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Here. Zemeckis e la ricomposizione del tempo
Dopo aver rivoluzionato il cinema con opere come Forrest Gump e Ritorno al futuro, Robert Zemeckis torna a esplorare il tempo e la memoria con Here, un film ispirato alla graphic novel di Richard McGuire. Con un cast guidato da Tom Hanks e Robin Wright, il film si pone come una riflessione poetica sulla vita e sulle connessioni che definiscono l'esperienza umana. L'idea, semplice e geniale, che sta alla sua base è la seguente: nel racconto, il tempo scorre in modo lineare, mentre è lo spazio a modificarsi. O meglio: potremmo dire che è tutto lineare, sia il tempo sia lo spazio, ma è l’autore che li parcellizza e li ricompone a suo piacimento o per suo diletto.
La scommessa, riuscita, di Robert Zemeckis è stata quella di trasportare sulla pellicola cinematografica alcuni aspetti della graphic novel, che sembravano peculiari esclusivamente di questo medium. Nel fumetto la modalità con cui vengono raccontate le azioni nel tempo è soggetta alla scansione a vignette. Ogni vignetta congela il tempo in singoli istanti (come nel terzo dei paradossi di Zenone, dove la freccia rimane immobile perché a ogni istante occupa un solo segmento di spazio, pari alla sua lunghezza). Nel fumetto, la stessa azione può essere raccontata illustrando ogni fase che la compone, oppure può essere narrata per omissione, mostrandone le conseguenze nella vignetta successiva. In ogni caso, il fumetto congela il tempo per meglio raccontarne il flusso.
Nella graphic novel di Richard McGuire queste regole vengono un po' scardinate perché il processo naturale dello scorrere del tempo in un fumetto viene invertito: vengono sovrapposte azioni (o parti di esse) diverse in uno scenario fisso, che però è soggetto anch'esso alla mutabilità temporale. L’immobilità dello scenario si basa sul principio secondo cui, nella nostra realtà, noi viviamo unicamente nel momento presente, quello che il filosofo William James chiamava specious present, ossia "il prototipo di tutti i tempi concepiti ... della cui breve durata siamo immediatamente e incessantemente coscienti"...Ricordare il passato e immaginare il futuro sono decorsi coscienziali che possono accadere anch’essi solo nel momento presente.
Il problema, che sia nella graphic novel sia nel film appare evidente, è che per noi è pressoché impossibile vivere come se non fossimo eterni: tendiamo a vivere nell’illusione della nostra immortalità, che viene normalmente confutata, però, da malattie e sofferenze. Questa illusione, con l'angoscia collegata al nostro normale concetto di morte, genera acuti dolori che condizionano in modo inconscio la nostra vita, come Freud e altri indagatori della psiche sapevano benissimo.
infiniti dolori che non siamo in grado spesso di affrontare. E condizionano terribilmente, e in modo
Il film riesce a trasporre mirabilmente il senso della graphic novel. L’intero film si svolge in un unico ambiente, un angolo di mondo che diventa testimone di secoli di storia. Dall'era dei dinosauri fino al 2024, la casa è la vera protagonista: attraversa il tempo senza subire metamorfosi radicali, accogliendo vite diverse e storie intrecciate. Il punto di vista fisso della telecamera compensa il congelamento del tempo prodotto dalle vignette nell'opera originale, conferendo al film un’aura teatrale. Lo spazio dell'abitazione sembra un palcoscenico sul quale il tempo scorre e si sovrappone. La scenografia, curata da Ashley Lamont, evolve in sintonia con le epoche e i personaggi, regalando un’esperienza visiva stratificata e ricca di dettagli.
Zemeckis spinge i confini della tecnologia cinematografica con un uso innovativo del de-aging digitale, che consente agli attori di interpretare i propri personaggi in diverse fasi della vita (di solito è una tecnica di effetti visivi utilizzata per far sembrare più giovane un attore o un'attrice, soprattutto per le scene di flashback, ma qui viene usata in modo diffuso). Tuttavia, il regista va oltre il semplice trucco visivo, concentrandosi anche sul linguaggio del corpo e sulle sfumature emotive che cambiano con l’età. Il risultato è un’interpretazione che risulta autentica, nonostante il supporto tecnologico, grazie alla profondità e alla sensibilità di Hanks e Wright.
Al centro della narrazione troviamo Richard e Margaret Young, una coppia che affronta le gioie e i dolori della vita familiare. La loro storia si intreccia con quelle delle generazioni precedenti e successive, mostrando come le esperienze si ripetano e si influenzino a vicenda: la ciclicità della storia locale riflette quella della storia del mondo.
Il lavoro di Zemeckis è supportato dalla fotografia di Don Burgess, che bilancia luce e ombra per creare un’atmosfera intima e riflessiva. La colonna sonora di Alan Silvestri aggiunge un ulteriore livello emotivo, accentuando i momenti di introspezione e connessione tra i personaggi. Le scelte tecniche, come l’uso di due set identici per facilitare i cambi di scena, dimostrano l’attenzione maniacale del regista ai dettagli.
Tuttavia, non ci ha convinto particolarmente la scelta di mantenere una narrazione frammentata e di affidarsi fortemente alla tecnologia digitale. Ma è sicuramente un esperimento coraggioso nel panorama cinematografico: alla fine il film celebra la bellezza e la fragilità della vita umana. Con la sua combinazione di storytelling innovativo e tecnologia avanzata, Zemeckis offre una riflessione sull’amore, sulla perdita e sul significato del tempo. Nonostante i suoi difetti, il film è un’esperienza cinematografica notevole, capace di far riflettere e commuovere.