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Santa Cecilia festeggia Chung, suo epocale direttore
Myung-Whun Chung, che è stato Direttore Principale dell’Orchestra dal 1997 al 2005, è molto amato dal pubblico, che gli ha tributato un’accoglienza trionfale in occasione dei due programmi musicali dei concerti che hanno aperto il 2025. Il 9, 11 e 12 gennaio è stato presentato primo programma con il Concerto per violino di Brahms e la Sinfonia n. 7 di Beethoven, due brani fondamentali del repertorio sinfonico che il Maestro ha già diretto in passato all’ Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Lo stesso programma musicale è stato eseguito anche a Torino, venerdì 10 gennaio all’Auditorium Giovanni Agnelli. Nel programma del 16, 17 e 18 gennaio ha diretto la Sinfonia n. 8 “Incompiuta” di Schubert e lo Stabat Mater di Rossini.
Nel primo programma, che abbiamo ascoltato il 12 gennaio il violinista armeno Sergey Khachatryan è stato il solista del Concerto per violino di Brahms. Il Concerto in re maggiore op. 77 per violino fu scritto da Brahms nell'estate del 1878, che sottopose per un parere tecnico i passaggi solistici al suo intimo amico, il grande violinista Joseph Joachim, che alla prima esecuzione il 1° gennaio 1879 a Lipsia lo eseguì. In verità nel concerto c’è un grande equilibrio tra solista e orchestra, fin nel primo movimento il respiro sinfonico permea il grande tema d'apertura, grandioso nella parte orchestrale ma intimo e meditativo nell'esposizione solistica che lo denota. In questo brano l’interpretazione è determinante nella fruizione, a nostro parere proprio in questo non ci ha convinto l’esecuzione di Sergey Khachatryan, imperniata sul virtuosismo. Il violinista è stato comunque oggetto del grande favore del pubblico presente che lo ha lungamente appaludito.
Della Sinfonia n. 7 di Beethoven Richard Wagner scrisse: “Questa sinfonia è l'apoteosi della danza. È la danza nella sua massima essenza, l'azione del corpo tradotta in suoni ideali. [...] Beethoven nelle sue opere ha portato nella musica il corpo, attuando la fusione tra corpo e mente“. Chung ha evidenziato magnificamente il ritmo nei vari movimenti, ritmo che diventa infuocato e trascinante nei due ultimi, uguale cura ha prestato ai colori e al respiro delle frasi musicali. Al temine una focosa ovazione è stata tributata al Maestro.
Il secondo programma lo abbiamo ascoltato il 16 gennaio; il concerto è stato aperto da un brano diretto dal Maestro Chung in più occasioni, la Sinfonia n. 8 “Incompiuta” di Schubert, a lungo se ne ignorò l’esistenza, finché nel 1865 il direttore d'orchestra Johann Herbeck non scoprì il manoscritto autografo in casa di un vecchio amico e compagno di studi di Schubert, Anselm Hüttenbrenner. Fu lui a dirigerne la prima esecuzione, il 17 dicembre di quello stesso anno a Vienna. Schubert sentiva il peso dell'eredità delle sinfonie di Beethoven, ma i due movimenti ritrovati sono piena testimonianza del nuovo clima romantico a cui il musicista aderì e l’atmosfera è coerente a quella dei Lieder. Una scrittura musicale ricca di sfumature, intensa e meditativa che Chung ha pienamente reso mettendo grande attenzione al respiro della frase musicale, ai timbri e alle variazioni dinamiche che rendono così affascinante questo brano.
Nella seconda parte è stato eseguito lo Stabat Mater di Rossini, molto amato da Chung che lo ha interpretato molte volte seguendo l’esempio di Carlo Maria Giulini, suo mentore. Dopo aver creato il Guillaume Tell, che per diversi motivi fu importante per lo sviluppo del romanticismo musicale, Gioachino Rossini si ritirò dall'attività teatrale nel 1829, quando aveva solo 37 anni ed era forse il più acclamato e stimato compositore in Europa. Fattori determinanti furono la malattia nervosa, che già da tempo si era manifestata, e il suo sdegnoso rifiuto del cambio di gusto del pubblico che preferiva il coinvolgimento emotivo dell’estetica romantica, alla contemplazione della bellezza propria dell'estetica neoclassica da lui preferita. In realtà anche durante gli anni del "silenzio" Rossini continuò a scrivere musica per un consumo privato, senza però fare stampare le sue composizioni Si creò così contemporaneamente un'aura leggendaria e una grande aspettativa sulla sua produzione "segreta", infatti gli inviti ai concerti a casa sua erano molto ambiti e riservati ad una ristretta cerchia di estimatori e amici.
