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La città verrà distrutta all'alba. Trixie o la follia omicida
George A. Romero girò il suo terzo film nel 1973 con questo stesso titolo, in originale The Crazies, I folli, qui è invece il produttore esecutivo di un remake con la regia di Breck Eisner (Sahara, 2005) e protagonisti Thymothy Olyphant e Radha Mitchell. In una tranquilla e piccolissima cittadina dell’Iowa, ribattezzata Ogden Marsh (si tratta di Lenox sempre in Iowa), si assiste ad una serie di strani comportamenti che hanno tutta l’aria di essere epidemici.
Romero è il regista, nel 1968, di La notte dei morti viventi, un horror vacui molto cupo in bianco e nero dove i morti viventi tappezzavano una casa orribilmente bianca dove si rifugiavano i pochi sopravvissuti. Un film indimenticabile per chi l’ha visto. Dopo venne Zombi (Dawn of the Dead, 1978) in cui la scena clou di critica feroce al consumismo americano si svolge nel supermercato (i nostri moderni centri commerciali usati come vasche del corso). La città verrà distrutta all’alba è forse la parata finale del sistema in pieno caos, di uomini contro uomini in preda ad una sete di sangue che nasce dal rimosso, da quelle sterminate pianure dove per kilometri non si incontra anima viva, dalla solitudine di chi ha tutto ed in fondo non ha niente, a parte la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Si, perché altrimenti non si spiega come in queste tranquille province americane si formino dozzine di gruppi paramilitari, tutti di origine e discendenza (in senso propagandistico ed ideologico) nazista, o dove i serial killer brulicano in divise od abiti completamente omologati ed irriconoscibili, da perfetto middle-class man oppure addirittura W.A.S.P. (White Anglo-Saxon Protestant: la genìa privilegiata dei “veri” americani non assimilabile a nessuna minoranza ed oggi quasi inesistente).
Gli elementi quindi li abbiamo tutti: una cittadina di soli 1260 abitanti – come ci proiettano sullo schermo gli informatori del Governo che osservano l’evolversi della situazione -, un virus (Trixie, un nome da mascotte) portato da un aereo che potrebbe scatenare una pandemia, i due eroi, ovvero lo sceriffo David Dutton (Olyphant) con la bionda moglie incinta Judy (Radha Mitchell). La tensione c’è tutta ed anche l’aspetto grand-guignol che non può mancare e, last but not least, la supervisione di Romero che approva.
La sceneggiatura è stata adattata da altri due che di horror se ne intendono, Ray Wright (Pulse) e Scott Kosar (Amityville Horror) però manca, nonostante alla fotografia ci sia Maxime Alexandre (Le colline hanno gli occhi) mentre Andrew Menzies si occupa della scenografia (The Uninvited), un vero spessore che trasformi la paura in angoscia come nei film di Romero, dove si capisce che il vero obiettivo non è nemmeno l’esercito col suo modo di pensare fasullo e retrogrado, ma proprio il sistema, un meccanismo inumano che costruisce la follia mattone dopo mattone, proprio come quelli delle invitanti casette rosse della middle-class americana che oggi è azzerata dalla crisi.