The Beast di Bonello. Una distopia tra Henry James e la nouvelle vague

Articolo di: 
Teo Orlando
THE BEAST

Bertrand Bonello, regista e musicista francese, noto per film come Nocturama (2016) e Zombi Child(2019), con La Bestia (in francese: La Bête) realizza un film romantico sotto le sembianze della fantascienza distopica. Bonello, che ha anche scritto la sceneggiatura insieme a Guillaume Bréaud e a Benjamin Charbit, si è liberamente ispirato a un racconto di Henry James, che il grande scrittore americano pubblicò nel 1903 (The Beast in the Jungle/La bestia nella giungla). Il film esplora i temi dell'intelligenza artificiale, delle emozioni umane e della reincarnazione. Léa Seydoux ricopre il ruolo di Gabrielle e George MacKay quello di Louis, affiancati da un cast che comprende Guslagie Malanda, Dasha Nekrasova ed Elina Löwensohn.

Il film era stato già annunciato nel 2021, quando l'interprete maschile originario avrebbe dovuto essere Gaspard Ulliel: la sua tragica scomparsa in un incidente sciistico avvenuto in Alta Savoia nel 2022 ha fatto scritturare l'attore britannico George MacKay, che è apparso all'altezza del compito. Le riprese si sono svolte a Parigi e a Los Angeles, ma la produzione ha subito dei ritardi a causa della cosiddetta pandemia di Covid-19. Il film è stato presentato in anteprima all'80° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia ed è stato apprezzato per la sua narrazione ambiziosa e il suo stile visivo.

La storia è ambientata in un 2044 distopico in cui l'intelligenza artificiale controlla la maggior parte dei lavori affidati agli esseri umani. Tuttavia, è un futuro prossimo dove niente fa sospettare che ci troviamo 20 anni dopo il nostro presente: edifici, abiti, elettrodomestici e simili sono esattamente gli stessi. Semmai, il senso di angoscia spettrale che circonda le scene collocate nel 2044 è determinato dal fatto che le strade sono deserte, mancano le automobili e nessuno più dispone di internet. Segno che l'intelligenza artificiale ha realmente preso il sopravvento, benché la circostanza sia piuttosto suggerita che esplicitata.  È il personaggio femminile, Gabrielle, a fare la sua comparsa per prima: la storia comincia in medias res con lei che decide di sottoporsi a una sorta di processo di purificazione del DNA per sopprimere le proprie emozioni e migliorare le prospettive di lavoro. In ogni tentativo di purificazione, sperimenta intense vite passate con il personaggio maschile, Louis, rivelando un legame inestricabile tra epoche diverse.

Il primo tentativo di purificazione la porta in Francia, nella Parigi del 1910: qui Gabrielle è una stimata pianista, che gestisce anche una fabbrica di bambole con suo marito, ma si sente, perseguitata da un senso di sventura imminente. Durante una serata di gala, incontra Louis, con il quale si riaccende un antico legame. Lo aveva conosciuto a Napoli sei anni prima. In quell'occasione, gli aveva confessato la sua paura che potesse accadere una qualche orribile catastrofe, un'idea su cui rimuginerà costantemente.  Nonostante Gabrielle sia sposata, i due riprendono a frequentarsi e iniziano a passare più tempo insieme, anche se Gabrielle non vuole iniziare una relazione con Louis a causa della sua paura. Un tragico incidente si verifica quando un'alluvione travolge la fabbrica di bambole di Gabrielle, causando la loro morte per annegamento (death by water, per citare la Waste Land di Thomas S. Eliot, dove la morte per annegamento viene quasi simbolicamente contrapposta a quella tramite il fuoco – The sermon of fire, come Eliot intitola la sezione precedente –, perché più pura e incontaminata), con l'alternativa di morire bruciati. Quest'epoca riecheggia le idee esistenzialiste, in particolare la nozione di “vertigine della libertà” di Kierkegaard, poiché Gabrielle prova disagio per il futuro in mezzo a una vita confortevole. La visione di Bonello della Parigi prebellica, con fragili bambole di porcellana e celluloide che simboleggiano sia la fragilità umana che l'incombente devastazione della tecnologia, introduce un mondo sull'orlo della disumanità.