La composizione dello Stabat Mater fu molto travagliata, la prima metà della partitura fu composta nel 1831, in conseguenza di un viaggio in Spagna a cui Rossini fu invitato dal banchiere Aguado, a cui era legato da profonda amicizia. Fu Aguado, ad insistere affinché Rossini accettasse di comporre uno Stabat sul testo della sequenza attribuita a Jacopone da Todi per la cappella musicale di un alto prelato spagnolo, Manuel Fernandez Varela, ma alla condizione che la partitura avrebbe avuto solo un’esecuzione privata e sarebbe rimasta inedita. Tornato a Parigi Rossini non riuscì a terminare il lavoro a causa delle sue precarie condizioni di salute e affidò all'amico Giuseppe Tadolini il compito di integrare le parti mancanti, circa metà della partitura. La partitura con dedica a Varela fu inviata il 26 marzo 1832 come scritto da Rossini. La composizione ebbe una unica esecuzione il Venerdì santo del 1833 nella Cappella di San Fililppo El Real.
Alla morte di Varela, l’editore Aulagnier entrò in possesso dello Stabat di Rossini-Tadolini nel 1841 e ne annunciò la pubblicazione a cui non voleva rinunciare perché il silenzio di Rossini era divenuto un caso e ci sarebbe stata molta aspettativa. Il compositore, avvertito dal suo editore Troupenas, lo incaricò di aprire una vertenza giudiziaria e seguì l'invito del suo editore di riprendere in mano la partitura, poiché era preoccupato dal pensiero di proporre un lavoro non interamente suo al pubblico.
Rossini ridusse i numeri da dodici a dieci accorpando le terzine e compose allora i numeri mancanti: n. 2 "Cujus animam", n. 3 "Quis est homo", n. 4 "Pro peccatis", n. 10 "Amen. In sempiterna saecula", inoltre accettò che lo Stabat venisse eseguito al Théâtre Italien di Parigi il 7 gennaio 1842 con famosi cantanti d'opera: Giulia Grisi, Emma Albertazzi, Mario de Candia e Antonio Tamburini. All’esecuzione parigina accolta trionfalmente seguì quella bolognese più importante del 18 marzo, nella sala dell'Archiginnasio, sotto la direzione di Gaetano Donizetti e la diretta supervisione dell'autore. Questa composizione girò in tutta Europa e continuò ad essere eseguita insieme a Il barbiere di Siviglia e il Guillaume Tell.
C’era un altro elemento di preoccupazione per Rossini causato dal violento dibattito sulla musica sacra che fino ad allora si era basata da più di un secolo su una consolidata consuetudine derivata dalla tradizione napoletana di Alessandro Scarlatti e si era basata in tutta Europa sullo "Stilus mixtus". Questa scrittura affiancava al severo stile contrappuntistico di matrice palestriniana, simbolo della eternità e immutabilità dei fondamenti della religione ad affascinanti pagine di gusto teatrale che evidenziavano il rapporto dialettico della religione con la storia e la società.
Questa visione era coerente con la concezione estetica neoclassica di Rossini per cui il "sacro" può essere rappresentato oggettivamente, come gioco di forme e di stili, ma non espresso soggettivamente, non poteva non confliggere con l’estetica dei compositori romantici per i quali la musica sacra doveva essere permeata da uno spiritualismo soggettivo per esprimere il sentimento religioso senza alcun rapporto con la edonistica musica teatrale. Era un’idea particolarmente propugnata in ambiente germanico dove si appoggiava al nazionalismo e all’avversione luterana verso la teatralità e la pompa cattolica.
