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Corti d'eccezione. Da Alessandro a Charlot per la legge di Jennifer
L’impatto emotivo del cortometraggio Un ragazzo di nome Alessandro può essere a malapena esemplificato dal commosso e assordante silenzio che ha sovrastato i presenti a fine proiezione nella cornice romana della Casa del Cinema.
La storia di Alessandro Caravillani è quella di un ragazzo che il 9 marzo 1982 venne ucciso dalla banda terrorista dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) capeggiata da Francesca Mambro. Fu proprio lei a sparare all’adolescente, dopo aver scambiato l’ombrello che usciva dal cappotto dell’allora diciassettenne per una pistola. Alessandro fu l’ultima delle numerose vittime della Mambro (interpretata da Valentina Carnelutti), condannata in via definitiva anche come esecutrice materiale della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980.
Dopo neanche tre mesi dall’uscita, però, è giunta la richiesta di sequestro del corto proprio da colei che è stata ritenuta colpevole di quell’omicidio, perché il film avrebbe leso la sua immagine. Il regista Enzo De Camillis (che di Caravillani era anche cugino) è riuscito, senza lasciarsi prendere da facili (e anche giustificate nel suo caso) tentazioni emotive e con un’abile padronanza degli strumenti narrativi, a rappresentare non solo le ultime ore della vita del ragazzo (e l’immedesimazione nasce proprio dalla semplicità del suo vivere quotidiano) ma anche una parte della storia del nostro paese, caratterizzata da violenza e tensioni ideologiche.
Un ragazzo di nome Alessandro deve poter continuare il suo “viaggio” ed essere proiettato in scuole, cinema e teatri al più ampio numero di persone, affinché la damnatio memoriae non abbia il sopravvento su un passato (neanche troppo lontano) che appartiene a noi tutti.
A tutt’altro registro narrativo appartengono gli altri due corti, proiettati sempre alla Casa del Cinema e realizzati all’interno del New Cinema Network Lab.
La legge di Jennifer del bravo Alessandro Capitani (con Cecilia Dazzi nel ruolo della maestra), affronta il tema della chirurgia estetica visto attraverso gli occhi di una bambina, la protagonista Jennifer. L’abilità narrativa del regista, che unisce concretezza ed esigenza artistica (senza cadere però nel classico “piglio” intellettuale italiano), mostra come anche un giovane possa, avendo una produzione “vera” alle spalle, creare una piccola opera matura e rappresentare, come ogni autore dovrebbe saper fare, una propria visione peculiare del vivere e renderne partecipi gli spettatori. L’unica pecca, a mio avviso, è l’inverosimiglianza nata dal fatto che Jennifer sia figlia di due genitori tanto aberranti quanto autoriferiti (ci si chiede insomma come possa una bambina così dolce e sensibile esser stata partorita proprio da due simili individui che si trovano quasi all’antitesi per superficialità e modus vivendi).
Claudia Brugnaletti invece è una giovane autrice (e in questo caso veramente talentuosa) che ha realizzato Charlot, un cortometraggio d’animazione incentrato sulla storia tra il piccolo Andrea e il suo pallone, Charlot appunto, che rappresenta anche il suo migliore amico. Qui il termine “realizzare” calza a pennello in quanto oltre che occuparsi della classica regia, si è cimentata anche nel lavoro di animazione dei personaggi e nella scenografia. Un vero e proprio piccolo capolavoro nel suo genere, testimoniato anche dagli applausi sentiti del pubblico presente.