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Best BUR. I guardiani di Maurizio De Giovanni
Un segreto che viene da lontano, al di là del tempo e dello spazio, è al centro del romanzo di Maurizio De Giovanni “I guardiani” (best BUR - Rizzoli libri), un thriller tra fanta-archeologia ed esoterismo che si svolge tra le ombre e i cupi sotterranei di una metropoli inquietante. Un libro che poco o nulla ha a che vedere con il genere poliziesco che ha dato fama allo scrittore, autore della serie dedicata al Commissario Ricciardi, ambientata a Napoli in epoca fascista, e di quella più attuale dei Bastardi di Pizzofalcone, dalla quale è stato tratto uno sceneggiato televisivo.
Leggendo i giudizi dei lettori pubblicati su internet, si direbbe che essi siano stati per lo più delusi da questo libro, che sembra quasi seguire le orme di Dan Brown per il mistero incalzante e la sensazione che i protagonisti debbano combattere contro entità minacciose ed eventi oscuri. Entità ed eventi che vengono più o meno svelati nel corso della narrazione, lasciando però perplessi diversi lettori, che non riconoscono la penna di De Giovanni, se non in rare pagine isolate.
Premettendo che io ho apprezzato tutti i gialli dell’autore e che sono un’appassionata di misteri, non ho saputo resistere al desiderio di leggere “I guardiani”, nonostante i pareri negativi di molti, e ho intrapreso fiduciosa la lettura del romanzo, ambientato anch’esso nella città partenopea, che indubbiamente si presta a un’atmosfera noir, data la sua ricchezza di leggende e luoghi nei quali è possibile addentrarsi negli enigmi, veri o presunti, di un lontano passato. Pensiamo in particolare ai culti misterici di Diana, di Demetra, di Iside, di Dioniso, di Mitra e altri, sostituiti nel tempo dal cristianesimo, e al particolare rapporto con il sacro della popolazione che ha spesso un atteggiamento superstizioso e scaramantico, che appare ai giorni nostri piuttosto anacronistico.
Allo stesso tempo la città, così vicina al Vesuvio e ai Campi Flegrei, deve avere nel suo sottosuolo dei siti carichi di energia geomagnetica. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Terra è un essere vivente, fatto, come noi, di parti materiali e di correnti energetiche importantissime per la sua esistenza. Gli uomini del passato, o meglio gli “iniziati” ai sacri misteri, dovevano conoscere questa geografia terrestre, e sui suoi centri vitali hanno eretto dolmen, menhir, cerchi di pietre, e in seguito templi e chiese, nel desiderio di instaurare un contatto con le dimensioni superiori.
Questo probabilmente pensa il protagonista del romanzo, Marco Di Giacomo, un antropologo quarantaduenne che in un suo saggio giovanile aveva addirittura ipotizzato che nella metropoli campana si celassero gli adepti di culti ancestrali, legati alla natura geofisica di certi luoghi. Una teoria non suffragata da prove certe e considerata “folle” dagli accademici dell’università, dove Di Giacomo insegna svogliatamente, ma che è condivisa dal giovane assistente Brazo Moscati e dalla nipote Lisi, in realtà molto più avanti dello zio nella sua ricerca, perché coadiuvata da alcuni amici, sparsi nel mondo, con i quali è in contatto telematico.
Il direttore del dipartimento di Scienze antropologiche chiede a Di Giacomo di accogliere una giornalista tedesca, Ingrid Schultz, e di mostrarle la città nei suoi aspetti più interessanti dal punto di vista esoterico, perché lei deve realizzare un importante reportage e ha chiesto espressamente di lui. La giornalista, tutt’altro che ignorante nel campo antropologico, quando Marco e Brazo la portano nella Cappella Sansevero, celebre per il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino e altri capolavori settecenteschi carichi di simbologie massoniche, si oppone alle spiegazioni di Di Giacomo, che reputa troppo scontate, pretendendo di addentrarsi più in profondità nei misteri di Napoli: “Parlami di Iside, invece di perdere tempo con queste sciocchezze sulla massoneria. Dimmi della leggenda che vuole ci fosse un tempio proprio qui sotto, e di come probabilmente il fiume sotterraneo consentisse le ritualità che nel Seicento ancora si seguivano. Di come Iside in realtà sia proprio la statua della Pudicizia, invece che la madre del principe come si vuol far credere. Di cosa significhi il velo, e perché l’idea del nascosto, del celato sia in quasi tutte le opere della Cappella…”.
