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Cake. Jennifer Aniston brutta ma non troppo
Il primo film con Jennifer Aniston imbruttita e con una parte che più drammatica non si può porta la firma di Daniel Barnz, non particolarmente conosciuto, ed alla sceneggiatura di Patrick Tobin all'esordio. Claire (Jennifer Aniston) non lavora più, non vive più, non può fare niente da quando un incidente le ha lasciato tante cicatrici e dolori cronici atroci. A nulla valgono le sedute di gruppo o l'affetto del marito, che lei allontana; si placa solo con massicce dosi di farmaci e alcool.
“Personalmente detesto i suicidi che rendono le cose facili a chi rimane”. Questo è il suo commento al suicidio di Nina, compagna di sventura, evento che porterà alla luce le sue sofferenze represse, nascoste dietro all'apparente cinismo, e la guiderà, in una dimensione sospesa tra realtà e allucinazione, a scegliere di riprendere a vivere.
Il regista (Daniel Barnz) e la produzione si affannano tanto a dichiarare che Claire è brutta e cattiva, che quasi quasi mi convinco che sentirò la sua rabbia e il suo dolore; ma se non fosse che nel film tutti glielo dicono, dalla psicologa del gruppo di sostegno, alla fisioterapista, la figlia di Silvana, la sua governante, e Silvana stessa durante la scena madre, mi pare che Claire sia proprio simpatica e nemmeno tanto brutta.
Già, perché si sono guardati tutti bene dal renderla davvero sgradevole. Il film è patinato, ma farà di sicuro versare un fiume di lacrime. Artificiali.
In alcuni passaggi si riesce a sentire, anche se per poco, l'isolamento di Claire dal mondo, per esempio in certe inquadrature all'interno dell'auto, dove la protagonista è distesa nel posto accanto a quello della guida e al suo volto in PP si sovrappongono gli alberi, i lampioni e le tante strade complanari e sovrapposte di Los Angeles, quelle altissime di cemento da cui Nina si è buttata nel vuoto.
Il film, malgrado la buona interpretazione della Aniston (la ricordiamo affettuosamente in Friends), che qui troverà la sua grande consacrazione presso il grande pubblico quale attrice drammatica, rimane appiattito sui luoghi comuni e il sentimentalismo: la cattiveria, la rabbia e il rancore, sentimenti legittimi che renderebbero la storia più credibile, sono soltanto annunciati a parole. Si scade addirittura nel melenso quando Claire, ricordando la giovinezza felice sprofondata nel divano, ascolta Honesty di Billy Joel.