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Camille Claudel. La sua Cenerentola epistolare
Pubblicato dalla casa editrice pistoiese Via del Vento lo scorso novembre nella collana "I quaderni di Via del Vento", il volumetto "Sono come Cenerentola", come esemplifica anche il sottotitolo ("L'arte, i tormenti e la solitudine dalle sue lettere"), raccoglie una serie di lettere scritte dalla celebre scultrice francese Camille Claudel (1864-1943): testi inediti e molto interessanti proprio perchè mettono in diretto contatto i lettori con l'artista, con i suoi pensieri e con quel personalissimo mondo interiore che ha generato mirabili opere.
Nata a Fère-en-Tardenois, Camille Claudel dimostra già in giovane età una propensione per la scultura, iniziando a modellare l'argilla sotto la guida del maestro Alfred Boucher. Prima dei vent'anni si trasferisce con la famiglia a Parigi, dove conosce il celebre scultore Auguste Rodin, di cui diventerà allieva e aiutante presso il suo atelier.
Le angosce e le inquietudini legate alla turbolenta relazione con l'artista sono oggetto delle prime lettere – risalenti alla seconda metà degli anni '80 – che dimostrano l'instabilità di tale legame, nonostante i due fossero uniti anche da reciproche influenze artistiche.
Dalle parole di Camille, istintive e appassionate, si possono comprendere anche aspetti più concreti che preoccupavano l'artista: l'esposizione delle proprie opere, le richieste e le sollecitazioni indirizzate al Ministro delle Belle Arti, i rapporti con i committenti e con i direttori dei Salon e le necessità finanziarie espresse al mercante d'arte Eugène Blot (1857-1938), ma anche i contatti epistolari con alcune amiche lontane.
Il secondo gruppo di lettere sono collocabili nel periodo della sua reclusione in manicomio, a causa di manie di persecuzione che la donna dimostrava da tempo, avvenuta il 10 marzo 1913, prima nella struttura di Ville-Évrard e l'anno successivo, con l'arrivo delle truppe tedesche, in quella di Montdevergues, vicino ad Avignone.
Sebbene non esistesse ancora una consapevolezza comune in merito alle malattie psichiche, spesso individuate in manifestazioni di divergenza dal comportamento comune, non è chiaro se le condizioni di Camille fossero gravi al punto da richiederne l'internamento. Infatti, quest'ultimo è avvenuto solo dopo la morte del padre, come mettono in evidenza alcune interessanti note ai testi:
<<Il padre di Camille è morto il 2 marzo 1913. Dopo tre o quattro giorni dalla sua morte Paul Claudel fa redigere al dottor Michaux il certificato per l'internamento della sorella. È logico pensare che il padre della scultrice si fosse sempre opposto all'internamento della figlia o che si fosse voluto attendere la sua morte per risparmiargli questo ulteriore dolore>>.
Inoltre, le lettere scritte da Camille nel lungo periodo di reclusione, durato fino alla sua morte nel 1943, esprimono richieste più o meno esplicite d'aiuto, di compagnia e di considerazione da parte dei propri cari che, dal canto loro – lo mette chiaramente in evidenza una nota successiva – si erano assicurati che nessuna venisse spedita e solo raramente si erano recati a farle visita.
Lo dimostra in modo ancora più vivido un estratto da una lettera inviata dal manicomio di Montdevergues nel marzo 1929, ad un'amica con cui l'artista aveva interrotto i rapporti da tempo:
<<[...] Su di me non si immagini niente di bello, non troverà più quel busto da lei un tempo riprodotto: è svanito del tutto. Sono talmente diversa che senz'altro non potrà riconoscermi. Mia mamma e Louise non sono più a Parigi, sono rientrate nel nostro paese. La mamma è gravemente ammalata da un anno, vi è motivo di temere che non durerà molto. Non mi permettono di andarla a trovare nonostante io lo abbia richiesto a più riprese. Mi vogliono trattenere qui, impossibile andarmene. [...] / Paul ha acquistato un castello in questi dintorni, nell'Isère (castello di Brangues) nei pressi di Chambéry. Sua moglie e i figli trascorrono lì l'estate ma senza mai venire a farmi visita. [...]>>
In linea generale, ciò che traspare da questi frammenti – la cui ricchezza si esprime soprattutto nell'unione di lettere inedite e immagini di alcune delle opere più celebri della scultrice – è la figura di una donna, oltre che una grande artista, dalla grande forza emotiva e tormentata da ansie e manie laceranti, spesso probabilmente infondate, ma, soprattutto, sintomatiche di una personalità inquieta e fragile, desiderosa di affetto.
La voce di Camille Claudel, dunque, dimostra di nuovo quanto l'arte, ancora una volta, si sia unita ad una sensibilità tanto grande da essere destabilizzante, fusa con quell'humus fertile e amaro che è la solitudine – com'è stato anche per la poetessa Emily Dickinson – fino a indurre alla follia, ma vivida e percepibile nella sua produzione artistica.