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The Butterfly Room. Barbara Steele e l’incubo delle farfalle
Parafrasando il titolo dell’ormai datato film di Bellocchio, “Il sogno della farfalla”, potremmo ben dire che quello partorito dalla fervida immaginazione di Jonathan Zarantonello, con l’ausilio dei co-sceneggiatori Paolo Guerrieri e Luigi Sardiello, sia il corrispettivo incubo. Barbara Steele è l’incubo della farfalla in The Butterfly Room. Col suo sguardo spiritato, lo incarna in tutto il suo orrore.
Già, perché da certi incontri è destino che escano fuori scintile: il ritorno di uno dei più interessanti talenti del cinema di genere italiano, quel Zarantonello che giovanissimo ci aveva incuriosito con Medley - Brandelli di scuola (uscito in sala nel 2000), per offrire poi conferme nel 2005 con UncuT – member only, ha coinciso infatti col ritorno sul grande schermo, a distanza di qualche annetto, della celebre “scream queen” britannica, Barbara Steele. E il risultato di tale connubio artistico, tanto per chiarire quanto precedentemente accennato, si è rivelato un autentico cocktail di brividi.
Capire la genesi del film in questione, The Butterfly Room, significa anche “fare tre passi indietro, con tanti auguri”, più o meno come recitava una vecchia carta del Monopoli: il lungometraggio è tratto infatti dal romanzo Alice dalle 4 alle 5 dello stesso Zarantonello, che già nel 1999 aveva realizzato un omonimo corto con Piera Degli Esposti, aggiudicandosi una menzione ai Nastri d’Argento, il Primo Premio al Los Angeles Italian Film Award e a Visioni Italiane di Bologna, nonché il Premio Excelsior del Presidente della Repubblica. Tutto sommato è un bene che il cineasta italiano sia riuscito a sviluppare tale progetto, nella sua forma cinematografica più estesa, proprio adesso: sia per la maggiore maturità stilistica raggiunta nel corso degli anni, sia per l’humus favorevole e per le preziose collaborazioni artistiche trovate sul suolo americano. Diciamolo senza troppi scrupoli: The Butterfly Room è un thriller orrorifico formalmente impeccabile, ricco di citazioni (nelle “argentiane” atmosfere anni ‘70 come anche nel background di specifiche scene), che sa unire al gusto del macabro una tensione costante. Alla riuscita del film ha senz’altro contribuito un cast strepitoso (decisamente nella parte Ray Wise, Erica Leerhsen, Heather Langenkamp, volti noti agli appassionati di horror), in cui spicca ovviamente la presenza di una spaventosa, magnetica, sempre conturbante Barbara Steele.
Madre degenere e sadica (la Faye Dunaway di Mammina cara, a confronto, fa quasi tenerezza), pronta a trasformare il proprio perbenismo e le pulsioni sessuali represse in strumento di morte, il personaggio della Steele è una maschera funerea che con le sue smanie necrofile fa realmente paura: per quel gusto distorto dell’ordine e della bellezza il passo dall’uccidere farfalle, incorniciandole e trasformandole in ameni quadretti, al progettare sevizie e trattamenti non meno perversi per la gente del quartiere, sarà più breve del previsto. Il fatto, poi, che dietro alle sue azioni si scorga una latente e mal orientata richiesta di attenzioni (vedi le dinamiche dell’incontro con la prima ragazzina), non fa altro che aggiungere spessore alla trama. La complessa struttura narrativa a incastri, in cui presente e passato si sovrappongono di continuo, insieme all’inventiva e alla precisione chirurgica della regia di Zarantonello, insieme al buon uso delle location statunitensi, insieme alle musiche ansiogene di Pivio & Aldo De Scalzi (con specialmente il primo grande amante dell’horror, come abbiamo di recente scoperto), sono elementi che inseriscono The Butterfly Room tra le scoperte più entusiasmanti della stagione, per gli amanti del genere.