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Ex Machina. La settima stanza di Ava
Il primo film dello sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine, ovvero Alex Garland, è un film molto mentale e pensato: Ex Machina, con soggetto e sceneggiatura curate da lui stesso, rivela parecchi spunti di riflessione, dalla Macchina di Turing alle teorie di Wittegenstein fino alla celebre favola di Barbablù, cui accenneremo soltanto per farvi scoprire il nesso attraverso la visione.
Inziamo col dire che Ex Machina è un vero film di fantascienza con molti riferimenti a ciò che è oggi la fantascienza al presente: dalla creazione di androidi al test di Turing, quel che preoccupa oggi come ieri è l'evoluzione della mente, ed in fondo ciò che differenzia una mente androide – invisibile ai nostri occhi – da una mente ed una intelligenza umane, è ciò che inquieta maggiormente a livello speculativo. Per questo, l'eccezionale costumista Sammy Sheldon Differ, è la prima cui rivolgere i complimenti per l'androide perché è lei che l'ha resa “visibile” ai nostri occhi, differenziandola soprattutto dall'antesignana per antonomasia, ovvero Raquel di Blade Runner: Il primo test di Turing è stato quello tra lei ed Harrison Ford nel film di Ridley Scott (1982) tratto dal romanzo Do the Androids dream of Electric Sheep? (1968, prima edizione originale). Lì Raquel era un androide di forma umana: qui invece si presenta un circuito visibile di fili elettrici, luci ipnotizzanti, una tela di ragno metallica dipinta indosso al corpo dell'attrice Alicia Vikander nella parte di Ava (simbolicamente pronunciato “Eva”, come la prima donna).
Altrettanto ipnotiche sono le musiche curate da Geoff Barrow e Ben Salisbury, che ci conducono in questa specie di casa sull'acqua alla Frank Loyd Wright che si traduce in un castello di Barbablù con molte porte e segreti per Caleb (Domhnall Gleeson), giovane programmatore che ha appena vinto un soggiorno presso il rifugio del suo capo Nathan Bateman (Oscar Isaac), proprietario della società informatica Blue Book, altro nome che “rings a bell”. Caleb – nome ebraico introdotto dai puritani nei primi sbarchi nel continente americano, significa “cane” nel senso simbolico di chi è devoto e segue la fede -, fa la conoscenza dell'androide costruito da Nathan – alcolizzato cronico – che lo seduce immediatamente, instaurando uno strano rapporto che travalica il senso scientifico del suo soggiorno.
Il test di Turing, è applicato perfettamente dall'androide all'umano: si tratta di ripetere le ultime parole o la domanda stessa che ha rivolto l'umano, in un gioco di specchi che fa dire ben poco all'androide e molto invece all'umano in questo caso. Il test però risulta passato solo nel caso in cui l'umano non si accorge più della differenza tra una risposta umana ed una risposta androide, ovvero scambia l'una per l'altra, connotando la risposta androide come umana. Nathan spinge Caleb verso questa china, ovvero a “trattare e comportarsi con Ava come con un essere umano”, fino a confondere i piani. Il film in questo è molto sottile e del tutto psicologico il portato cui si avvicina passo dopo passo, ponendo questioni di assoluto rilievo per chi ruota intorno alle ricerche di Turing e quelle più sostanzialmente linguistico-filosofiche di Wittgenstein.
In questo gioco i protagonisti si muovono con disinvoltura e la regia diventa una sorta di gioco speculare tra loro tre, innestando una serie di percorsi alternativi possibili del tutto interni al film ed alle loro prospettive, in un mondo “altro” che però sconfina necessariamente col nostro. Film speculativo e di atmosfere sottilmente misteriche, di grande attenzione linguistica e stimolante di quel Deux ex machina che non interviene, e fa agire solo la macchina.
Deus ex machina è una frase latina mutuata dal greco "[[Mechanè|in greco antico ἀπὸ μηχανῆς θεός]]" ("apò mēchanḗs theós") che significa letteralmente "divinità (che scende) dalla macchina". Originariamente, indica un personaggio della tragedia greca, ovvero una divinità che compare sulla scena per dare una risoluzione ad una trama ormai irrisolvibile secondo i classici principi di causa ed effetto.
Nota su Barbablù
La favola di Barbablù uccisore di tutte le mogli, proviene da La Barbe bleüe di Charles Perrault nelle Histoires ou Contes du temps passé (1697). Nella versione della favola però, al contrario della versione ungherese, l’ultima moglie si salva nonostante la condanna morale dell’eccessiva curiosità (che non può in ogni caso condurre alla morte). La versione postmoderna di Angela Carter (1940-1992) è La camera di sangue (da The Bloody Chamber and Other Stories, 1979, Vintage, London, 1995; in italiano: La camera di sangue, Feltrinelli, Milano, 1995), in cui la protagonista viene salvata dall’intervento coraggioso della madre che spara ad un moderno Barbablù.