerotici, quasi come fossero impossibilitati a muoversi. La voce è il mezzo principale attraverso il quale trasmettere gli stati d’animo dei personaggi: il costante stato di “mal di vivere“ di Amleto, l’angoscia, data dal senso di colpa, di Gertrude, la rabbia di Laerte, la disperazione di Ofelia.
A donare alle reminiscenze del principe un aspetto onirico, le musiche di Giovanni Ricciardi, e le luci curate da Luigi Biondi. Nel corso di tutta la messa in scena, più che alla materialità di abiti e strumenti scenici, ci si affida alle suggestioni date dall’intreccio di questi due elementi. I raggi di luce di tanto in tanto illuminano il cammino dei personaggi, per poi rigettarli nell’oscurità delle loro esistenze; la musica, accompagna e scandisce i momenti di sofferenza, di collera, di follia.
L’impatto visivo si fa più forte quando il finale, il duello fra Amleto e Laerte, si trasforma in una citazione della Crocifissione. Dall’alto, al centro della scena viene calato Cristo in croce, i due si trasformano nei due ladroni, Gertrude nel ruolo della Maria Maddalena e Claudio, nei panni di un centurione. Lo scontro di lame avvelenate è appena accennato dalle movenze dei duellanti. Gli attori sono fermi e muti, quasi come fossero in un quadro, mentre in sottofondo si sentono le loro voci che continuano a recitare le battute.
In questo duello perdono tutti, chi la pace, chi il perdono, chi il rispetto per sé stesso. E Tutti perdono la vita. Il corpo di Amleto viene poi riposto da Orazio, suo amico, nella stessa posizione supina della scena iniziale, ormai libero da ricordi e sofferenze.