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Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve. Ridi e lascia ridere
La malattia più pericolosa del terzo millennio è la rassegnazione, e ogni giorno miete le sue vittime. Ma qualcuno sembra aver trovato la cura. Si chiama Allan Karlsson, è svedese, ha cento anni e nutre ancora svariate passioni. Una in particolare: far esplodere le cose. Il 24 aprile esce nelle sale italiane Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, tratto dall'omonimo best-seller di Jonas Jonasson e diretto da Felix Herngren. Una commedia stralunata e crepuscolare sul senso della vita come viaggio fuori da ogni schema o previsione, raccontata attraverso una schiera di personaggi memorabili e imprevedibilmente attuali.
In una casa di riposo sperduta nella Svezia rurale dei giorni nostri, Allan Karlsson (Robert Gustafsson) attende senza grande entusiasmo di spegnere cento candeline sulla sua torta di compleanno. Lo scoppio di un petardo in lontananza lo risveglia dalla noia e accende la miccia della sua fuga. Con i pochi spiccioli che ha in tasca, Allan raggiunge una piccola stazione dismessa abitata da un vecchio contadino di nome Julius Jonsson (Iwar Wiklander), non prima di aver rubato per sbaglio la valigia di un naziskin alla stazione degli autobus. I due vegliardi fanno subito amicizia e scoprono che il bagaglio è pieno di banconote. Inizia così un'avventura ricolma di eventi pericolosi e straordinari, fra i quali la fuga da una banda criminale, l'incontro con una ragazza e il suo elefante, con un nerd “quasi” laureato in ogni disciplina, nonché una serie di omicidi e di incidenti rocamboleschi, tutto ciò mentre un poliziotto imbranato da loro la caccia. Per Allan questa fuga avventurosa non è altro lo spunto per ricostruire la memoria di una vita che lo ha visto testimone e spesso anche protagonista dei più importanti eventi del XX secolo.
La forza de Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve risiede nel tono al contempo scanzonato e sottilmente malinconico in cui è modulato un racconto talvolta sconclusionato e narrativamente ipertrofico. La gag in stile slapstick fa spesso da padrona e scandisce un ritmo comico dal sapore quasi più balcanico che nordico. Tutto ciò sorprende non poco se si proviene da un'idea di cinema svedese maturata all'ombra della filmografia Bergmaniana o, più recentemente, dei thriller di Stieg Larsson (Millennium) e di Henning Mankell (il commissario Wallander).
Forse proprio l'esigenza di una luce di ottimismo e di un approccio più spensierato all'esistenza è la chiave per interpretare il film e, ancor prima, il romanzo di Jonasson. Se da un lato Allan vive alla giornata senza aspettarsi ormai molto dalla vita – niente sembra sbalordirlo, nemmeno i fatti più straordinari – dall'altro porta con sé una valigia colma di vissuto con cui trasforma le vite degli altri in avventure inesplorate. Il viaggio è una sequenza continua di casualità: dalla valigia all'incidente dell'elefante, dallo smarrimento dei cadaveri all'incidente stradale del boss a Bali. Tutto, apparentemente, sembra dominato dal Caso. Eppure vige una sorta di benevola Fortuna che aiuta non tanto gli audaci quanto piuttosto gli incoscienti. Ed ecco che la filosofia di vita di Allan, “La vita è quello che è e sarà quel che sarà”, da monito materno di rassegnazione diventa inno alla ribellione, all'istintualità e alla spregiudicatezza.
Non sempre la narrazione trova coesione fra il racconto nel presente e quello evocato nei ricordi. Eppure nel film, ancor più che in pellicole strutturalmente analoghe come ad esempio Forrest Gump, il percorso dell'idiot savant è tracciato in maniera audace, lontano dal terreno della retorica e, anzi, spesso vicino a quello del politicamente scorretto. Allan, al contrario di Forrest Gump o del Chance il giardiniere (Peter Sellers) di Oltre il giardino, talvolta influenza in peggio il corso della Storia, come nel caso del salvataggio di Franco o dell'apporto al collaudo della bomba atomica, senza tuttavia mai perdere quell'aurea quasi magica che innesca le micce delle vite degli altri.