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La Faida. Un codice medievale tra macerie di povertà
Il regista Joshua Marston ha scelto, dopo l'acclamato Maria Full of Grace del 2003, un altro tema relativo alla violenza: l'applicazione del Kanun, codice risalente al XV secolo, nell'Albania settentrionale, nei casi di omicidio, in poche parole la vendetta di una famiglia su un'altra, aldilà di qualsiasi altro codice legalmente riconosciuto. Di mezzo ci andrà l'intera famiglia di Nik, e lui in prima persona, come primo figlio maschio, e quindi passibile di ritorsione in primis sul delitto provocato dal padre.
Terre brulle, cavalli da soma che tirano carretti improvvisati (con tanto di targa) per la consegna del pane, una ragazzina che dovrebbe andare a scuola, ed invece si sveglia sempre più presto per giungere prima del rivale tra le stradine ed i bar appena aperti di qualche sconosciuto villaggio albanese, dove la povertà la fa da padrona e le case sono in continua costruzione, fra macerie e muri da poco intonacati.
Il Kanun, trascritto da Leke Dukagjini (1410 – 1481, condottiero albanese medievale che combatté contro l'Impero Ottomano), dal XV secolo regola le faide tra le famiglie e gli usi e costumi in quest'area dell'Albania dove solo il comunismo è riuscito a fermare la strage che, dopo la caduta del regime nel 1992 ha sterminato circa 10.000 uomini e rinchiuso in stato di sequestro in casa almeno il doppio di anime.
Nella casa di Nik tutti vivono in stato di allerta, lui specialmente, cui è vietato uscire di casa da quando il padre ha aiutato il fratello a uccidere il cugino per un litigio relativo al passaggio dell'uno sulla terra dell'altro. I bambini non vanno a scuola e tantomeno Rudina, la sorella, adolescente come lui, costretta a lavorare, essendo l'unica cui è permesso farlo. Con l'aumento progressivo della tensione, Nik farà delle scelte ad alto rischio, o forse le uniche che la sua condizione effettivamente gli permette per guadagnarsi un futuro.