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DuemilaNOve. Il Teatro Povero di Monticchiello mette in scena la Crisi
Nel suggestivo borgo di Monticchiello è andato in scena 2009, un “autodramma” come lo definì Giorgio Strehler e che, come avviene da anni, è nato dalla lunga riflessione e discussione degli abitanti, durante le sere “a veglia” dello scorso inverno.
L'analisi si è incentrata sulla parola più ricorrente usata e abusata dai mezzi di comunicazione: crisi, partendo da un'idea, l'obbligo di acquisto, allo scopo di sostenere l'economia di una cucina economica alimentata da un inquietante combustibile a pellet nucleare. Mentre la discussione si dipana sull'unica scelta tollerata da un “potere” totalizzante e liberticida, il colore della cucina insieme al dialogo fanno affiorare le sfaccettature di una crisi che non è solo economica.
L'impatto della crisi finanziaria sull'economia, descritta volutamente sui Media in generale in modo fumoso, viene qui narrata con esempi quotidiani e concreti, allo scopo di far riflettere sulla realtà che ci circonda. Dal confronto in scena delle diverse opinioni espresse dagli attori, emerge una crisi ben più profonda, interiore, che determina un ripiegarsi su sé stessi distogliendo lo sguardo dalla realtà, restando passivi, senza ribellarsi alle sopraffazioni e alle menzogne, aspettando che passi la crisi, nell'illusione di riuscire a farcela da soli, senza unire le forze per reagire.
Nel dialogo riemerge, anche se a fatica, il ricordo delle “radici”, di un passato difficile, duro ma più umano, riaffiora il ricordo del senso di comunità e di appartenenza, si ricorda che, anche nelle difficoltà, era sempre presente la speranza di poter migliorare la propria condizione. Nel presente invece permane un senso di impotenza, di incapacità a reagire, le apparizioni del nonno che sommessamente manifesta il proprio dissenso, cantando l'Internazionale, sono la testimonianza della frattura con il passato.
Badante, questa parola è giustamente messa in discussione dal nipote: la persona che svolge questo lavoro racconta nella sua lingua la terribile esperienza vissuta nei paesi dell'est dopo la caduta del muro di Berlino. Nelle sue parole rievoca la terribile crisi economica, dovuta all'arrivo del liberismo sfrenato, mascherato da fittizia democrazia con la conseguente perdita delle sicurezze sociali. Appare poi una narratrice che racconta una favola, stranamente vicina alla realtà.
La conclusione è aperta e per la prima volta il popolo oppone un rifiuto, una reazione al potere rappresentato dagli “Informatori”. Il linguaggio usato è vicino alla vita quotidiana, mentre nella favola è adoperata la narrazione surreale, un po' teatro didattico, un po' teatro dell'assurdo, ma molto efficace per indurre gli spettatori a riflettere sulla realtà. La regia è molto valida e guida gli attori lasciando che la spontaneità si riversi nella recitazione e riuscendo, così, a coinvolgere il pubblico, che nella recita a cui abbiamo assistito del 10 agosto, ha partecipato e calorosamente applaudito.