Il secondo tentativo è ambientato a Los Angeles, nel 2014: Gabrielle, ora modella, è inseguita da un isolato Louis, prototipo di quelle personalità paranoidi che vengono definite incel (sostanzialmente, persone che attribuiscono il loro celibato a circostanze involontarie e che si sentono perseguitati). Dopo un terremoto non tanto devastante per gli edifici quanto sconvolgente per la psiche degli esseri umani, Gabrielle si sente in qualche modo "braccata": prima di tornare a casa si toglie le scarpe e vaga scalza per i viali del quartiere, finché non calpesta un piccione morto. A quel punto avviene un ennesimo incontro con Louis, il quale, in preda a un amore non corrisposto e al risentimento, perde l'autocontrollo, con conseguenze drammatiche. È una società già “ripiegata su sé stessa”, con una netta invadenza della tecnologia personale. Questa parte del film offre un'acuta critica sociale sugli effetti isolanti delle dipendenze tecnologiche, cogliendo il passaggio a un mondo sempre più mediato dagli schermi. La rappresentazione di questo periodo da parte di Bonello risuona con le preoccupazioni attuali sulla perdita di una genuina connessione tra gli esseri umani nell'era digitale. Il 2014 di Bonello raffigura un’epoca più vicina a noi, in cui Gabrielle e Louis si trovano a Los Angeles, alienati e disillusi.

Il terzo tentativo è del 2044, ossia dell'epoca contemporanea al narratore del film: Gabrielle si rende conto che la sua purificazione emotiva è fallita e si ricongiunge a Louis in una catartica e tragica presa di coscienza del loro amore incompiuto. Siamo in un futuro distopico plasmato dall'intelligenza artificiale e da una società intorpidita dalla tecnologia, con un’economia post-lavorativa. In questo mondo, le persone si sottopongono alla “pulizia del DNA” per cancellare i ricordi e mitigare il dolore dell'esistenza. Bonello critica la presa della tecnologia moderna sull'umanità, allineandosi a filosofi come l'anarchico Jacques Ellul, che ha messo in guardia contro la perdita dell'esperienza autentica a favore dell'artificialità. La riluttanza di Gabrielle ad abbandonare i suoi ricordi suggerisce che una vera connessione umana è incompatibile con l'intorpidimento tecnologico. La tecnologia offre un’illusione di pace, ma Bonello sottolinea come il “mostro” possa risiedere proprio in questa insensibilità artificiale e nell’alienazione che essa comporta.

Tutti questi complessi temi filosofici, intrecciati con le moderne angosce esistenziali, attraversano tre periodi temporali, ciascuno con i personaggi ricorrenti Gabrielle e Louis, i cui tentativi d'amore sono interrotti da una presenza minacciosa e ricorrente: la “bestia” del titolo: fondendo le vite passate con la distopia del presente, il film riflette sull'amore, il destino e la perdita, creando una narrazione ossessionante che interseca il decadimento personale e sociale. Il film si conclude senza i tradizionali titoli di coda, con l'espediente di utilizzare invece un codice QR, che simboleggia un futuro digitale e crudo. La visione pessimista della tecnologia viene però temperata da un invito alla speranza, alla riflessione filosofica e alla possibilità di superare le “bestie” moderne attraverso la ricerca di significati più profondi.

Ecco perché il film, pur essendo immerso in un futuro tecnologico, non può fare a meno di evocare le inquietudini di The Beast in the Jungle, il racconto di Henry James, esplorando la stessa tensione tra desiderio e ineluttabilità. Nel racconto di James, il protagonista, John Marcher, si prepara a un evento cataclismico e oscuro – la "bestia" che dovrà affrontare – ma l'incertezza del suo destino, legato a un amore che mai arriva a compiersi, lo condanna a una vita di attesa senza fine. La sua "bestia", infatti, si manifesta non come un pericolo esterno, ma come una forma di negazione esistenziale che mina la sua capacità di vivere pienamente. Scrive James:

«"Well, say to wait for – to have to meet, to face, to see suddenly breakout in my life; possibly destroying all further consciousness, possibly annihilating me; possibly, on the other hand, only altering everything, striking at the root of all my world and leaving me to the consequences, however they shape themselves". She took this in, but the light in her eyes continued for him not to be that of mockery. "Isn't what you describe perhaps but the expectation or at any rate the sense of danger, familiar to so many people-of falling in love?"» («“Beh, diciamo attendere... qualcosa che devo incontrare, affrontare, che esploderà all'improvviso nella mia vita; forse distruggendo ogni ulteriore consapevolezza, forse distruggendomi; a meno che non si accontenti di alterare ogni equilibrio, colpendo alle radici tutto il mio mondo e abbandonandomi alle conseguenze, quali che siano". May sembrò afferrare il concetto, ma la luce dei suoi occhi continuò per lui a non essere derisoria. "Ciò che mi stai descrivendo non è forse l'attesa o la sensazione di pericolo - familiare a tanti - di innamorarsi?”»).
(Henry James, The Beast in the Jungle and Other Tales, New York, Dover, 1993, p. 39; trad. it. La bestia nella giungla e altri racconti, Milano, Garzanti, 1984, p. 147).

