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Via dalla pazza folla. Il melanconico e romantico Hardy
Questo è forse l'unico romanzo di Thomas Hardy, trasformato in film, che non termina in tragedia sebbene ne sia intessuto fino al collo in un susseguirsi quasi senza soluzione di continuità. Al contrario dei seguenti come Jude The Obscure (1895) o Tess dei D'Ubervilles (1891), infatti, Via dalla pazza folla (Far from the Madding Crowd, 1874) ha una trama che predice da subito che qualche speranza c'è, sebbene il determinismo in voga in quella fine dell'Ottocento e abbracciato completamente da Hardy.
Thomas Vinterberg è coraggioso con la sua versione in pellicola, perchè il paralello va subito a quella con Julie Christie di John Schlesinger del 1967 (con Terence Stamp, Alan Bates e Peter Finch inoltre). Vinterberg è però capace di rendere un prodotto accurato, sia perché ha seguito la narrazione, sia per i protagonisti, tutti ben scelti a partire dalla protagonista Bathsheba Everdene, interpretata da Carey Mulligan.
Certamente non da meno sono i coprotagonisti: tre uomini che si innamorano di Bathsheba, a cominciare dal primo, il pastore Gabriel Oak, nel cui ruolo Matthias Schoenaerts si muove perfettamente, quasi rassomigliando veramente nel carattere riservato e affidabile di lui. Il secondo è il ricco, severo e romantico William Boldwood, ruolo ricoperto da Micheal Sheen. L'ultimo, l'inaffidabile sergente con la giubba scarlatta Frank Troy, è l'affascinante Tom Sturridge.
La condizione della donna a fine Ottocernto, cui Hardy è interessato, emerge chiaramente dal film di Vinterberg, che è attento a farla trapelare con inusitata percettibilità: Carey Mulligan nella parte di Bathsheba – che fa pensare subito a Betsabea e l'adulterio con Davide poi sanato col matrimonio alla morte di Uria, il marito, provocata dallo stesso re – è molto brava a far trapelare con forza sia la sua parte femminile più seduttiva – ed i bei costumi di Janet Patterson aiutano molto in questo, sebbene eccentrici per l'epoca, a righe, o con colori assoluti come il rosso scarlatto -; sia quella maschile, ribelle ai costumi dell'epoca nel suo rifiuto verso il matrimonio e nel suo guidare autorevole la fattoria ricevuta in eredità dallo zio. Spicca quindi una figura di donna molto forte e che non prende ordini da nessuno, tantomeno dagli uomini, finché non verrà intrappolata dalla virilità imperiosa di Troy, in fondo, il più “antico” di tutti per modi e pensiero.
La figura della “donna perduta” (presente in tutti i romanzi di Hardy) qui non è impersonata dalla protagonista ma da una ragazza povera che lavorava alla fattoria finché non ricevette una proposta di matrimonio dal sergente Troy: si tratta di Fanny Robin, un nome qualunque per una ragazza qualunque di cui però scopriremo, lui era veramente innamorato.
Le musiche a cura di Craig Armstrong, autore noto per le colonne sonore e vincitore di un Golden Globe per Moulin Rouge nel 2001, è molto raffinato nel “commentare” le oscillazioni del cuore dei protagonisti, con estrema sottigliezza.
Non possiamo che concludere però dalla genesi del titolo del romanzo, proveniente da un stanza della poesia più celebre di Thomas Gray, poeta cimiteriale o dark romantic di metà Settecento, ovvero Elegy Written in a Country Churchyard (1751), dal gusto melanconico e decadente, dedicata alla morte del suo migliore amico e poeta, Richard West.
Far from the madding crowd's ignoble strife
Their sober wishes never learn'd to stray;
Along the cool sequester'd vale of life
They kept the noiseless tenor of their way.
Lontani dall'ignobile lotta della pazza folla
i loro pacati desii non si sono mai afflosciati;
In questa reclusa valle della vita
hanno continuato per il loro silenzioso corso.
(Trad. mia)
Queste ultime strofe ben riassumono il significato centrale del romanzo e del film, che l'ha ben ritratto nelle melanconiche immagini delle moors (brughiere), sipportate dalla vivida fotografia di Charlotte Bruus Christensen, donando un fascino melanconico tipicamente inglese.