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Corpo celeste di Alba Rohrwacher. Il collezionista di anime
A guardare sul dizionario cosa significa il termine Corpo celeste si trova: “Il termine oggetto celeste (dal latino caelum: cielo) o corpo celeste è genericamente utilizzato per indicare qualsiasi corpo o oggetto astronomico, ossia non appartenente al nostro pianeta.” (fonte, Wikipedia) Il film omonimo di Alice Rohrwacher, sorella di Alba, racconta la storia di Marta, impersonata da Yile Vianello, una specie di migrante di ritorno, dalla Svizzera a Reggio Calabria, luogo grottesco e arretrato, dove la Chiesa mantiene inossidabile il suo dominio politico ed economico.
Il prete, o meglio il parroco del quartiere degradato dove vive Marta, è un collezionista di voti prima di tutto, che fa apporre la firma a tutti i suoi parrocchiani prima che il “loro” candidato si presenti alle elezioni. “Loro” sta per la Chiesa, naturalmente, che solitamente si assembla e collega a partiti di destra o comunque reazionari rispetto allo sviluppo culturale e sociale, oltreché economico, che ci si dovrebbe aspettare da un paese, non solo questo, ma qualsiasi.
Marta viene proiettata in questa realtà dove i “favori” si scambiano con la “promessa di voto” (cfr. Il divo di Sorrentino, 2008, mi viene in mente, ancora più sferzante e senza vena romantica): la madre appone la sua firma ed la fa apporre alla figlia maggiore, - con cui si scontra sempre Marta per gelosia di lei -, in cambio dell’affitto della casa (peraltro pagato in nero) dove vivono. Non solo, il parrocco con Marta (per sua disgrazia incontrata per strada e “caricata” in macchina) si fa il giro dei paesetti dove acquisire queste “promesse di voto” fino ad arrivare al paesetto abbandonato dove finalmente gli viene rivelato il significato della frase in lingua siriaca che devono ripetere a memoria il giorno della cresima (e che non gli viene tradotta prima):”Eloì, Eloì, lemà sabactàni? “ (Matteo 27:45-50). Qui, infatti, incontra nella chiesa che conserva la croce in legno col Cristo, un altro parroco, che gli rivela il senso di quella frase; “è l’invocazione del Cristo morente: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”". Sono parole tratte dal salmo 22 che si riferiscono esattamente ai primi due versetti del medesimo; la gente che stava attorno alla croce aveva potuto udire chiaramente queste parole che provenivano dall'Antico Testamento: nonostante ciò le distorcono e le trasformano in: “«Costui chiama Elia» «Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo»“. Il metodo diabolico di distorcere le parole di Gesù viene usato dal parroco come da Santa, la perpetua innamorata del parroco, oltremodo volgare, e che non gli spiega il significato per ignoranza ed arroganza: ma il risultato è lo stesso.
Marta quindi, sia materialmente sia figurativamente, compie un viaggio alla ricerca del senso di questa frase che è chiaramente ispirata dal senso di solitudine che prova lei e di lontananza da tutti coloro che la circondano, dall’inserviente che uccide i gattini appena nati, fino agli stessi ragazzi che partecipano alla studio della catechesi e della cresima, e che riducono, su invito di Santa, il canto in gloria di Gesù, in un'orripilante canzonetta da Grande Fratello.
Marta è un corpo celeste, ma soprattutto ricerca un corpo celeste, quello completamente scomparso nei fili di stoffa preziosa che compongono i paramenti del parroco e del vescovo, figura distante e scabra, una sorta di presenza dall’esterno, interamente politica e offensiva anche nei riguardi della perpuetua Santa che, nonostante la propria bassa levatura, è e rimane un essere umano da trattare con rispetto ed educazione, invece che con una soffusa acerbità gerarchica e mortificante.