Allo stesso modo, Bonello, nel suo film, offre una riflessione sul rapporto umano con l'intelligenza artificiale, ma anche su una forma di attesa perpetua: quella di una connessione che non arriva mai a soddisfare completamente il desiderio umano (by the way, a simili temi indulge anche Ian McEwan nel romanzo Machines like me). In The Beast, la protagonista entra in relazione con un'intelligenza artificiale progettata per essere "l'altro", ma, nonostante le sue capacità avanzate, la macchina non può mai diventare veramente "umana", lasciando Gabrielle intrappolata in una solitudine tecnologica che ricorda quella di Marcher.

Il film di Bonello risuona con la stessa ansia di The Beast in the Jungle: se nel racconto di James il "destino" che Marcher teme si rivela un'illusione, nella narrazione di Bonello è la macchina, pur incredibilmente sofisticata, a incarnare la stessa bestia – una creazione che sembra promettere tanto, ma che in realtà non è altro che un ulteriore simbolo della nostra incapacità di raggiungere un'autentica connessione, a causa di quello che il filosofo Günther Anders aveva chiamato il "dislivello prometeico", ossia il riconoscimento della distanza ogni giorno più marcata che separa l’Umano dai suoi stessi prodotti, i quali appartengono di fatto al dominio della Tecnica. La tecnologia, per quanto avanzata, non può colmare il vuoto lasciato dal desiderio umano non soddisfatto. La relazione tra Gabrielle e l'IA diventa una metafora della distanza tra il corpo e lo spirito, tra ciò che possiamo toccare e ciò che non possiamo mai possedere.

Come Marcher, che è prigioniero della sua attesa senza fine, Gabrielle si trova intrappolata in un legame che non è mai in grado di evolversi in un amore completo. La "bestia" nel film non è una minaccia fisica, ma una forma di alienazione interiore, il fallimento della promessa tecnologica di colmare le nostre lacune emotive. Il film di Bonello, come il racconto di James, indaga l’angoscia esistenziale che nasce dalla consapevolezza che il nostro destino è segnato non da eventi esterni, ma dalla nostra incapacità di affrontare ciò che veramente desideriamo. In entrambi i casi, la "bestia" è la metafora di un’incapacità di vivere veramente nel presente, una prigionia mentale che deriva dall’attesa di qualcosa che non arriverà mai.

Bonello costruisce un ambiente freddo e distaccato, un paesaggio futuristico che amplifica l'idea di una solitudine crescente, dove l'intelligenza artificiale è vista come un'illusione di compagnia che non fa altro che rendere più evidente la separazione tra  gli esseri umani e la loro vera essenza. Questo risuona con la tormentata solitudine di Marcher, il cui più grande errore è non comprendere che la sua "bestia" non è un evento che accadrà, ma una condizione che ha plasmato la sua vita. La critica sociale di Bonello verso la dipendenza dalla tecnologia, pur partendo da un contesto futuristico, si intreccia con la riflessione psicologica e filosofica di James, creando un dialogo tra due epoche distanti ma unite dall'esplorazione della solitudine umana e dalla paura di non poter mai raggiungere un’autentica connessione, che sia con un altro essere umano o con una macchina. In conclusione, The Beast di Bonello e The Beast in the Jungle di James, pur appartenendo a mondi diversi, si uniscono nell'analisi della nostra incapacità di sfuggire alla nostra solitudine interiore. L'appartenenza a due mondi diversi del romanzo e del film è un dato di fatto a cui Bonello cerca, non sempre felicemente, a nostro parere, di rimediare con riferimenti alla nouvelle vague francese e alle sue atmosfere: ma deve farne di strada prima di arrivare ai livelli di Rohmer o Resnais, e anche a quelli di Lynch.

 

Pubblicato in: 
GN3 Anno XVII 18 novembre 2024
Scheda
Titolo completo: 

The Beast

Titolo originale    La Bête
Lingua originale    francese, inglese
Paese di produzione    Francia, Canada
Anno    2023
Durata    146 minuti
Genere    drammatico, fantascienza, sentimentale, orrore
Regia    Bertrand Bonello
Soggetto    La bestia nella giungla di Henry James
Sceneggiatura    Bertrand Bonello, Guillaume Bréaud, Benjamin Charbit
Produttore    Justin Taurand, Bertrand Bonello
Casa di produzione    Les Films du Bélier, My New Picture, Sons of Manual, Arte France Cinéma, Ami Paris
Distribuzione in italiano    I Wonder Pictures
Fotografia    Josée Deshaies
Montaggio    Anita Roth
Musiche    Bertrand Bonello, Anna Bonello
Scenografia    Katia Wyszkop
 

Interpreti e personaggi

Léa Seydoux: Gabrielle
George MacKay: Louis
Guslagie Malanda: Poupée Kelly
Dasha Nekrasova: Dakota
Martin Scali: Georges
Elina Löwensohn: la veggente
Marta Hoskins: Gina
Julia Faure: Sophie
Kester Lovelace: Tom
Félicien Pinot: Augustin
Laurent Lacotte: l'architetto