Ed è allora che Marco chiede l’aiuto di Lisi, che li conduce in strani luoghi di accesso a quel mondo sotterraneo (a partire dal bagno di una friggitoria) che, secondo lei, si sviluppa per chilometri nelle viscere della terra, e che è forse in collegamento con altri misteriosi siti del pianeta. Rivolgendosi a Ingrid, davanti ad un anfratto Lisi dice: “Cara signorina, ti presento l’ingresso, uno degli ingressi per essere precisi, ma il più facile da percorrere, del tempio di Iside… Questa parte potrebbe anche essere stata il luogo dove veniva adorata Lilith, la Luna nera, la dea mesopotamica della tempesta e in senso lato della morte e della disgrazia… Siamo appena fuori dal Triangolo. Il centro della chiesa di San Domenico, il baricentro del palazzo di Sangro e il basamento della statua del Nilo, proprio qui di fronte. Il Triangolo dell’Energia sacra, quello che apre il canale di comunicazione tra il cielo e la terra.”
Il romanzo inizia in un giorno che precede di poco il Natale, e più esattamente nel solstizio d’inverno che tanta importanza aveva nei riti antichi, e particolarmente in quello di Mitra, il cui dies natalis è diventato poi quello di Cristo. La giovane Lisi, che vede complotti dappertutto, si rende conto da alcune vaghe notizie (un grosso cane dissanguato trovato all’indomani del solstizio, il cadavere del guardiano di un garage morto all’improvviso, e ancora la morte di un barbone presso Santa Maria della Pietrasanta, una chiesa sorta nel sito di un antico tempio di Diana) che sta succedendo qualcosa d’inquietante. Quando il mistero si infittisce, Lisi viene spinta a partire per una meta sconosciuta, dove scopre di essere parte di un disegno occulto che potrebbe coinvolgere l’intera umanità. Ovviamente lo zio non si dà pace per la sparizione della ragazza e indaga con Brazo e Ingrid per capire cosa stia succedendo.
La trama fonde insieme realismo e agghiaccianti scoperte con una scrittura che qua e là sa essere evocativa e visionaria. Meno convincenti sono i protagonisti, a volte quasi stereotipati nei loro comportamenti e dialoghi. Per colorire la città di mistero, compaiono enigmatiche figure come la stessa madre di Lisi che sembra immersa in un suo mondo meditativo, una “bambina” nascosta da coperte e occhiali da sole, che viene spinta su una sedia a rotelle da una donna, un uomo incappucciato che dà ordini ai “guardiani” dei luoghi deputati agli antichi culti, tra cui Aristarchos, che è un sacerdote di Mitra, e Ippolita, una janara (cioè seguace di Diana).
Nonostante non sia sempre facile da seguire (per esempio il senso del II capitolo, uno dei più riusciti, si intuisce solo verso la fine del libro), il romanzo ci incuriosisce soprattutto per i riferimenti alle religioni misteriche, i cui riti, però, non vengono approfonditi più di tanto (ma è pur vero che si tratta di misteri!). Il tutto appare un po’ troppo dispersivo e non esente da ingenuità, soprattutto quando ci si inoltra nel terreno della fantascienza, con strani incroci genetici, mappe temporali e altri misteri.
Siamo ben lontani dalla genialità e dal pathos del commissario Ricciardi o dall’umanità degli altri protagonisti dei gialli di De Giovanni, cui siamo affezionati da anni. Il romanzo, comunque, nonostante non sia all’altezza dei suoi precedenti bestseller, è leggibile e lascia intravedere un seguito, pertanto è prematuro esprimere un giudizio “non pienamente positivo” sulla capacità del noto giallista di affrontare questo diverso genere letterario, che potrebbe in effetti migliorare proprio in virtù delle critiche che gli sono state fatte.