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Carlson a Villa Adriana. La misterica alchimia di Rothko
Una serata unica in prima italiana quella con Carolyn Carlson e la sua poetica visione di Rothko: il pittore magico dell'astrattismo morto suicida nel 1970, e che dà il titolo al solo di Carlson, intitolato Dialogue with Rothko. L'antica cornice dalla luce giallina – ed uno dei colori primari di Rothko è proprio il giallo – delle Terme di Adriano a Tivoli, per un festival internazionale organizzato dalla Fondazione Musica per Roma e gloriosamente ripreso quest'anno, fa da sfondo al panorama di un interno, ricostruito dalla Carlson il 3 luglio per un omaggio trascendentale dell'ispirata rivoluzionaria danzatrice californiana.
Il corpo statuario di Carolyn Carlson appare sulla scena dopo un assolo al violoncello di Jean-Paul Dessy, direttore dell’Ensemble Musiques Nouvelles di Mons, in Belgio, e compositore delle musiche originali per il dialogo danzante. Le virtualità danzate dalla Carlson si immettono fluttuando su una scena che è un interno: un salotto-studio dove risiede un tavolo da lavoro luminoso, lo sfondo è bianco-crema, come il vestito della danzatrice, innervato dei lembi di tessuto tra panna e oro, e con un rotolo dalla forma fetale in grembo, che culla. Lo srotolerà di lì a poco, piegandolo accuratamente su un panchetto dove lo sistema a mò di copertura: sembra una nascita su cui il violoncello evoca sonorità ancestrali. Il suono di Dessy scava dirupi nelle nebbie, come un quadro di Friedrich, come se svelasse quello che Rothko ha intensamente trasposto nella tela con le sue rettangolari geometrie di colore, che sulla tela appaiono dividerla in tre o in due spazi centrali, in cui i colori dominanti immergono nello spessore della tinta, avvolgendolo di tutta forza.
Se dividessimo immaginariamente lo spettacolo di Carlson in tre parti, potremmo riassumerlo in una virata alchemica in ordine diverso: dal bianco (albedo), passando per il giallo (citrino), il rosso (rubedo) ed il nero (nigredo), che suonano come una campana a morto nella fine mistica. Il blu è solo di passaggio, esattamente come i guanti che indossa Carolyn Carlson, prima uno, poi due, per ritrarre quel Black over Red di Rothko in scrittura, sovrapponendolo alla tela digitale che viene proiettata sul fondo a schermo. Il Black over red sarà il terzo passaggio dopo il giallo del pensiero, della stasi dell'azione, quella meditazione che insieme al blu – tanto amato dalla Carlson da crearci un assolo, Blue Lady – sfocerà in un intenso nero sacredotale di cui lei si riveste, indossando pantaloni rossi, mimetici con il quadro. Se pensiamo ad una frase di Rothko che dice, sulla tela intitolata Numero 207, Red over Dark Blue on Dark Gray, del 1961: "C'è una sola cosa che temo nella vita, che un giorno il nero ingoi il rosso”. Ecco, Carlson ha dato forma a questa intensa paura, imitando il volo di Rothko con le sue lunghe braccia ed una tela distesa sopra, un pipistrello panna su sfondo nero e telo rosso: un rito misterico che con la voce di Juha Marsalo legata a malinconiche riflessioni, ripete: “Eternity as it is, without separation” (“l'eternità così com'è, senza separazione”).