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Il Cappello di Paglia di Firenze. L'esilarante farsa di Nino Rota
Al Teatro Comunale di Firenze, sabato 7 dicembre 2013 si è svolta una delle cinque repliche de Il Cappello di Paglia di Firenze, farsa musicale in quattro atti di Nino Rota; la prima è andata in scena nello stesso giorno della nascita del compositore, avvenuta il 3 dicembre 1911.
Si è trattata di una riproposta in quanto, in occasione del centenario della nascita, per la prima volta fu proposto il divertente e fortunato allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, realizzato in collaborazione con Maggio Fiorentino Formazione, che ha avuto recentemente successo al Festival di Wexford. Nino Rota è universalmente conosciuto come autore di colonne sonore di successo dei film; dal Gattopardo al Padrino, al lungo sodalizio con Fellini. L'occasione del centenario ha permesso di conoscere l'altra faccia del musicista, autore di un altrettanto corposo catalogo musicale che comprende musica da camera, sinfonica, balletti e opere.
L'idea di scrivere il libretto per mettere in musica Un chapeau de paille d’Italie (1851) di Eugène Labiche e Marc Michel, scaturì senza la pressione della committenza, come un passatempo coltivato insieme alla madre, la celebre pianista Ernesta Rinaldi, coautrice del testo, nell'estate del 1945. Fu fatta ascoltare all'amico Simone Cuccia, che divenuto Sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, la scelse come titolo per la stagione; la prima esecuzione il 21 aprile del 1955 ottenne un grande successo.
A proposito della trasposizione della commedia di Labiche, il rapporto con il testo corrosivo e l'esilarante quanto inesorabile ritmo del meccanismo del vaudeville è spiegato così da Nino Rota: “per prima cosa ho cercato di sfoltire il meccanismo implacabile del cinismo, in nome di una cordialità romantica. Senza dubbio una sopraffazione, o uno svisamento, rispetto alla commedia;ma credo che l’opera ne abbia senz’altro guadagnato, per lo meno dal punto di vista dell’opera come la godo io e come la concepisco io, cioè dell’opera all’italiana tradizionale.”
Aggiunse poi in un'intervista ad Aldo Priore: “Volevamo divertire, commentando la farsa con melodie orecchiabili e infondendovi uno spirito di sapore ottocentesco con un tantino di spregiudicatezza ‘boulevardière’, e ossigenare con l’operettistica del nostro tempo.” Una visione confermata dall'ascolto in quanto il musicista conduce lo spettatore in un esilarante gioco in cui l'uso delle diverse forme musicali contribuisce a coinvolgere l'ascoltatore nel vortice incalzante degli avvenimenti che si svolgono in un unica folle giornata.
Il casuale incidente provocato dal cavallo di Fadinard, che mangia il cappello di paglia di una signora, in compagnia dell'amante, proprio nel giorno in cui il giovane si deve sposare, è la miccia che innesca una serie di paradossali situazioni che solo a tarda notte si concludono nell'immancabile lieto fine.... ? Come nella più consolidata tradizione dell'opera italiana e non solo, Nino Rota cita sé stesso ma anche gli altri colleghi. Un gioco in cui stili diversi, opera buffa e opera seria, operetta e musical, si fondono in modo originale per creare questa divertente partitura, che non rientra in nessun genere.
Se la parte melodica dedicata agli amanti evoca Puccini, non potevano mancare allusioni e citazioni da Rossini già nella sinfonia ma anche nel trascinante concertato della conclusione de terzo atto, ispirato a quelli celeberrimi rossiniani, in cui l'azione è sospesa, ma il ritmo vorticoso riflette il confuso accavallarsi delle parole dei personaggi, sopraffatti dagli eventi. Se Rossini è presente non manca neanche Donizetti, come avviene nel coro delle guardie, il genere serio è evocato come sberleffo delle situazioni più grottesche, un metodo già usato da Offenbach nelle sue operette, un autore che comunque fa capolino qua e là. Nel terzo atto echi wagneriani ridicolizzano il tradito Beapertuis e l'apparire di Fadinard, che conferma con le sue parole i suoi più terribili sospetti, è accompagnato da echi della musica legata all'entrata del Grande Inquisitore nel Don Carlos.
Il cappello di paglia di Firenze è un'opera divertente ma non facile da mettere in scena proprio per l'incalzante susseguirsi delle più paradossali situazioni. L'ambientazione surreale e coloratissima, trasposta negli anni '50 del secolo scorso di Lorenzo Cutuli funziona alla perfezione e la regia collaudata di Andrea Cigni è un meccanismo ottimamente congegnato. Il lavoro svolto con le comparse, il coro e i cantanti è stato egregio, tutti si sono mossi sul palcoscenico con la provetta disinvoltura di esperti attori.
La parte musicale, ugualmente impegnativa per la raffinatezza della scrittura musicale, si è perfettamente amalgamata a quella scenica grazie alla direzione di Andrea Battistoni, il ventiseienne direttore ha reso tutta la levità spumeggiante della partitura, coadiuvato in questo dall'ottima resa del coro e dell'orchestra. Tutti i cantanti sono stati non solo bravi nella parte vocale ma anche sulla scena; tra loro ricordiamo Filippo Adami, dotato di una bella voce, ha dato vita a Fadinard, protagonista della vicenda. Ha dimostrato di essere anche un ottimo attore, è stato di una trascinante comicità nella nevrotica progressione cinetica, causata dal disperato vagabondare per Parigi, alla ricerca di un cappello uguale a quello mangiato dal suo cavallo, inseguito dall'inviperito e bilioso suocero, con sposa e invitati al seguito.
Proprio Nonancourt, il suocero è il vero buffissimo antagonista reso perfettamente sia vocalmente che teatralmente dal bravo Gianluca Buratto, Mauro Bonfanti si è calato nei panni di Beaupertuis rendendo efficacemente tutti gli aspetti grotteschi e paradossali del personaggio. La dolce e timida Elena, la sposa, stretta tra il placare le ire del padre e l'amore di Fadinard, ha trovato nella bella voce di soprano lirico di Laura Giordano un interprete ideale, Stefano Consolini ha ben reso Lo zio Vézinet, un cammeo indispensabile nello scioglimento dl complicato intrigo, mentre Francesco Verna ha impersonato efficacemente Emile, l'irascibile amante di Anaide, proprietaria del cappello, ben interpretata da Marta Calcaterra.
Romina Tomasoni è stata molto convincente nel ruolo Baronessa di Champigny rendendo tutta la ridicola eccentricità di una aristocrazia messa alla berlina della e così Saverio Bambi come Achille di Rosalba. Negli altri ruoli ricordiamo Leonardo Melani, una guardia, Nicolò Ayroldi, un caporale delle guardie, il Minardi di Ladislao Horvath, Andrea Severi, Il pianista della Baronessa e Irene Favro, la modista. Grandi risate e applausi a scena aperta hanno accompagnato tutto lo svolgimento dello spettacolo, al termine il folto pubblico in sala ha applaudito a lungo tutti gli interpreti.