Supporta Gothic Network
La donna dello scrittore. Senza fissa dimora
La donna dello scrittore o Transit in originale, è il nuovo film del regista tedesco Christian Petzold (1960), che nel 2014 diresse il magnifico Il segreto del suo volto (Phoenix) con Nina Hoss. Stavolta, prendendo ispirazione dal libro Transit (1944) di Anna Seghers, ambientato durante l'occupazione nazista della Francia nel 1942, ne cambia le coordinate temporali, situandolo in un oggi quasi celato nell'ombra, divagante in un universo cronologico senza fissa dimora, esattamente come il protagonista, Georg, intepretato dall'attore tedesco pluripremiato Franz Rogowski.
L'altro vincolo ispiratore di Petzold è l'autobiografia di George K. Glaser, scrittore tedesco che vive gli stessi anni della Seghers nella Germania nazista e fuggì in Francia, in particolare nella libera Marsiglia - dove è ambientato questo film -, per sottrarsi alla persecuzione politica, dato che era comunista.
La storia parte da una consegna di lettere di uno scrittore, Weidel, che Georg deve effettuare ma non avverrà mai: da qui un gioco sullo scambio di identità e su amori nati così, per caso, durante una fuga perenne da fantomatici quanto attuali criminali nazisti odiernamente abbigliati da forze speciali.
Perplessità e disincanto all'inizio prendono il posto dell'interesse per una trama che sembra scontrarsi con sé stessa per poi avvilupparci tra le sue spire: si, perché il cinismo di Georg, la sua tenacia e perspicacia nel sostituirsi a qualcuno che nemmeno conosce e che stranamente ha il cognome di Weidel – Alice Elisabeth Weidel è una politica tedesca, co-leader del partito nazionalista di estrema destra Alternativa per la Germania /Alternative für Deutschland -, è estremamente affascinante. Le domande che ci poniamo sulla coerenza storica si mettono in cantina e seguiamo con lo sguardo il narratore che ci presenta una Paula Beer in cammino o trotto, perenne, nella parte della moglie di Weidel, Marie, convinta che il marito sia vivo e la stia aspettando da qualche parte nella cittadina portuale per partire con lei e salvarsi.
Fantasmi che prendono vita tramite il Console americano, la polizia locale che fa i controlli, la concierge dell'hotel in cui alloggia Georg, sono stemmi di una società in declino e alle soglie del mare, di un orizzonte che significa scampo solo per chi ha visti e passaporti, permessi di transito appunto, per una sponda aldilà dell'Atlantico.
Rimaniamo a bocca aperta, senza distinguere chiaramente chi racconta cosa, il paroliere e barista narratore oppure Georg, quasi con la segreta fede che lui pure abbia visto un'apparizione e la nave sia lì, ancora in porto ad aspettarlo con lei.
Un film dalla tensione continua, ritmo oscillante tra thirller e giallo, a tratti discontinuo, un fascino misterioso avvolge l'intera pellicola, rivelando verità ancora sepolte dentro di noi. Magnifico viaggio nella percezione tramite gli occhi ed il parlato franco-tedesco di un Georg a volte balbuziente, poi canterino: un Rogowski da Orso d'Argento come per Victoria (2015, regia di Sebastian Schipper).