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Simone Veil. Le rime emotive della Memoria
Il film Simone Veil. La donna del secolo (Simone, le voyage du siècle), diretto da Olivier Dahan, arriva nelle sale italiane con tre anni di ritardo, in occasione della giornata della memoria, il 27 gennaio 2025. Il film si configura come un biopic di ampio respiro, capace di intrecciare magistralmente la dimensione intima e quella pubblica della vita di una delle figure più emblematiche del Novecento francese ed europeo.
Dahan, che in passato ha diretto il celebre La Vie en Rose, realizza con questa pellicola un ritratto che non è solo biografico, ma profondamente narrativo ed emotivo, offrendo una chiave di lettura della storia del secolo breve attraverso lo sguardo unico di Simone Veil. Anacronistica ma felice la scelta di ricorrere a due attrici, anziché a una sola attrice, ringiovanendola con trucchi digitali, come ormai va di moda: Rebecca Marder interpreta Simone Veil nella giovinezza, mentre Elsa Zylberstein rende la protagonista nella maturità come un vero simbolo di resilienza e resistenza, di umanità e impegno civile.
La narrazione si sviluppa secondo una struttura non lineare, con continui flashbacks e flashforwards, arrivando a intrecciare vari episodi dell’infanzia di Simone, i drammatici anni della deportazione ad Auschwitz, il difficile ritorno alla vita e le battaglie politiche che ne hanno segnato la carriera. Questa costruzione a mosaico, come afferma lo stesso regista, si basa su "rime emotive" che permettono di cogliere i parallelismi tra le diverse fasi della sua esistenza. La scelta di abbandonare una cronologia rigida si rivela vincente, poiché consente di mettere in luce le connessioni profonde tra le esperienze personali di Simone e il suo impegno pubblico.
Il film esplora con delicatezza il rapporto con la madre, figura centrale nella formazione del carattere della protagonista. La perdita della madre nei campi di sterminio (circostanza a cui pudicamente il regista si limita ad alludere, senza visualizzarla) rappresenta una ferita insanabile, ma anche un motore per il suo impegno futuro. Questa dimensione intima si affianca alle grandi battaglie politiche di Simone, che la portarono a essere la prima donna presidente del Parlamento Europeo e una delle principali fautrici della depenalizzazione dell’aborto in Francia. La sua avversione per l’ingiustizia, radicata nelle sofferenze personali e familiari, si traduce in una lotta incessante per la dignità umana.
Elsa Zylberstein e Rebecca Marder offrono due interpretazioni complementari e straordinarie. La prima riesce a incarnare con intensità le contraddizioni di una donna ormai matura, apparentemente forte ma spesso vulnerabile, capace di affrontare con coraggio le difficoltà senza mai rinunciare alla sua umanità. La sua performance è un esempio di dedizione attoriale: la Zylberstein ha studiato a lungo i discorsi e gli atteggiamenti di Simone Veil, riuscendo a restituirne fedelmente la gestualità e il tono di voce.
Rebecca Marder, dal canto suo, interpreta una Simone giovane, segnata dalla tragedia ma già determinata a lottare per i suoi ideali. La sua rappresentazione della fragilità e della forza della protagonista è toccante, soprattutto nelle scene ambientate nei campi di concentramento, dove il dolore personale si fonde con la tragedia collettiva.
Una notevole differenza rispetto ai consueti biopics storici, edificanti, tranquillizzanti ed alieni da eccessi realistici sta nella scelta del regista di non voler risparmiare la crudezza delle scene ambientate nei lager. Le sequenze che si soffermano sugli orrori dei campi di sterminio rappresentano uno dei momenti più intensi e drammatici del film, fino a risultare stranianti e perturbanti. Olivier Dahan sceglie però di evitare ogni forma di voyeurismo, concentrandosi invece sull’esperienza emotiva dei personaggi. La rappresentazione dell’arrivo ad Auschwitz è di una crudezza sconvolgente: attraverso un piano sequenza accompagnato da una colonna sonora spezzata e angosciante, lo spettatore viene immerso in una dimensione che riesce a evocare l’orrore senza indugiare su dettagli morbosi. Le immagini dei corpi scheletrici, delle baracche e della disumanizzazione forzata colpiscono per la loro capacità di trasmettere il senso di abbandono e annichilimento. Particolarmente toccante è il contrasto tra i ricordi di una vita familiare serena e il gelo inumano del lager, un elemento che permette di cogliere appieno l’abisso attraversato dalla protagonista.
Meno drammatici ma non meno intensi sono i momenti del film in cui il regista si impegna a mostrare le difficoltà incontrate da Simone Veil nella sua carriera politica, in una Francia profondamente segnata da pregiudizi di genere e anche da residui di discriminazioni razziali mai del tutto obliterati. Nonostante le sue straordinarie capacità, Simone dovette affrontare resistenze e ostilità da parte di un establishment maschile e maschilista, spesso restio ad accettare il ruolo di una donna in posizioni di potere. Le scene che la vedono confrontarsi con i suoi colleghi al Ministero della Sanità e nell’Assemblea Nazionale restituiscono con efficacia il clima di un’epoca in cui il sessismo era ancora profondamente radicato. Tuttavia, con toni forse eccessivamente agiografici, il film celebra la determinazione di Simone nel superare questi ostacoli, sottolineando come la sua forza interiore e il suo senso di giustizia siano stati determinanti per portare avanti riforme storiche come la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza, che tanto le valse l'ostilità dell'opinione pubblica cattolica e l'avversione profonda da parte del Front National di Jean-Marie Le Pen.
Il film non si limita a raccontare la vita straordinaria di Simone Veil, ma si propone come un monito per le generazioni future. Il suo impegno per i diritti delle donne, la costruzione di un’Europa unita e la memoria della Shoah sono temi di un’attualità bruciante. La frase "L’Europa è la pace", pronunciata dalla protagonista, risuona con particolare forza in un contesto storico in cui le tensioni internazionali mettono in discussione gli ideali di unità e cooperazione.
Un'ultima osservazione, che vogliamo aggiungere anche se apparentemente estranea al contenuto del film. Abbiamo notato che si verifica molto frequentemente un equivoco, anche tra persone ben informate. È semplicemente la tendenza a confondere la Simone Veil protagonista di questo film, statista e attivista per i diritti umani, con la filosofa Simone Weil, autrice di opere come L'ombra e la grazia. Nonostante la quasi omonimia, le due figure hanno vissuto vite profondamente diverse e rappresentano ambiti distinti: la politica e l'impegno civile da una parte, la riflessione filosofica e spirituale dall'altra. Sia Simone Veil sia Simone Weil appartenevano a famiglie di origine ebraica, ma le loro storie e il modo in cui hanno vissuto la loro identità sono molto diversi. Simone Veil visse direttamente le conseguenze dell’antisemitismo nella Francia occupata, fu deportata ad Auschwitz e la sua identità ebraica rimase legata al trauma della Shoah e all’impegno per la memoria. Simone Weil, invece, pur provenendo da una famiglia ebrea, si distaccò dalla religione e sviluppò un percorso spirituale che la portò ad avvicinarsi al cristianesimo, pur rimanendo sempre in una posizione di riflessione critica e personale. Questa condivisione dell’origine ebraica può essere un elemento che suscita confusione tra le due figure, ma è essenziale ricordare che i contesti e le prospettive con cui affrontarono la loro esistenza sono alquanto differenti.