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Crosby e Nash. Il piacere del palco e il dovere della musica
Ritorno sui palcoscenici (anche) italiani di Crosby e Nash. Poche date (quattro, per la precisione) continuano a presentare al pubblico non solo la magia della memoria musicale ma anche e soprattutto il presente di un sound ad un tempo fedele a sé stesso ma anche al mutare dei tempi. A Padova il 29 ottobre 2011 si sono ripresentati.
Sono ancora vivi. Sono sempre vivi. E sono tornati. Li avevo ascoltati poco più di un anno fa, non in duo, ma con a fianco anche Stills, ad Aosta. E allora Graham Nash, appena salito sul palco montato nello spettacolare teatro romano, nel mentre imbracciava la prima delle tante chitarre che cambiano quasi ad ogni pezzo (allora come oggi) stupì un po' tutti con una battuta folgorante, che suonava più o meno così: “È la prima volta che suoniamo in un posto più antico di noi”.
Quest’autunno la premiata ditta viaggia in duo: quattro date italiane, altre europee e uno (scontato) finale statunitense. Via un equivoco, innanzi tutto. Hanno entrambi una certa età (settanta sono gli anni compiuti da Crosby, Nash ne compirà altrettanti tra qualche mese). Ma di vecchio in loro non c’è assolutamente nulla. Non la voce, non lo stile, non il modo (indefesso) di porgersi al pubblico. Sono animali della musica e da palcoscenico per antonomasia.
Oggi come allora. Come sempre. Non sono cantanti di mestiere; sono (ancora) artisti per diritto di nascita. A tutto tondo e tutti d’un pezzo. Suonano con la passione del dover far musica a tutti i costi. Cantano con una voce che pare miracolata, tanto indifferente è, all’ascolto, al trascorrere del tempo.
Con un repertorio che non è un revival o, meglio, non è solamente un pezzo della storia del folk rock (passatemi la semplificazione di una categoria sicuramente inapproppriata e restrittiva).
Certo. Per un’ora abbondante cavalcano brani che cantano da decenni, in alcuni casi. Ma non solo, e soprattutto la prima parte del concerto sta a testimoniare per un verso la costante presenza alla musica d’oggi, e per l'altro che i loro anni trascorsi a far musica non sono stati una gabbia dorata, al contrario.
E i nuovi brani proposti non sono vecchi. Vecchio è chi non ha più nulla da dire o da dare e vive immerso nei ricordi e nei rimpianti, spesso confondendo sistematicamente il confine tra i due. Crosby e Nash, invece, sono vivi. E vivo era il pubblico di Padova il 29 ottobre scorso, con cinquantenni datati mescolati a tre o 4 generazioni di meno, ma che, come loro, e forse ancor meglio di loro, conoscevano i testi, la giusta intonazione delle parole per accompagnare la band, e la capacità di commuoversi.
Unica pecca, per un gucciniano doc (come, ammetto, mi vanto di essere): i bis. Ebbene, sì. Crosby e Nash così ne hanno fatti. E non uno solo. Vi ricordate una famosa battuta di Francesco al termine di un concerto (se mal non ricordo una quindicina d’anni fa a Firenze, nel mentre imbracciava la chitarra per l’ultima volta nella serata per chiudere il concerto con “La locomotiva”? Francesco diceva: “Questa è l’ultima. E sapete qual è. Niente bis. Solo i fighetti fanno i bis”. Ma cosi va. D’altra parte un “purtroppo” anche nella magia degli anni che riescono a non passare (troppo) deve pur esserci.