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Ci vuole un gran fisico e l'angelo della menopausa
Dal 7 marzo nelle sale Ci vuole un gran fisico, commedia (quasi) tutta al femminile interpretata da un'impagabile Angela Finocchiaro. La regia è di Sophie Chiarello, all'esordio, che nella gestione del tono narrativo, paga un eccesso stilistico, frutto anche di una sceneggiatura sovreccitata e singhiozzante, scritta a otto mani (troppe) da Angela Finocchiaro, Valerio Bariletti, Walter Fontana e Pasquale Plastino.
Il film si articola attorno alla crisi di Eva (Angela Finocchiaro), commessa al reparto cosmetici di un centro commerciale e mamma divorziata tuttofare in lotta continua con i segni dell'invecchiamento. Mentre si avvicina il fatidico giorno delle cinquanta candeline, Eva è costretta ad affrontare ulteriori carichi di stress – come le eccessive attenzioni della madre (Rosalina Neri) e i continui sotterfugi dell'ex-marito parassita (Elio) – che ne compromettono il rendimento sul lavoro, causando il risentimento del capo ultramaschilista (Raul Cremona) e prefigurando lo spettro del licenziamento. Nemmeno le attenzioni dello spasimente Oscar (Jurij Ferrini) sono sufficienti a alleviare la situazione. Ma quando tutto sembra finire in un cul-de-sac, compare misteriosamente un “angelo della menopausa” (Giovanni Storti), che, pur combinando più gaffe che miracoli, aiuta Eva a riprendersi in mano la sua vita.
Lo sguardo con cui, in questo film, viene accarezzato un tema scomodo e recalcitrante come la condizione femminile odierna nella delicata fase della menopausa, è, fin da subito, divertito e partecipe, soprattutto nel focalizzare in sequenze fulminee i nodi centrali della questione: la paura di rimanere soli, di non sentirsi idonee ai canoni e alle esigenze imposte dalla società, l'assenza di modelli di riferimento adeguati a cui ispirarsi per fronteggiarle, l'”invisibilità” relazionale e la precarietà del lavoro in rapporto all'età. E qui sta il merito di una regista che, benché ancora giovane, “sente” la materia che tratta e, nel dar forma personale alla sceneggiatura, tratteggia il ritratto di una donna forte e esemplarmente vitale nonostante tutto. Ma il tratto stilistico che usa è troppo grossolano, frammentario, alla continua ricerca dell'espediente comico più ridanciano a scapito di un coerente sviluppo narrativo. Il cumulo di gag è tale da soffocare persino quelle più riuscite, dando al film un andamento affannoso, ridondante, spesso prevedibile. E questo soprattutto in quanto a monte vi è un impianto narrativo fallace e sconsclusionato - come denota l'eccessiva lunghezza del prologo, la fin troppo improvvisa e immotivata apparizione dell'angelo della menopausa, ecc..
Ma ecco che a “salvare” il film ci pensa Angela Finocchiaro, con un'interpretazione straripante, genuina, talvolta anche eccessivamente calcata, ma che diverte e travolge senza mai scadere nel caricaturale. È bello vederla giocare con il corpo, prendersi in giro senza mai diminuire la dignità del suo personaggio – nonostante i tentativi di un copione che, come spesso accade nelle commedie italiane di oggigiorno, ha bisogno di sminuire i suoi personaggi per stimolare l'evolversi dell'azione. In lei, più che nel film in sé, vanno cercati i (pochi) meriti di un'opera prima che pur toccando i temi giusti, si perde nella ricerca di uno stile più che nella strutturazione del contenuto. Sequenza conclusiva imbarazzante.