Il rapporto dello Stabat con la precedente produzione teatrale di Rossini non è ovvio infatti se la melodia permea molte delle pagine solistiche come l'aria per tenore "Cujus animam gementem", il Quartetto "Sancta Mater, istud agas" può sembrare teatrale, per la struttura dei brani, l'armonia, la strumentazione questi brani non potrebbero essere usati in un melodramma. Lo Stabat è una composizione unitaria all'interno di ognuna delle dieci sezioni il testo ha un contenuto coerente indicativo della logica seguita dal compositore di attribuire a ciascuna delle sezioni una "tinta" ispirata alla poetica degli "affetti".
L'introduzione "Stabat Mater dolorosa", affidata all’orchestra, coro e solisti è una delle pagine più meditative, dolenti e drammatiche, con improvvisi contrasti espressivi. Le prime sedici battute sono una specie di "motto", che mostra il gusto cromatico, l'instabilità armonica che ricorreranno frequentemente nella partitura. Nel finale dopo il triplice "Amen"e la fuga con doppio soggetto "In sempiterna saecula", fuga che chiude qualsiasi composizione sacra, ricompare il "motto" di sedici battute che aveva aperto l'introduzione dello Stabat, per poi riprendere il contrappunto, ribandendo l’"Amen"; in una logica circolare usata spesso nella tradizione della musica sacra.
Il finale è preceduto da un Coro a Cappella "Quando corpus morietur", una raffinata scrittura corale nella consuetudine della musica sacra. Ricordiamo anche il primo brano in partitura in stile "antico" per Coro e Recitativo a sole voci "Eja, Mater fons amoris", una pagina scritta in maniera eclettica, nel confronto fra il basso solista e il coro a quattro voci con una sezione responsoriale e una entrata successiva delle voci, con la melodia accompagnata e una in unisono
Dalla magistrale esecuzione si comprende come Myung-Whun Chung conosca e abbia scavato nell’approfondimento del testo musicale, la direzione è stata insieme lucida, appassionata e coinvolgente. Il Maestro ha colto magnificamente gli aspetti della partitura nella cantabilità della melodia, nel rendere il rigore contrappuntistico, dirigendo direttamente dal podio il coro, eccellentemente preparato dal Maestro del Coro Andrea Secchi. Altrettanta cura ha posto per rendere le “tinte” di Rossini, i vari ritmi, la raffinata dinamica e agogica, assecondato pienamente dalla bravura dei musicisti dell’Orchestra. Non meraviglia quindi l’elettrizzante, incandescente ovazione tributata al termine del concerto a Myung-Whun Chung.
Abbiamo lasciato in fondo il Quartetto vocale perché non bilanciato, Chiara Isotton non era a suo agio nell’aria con coro "Inflammatus et accensus" in cui è evocato drammaticamente il giorno del giudizio, è ardua per la voce della solista, che in coda si innalza per due volte al do acuto. Nel Duetto "Quis est homo qui non fleret", la contemplazione della Vergine è resa estatica e sensuale come nei duetti d'amore dell'opera seria, in cui questo disagio si è palesato ancora di più nel confronto con Teresa Iervolino, che spiccava per l’elegante padronanza dello stile e la sicurezza vocale. Caratteristiche ribadite nella Cavatina del mezzosoprano, "Fac ut portem Christi mortem", pagina contemplativa che sfrutta le capacita di "grazia" ed eleganza della voce impegnata in lunghe tenute di fiati e salti di registro.
Il tenore Levy Sekgapane, che ha sostituito Francesco Demuro, non ci ha convinto sia vocalmente che stilisticamente, nell’aria "Cujus animam gementem", un'aria ferocemente criticata perché considerata biasimevole per il ritmo di marcia e la tonalità maggiore, ma bisogna ricordare che il dolore trasfigurato nell'estetica barocca, è spesso manifestato nel modo maggiore. L'aria prevede anche per il solista al cimento di un re bemolle acuto nella cadenza.
Al contrario Adolfo Corrado ha efficacemente interpretato l'aria del basso "Pro peccatis suae gentis" e nel seguente "Eja, Mater fons amoris"con il Coro, possiede una bella voce bronzea e la usa con tecnica elegante ed espressiva in una pagina che, con brevi e improvvise modulazioni a tonalità lontane, mostra nella costruzione del fraseggio l’abilità raggiunta da Rossini.
Il pubblico ha applaudito calorosamente e generosamente il quartetto dei solisti.