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Elizabeth Little. Un cold case tra madre e figlia
Il thriller continua ad essere un genere amato, e da qualche tempo la prima persona nella narrazione non stride, come nel caso di Finché sarò tua figlia di Elizabeth Little, traduzione non fedelissima dell’originale Dear Daughter, storia di un’indagine per scoprire la verità da parte di una protagonista anomala, non una poliziotta o una detective.
Janie, ex rampolla di una ricca famiglia di Beverly Hills, ha vissuto un’adolescenza di lusso e feste non prive di eccessi, finché non è stata accusata di aver ucciso la madre Marion, filantropa e miliardaria con la quale aveva un pessimo rapporto. Scampata alla pena capitale, ha scontato dieci anni in carcere, finché il suo avvocato non è riuscito a farla uscire per un vizio di procedura, una circostanza prevista dalla legislazione americana.
Janie vuole scoprire chi ha ucciso veramente sua madre e, ricordando alcuni particolari della sera della morte della madre, si nasconde sotto una falsa identità, anche perché sulle sue tracce ci sono giornalisti e in particolare un blogger convinto della sua colpevolezza, e parte per la cittadina mineraria di Adeline, nel South Dakota, così lontano dalla California e dagli altri luoghi mondani in cui lei ha sempre visto sua madre.
Là scoprirà misteri che potranno metterla in pericolo, mentre a mano a mano farà la conoscenza a distanza di Tessa, un qualcuno che lei ha poi incontrato con un altro nome, una ragazza irrequieta e ribelle come era lei alla sua stessa età, che trent’anni fa è sparita per creare un’altra vita e un’altra identità allora.
Indagine poliziesca, su un omicidio, ormai un cold case, ma anche ricerca delle proprie origini familiari, nonché tentativo di dare un senso alla propria vita e esistenza: finché sarò tua figlia porta avanti queste due cose in parallelo, alternando la narrazione in prima persona di Janie con articoli, email, post di blog e simili, per costruire un intreccio che avvince.
Avvince anche se la protagonista è molto antipatica, una ragazza viziata caduta all’inferno, di cui l’avvocato sa dare la definizione migliore durante il loro primo incontro ricordando come tutti vengono perseguitati da belle, ricche e impossibili come lei negli anni dell’adolescenza, con la quale è difficile provare empatia, sia prima quando era alle stelle sia quando finisce in galera, sia quando va in cerca della sua verità.
Eppure il libro funziona, e si vuole sapere chi ha ucciso Marion, donna di cui sua figlia non sapeva granché e che aveva sempre sentito come lontana da sé, fino a quando scoprirà il perché della sua morte attraverso i segreti di un passato in cui non si scade, per fortuna, negli intrecci da polpettoni anni Ottanta e nemmeno in atmosfere alla Beverly Hills 90210. Anzi quel mondo, simbolo di un immaginario che per anni ha imperversato, viene abbastanza demolito.
E alla fine, Janie, ragazza poco simpatica che ha avuto tutto ma forse non le cose importanti, riesce ad appassionare alla sua sorte e a portare verso la scoperta di cosa è successo, e di che cosa c’è nel suo animo e che cosa c’era in quello di questa madre, vero enigma della vicenda, da viva e da morta.