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Festival Opéra de Lyon. Le donne sono libere?
Serge Dorny, direttore generale dell’Opéra de Lyon, ha scelto per il Festival un titolo inquietante “Femmes libres?”, focalizzato sulle donne e sulla loro ricerca della libertà, un tema generale e molto attuale in quanto le donne rappresentano un caso anomalo di maggioranza discriminata, in casi fin troppo frequenti anche nei paesi cosiddetti civili. Il Festival quest'anno è interamente online in streaming dal 22 al 26 marzo 2021.
Nel programma del festival sono state presentati molti approfondimenti sulle opere e ci sono state conferenze tenute da giornaliste e studiose sui diversi aspetti della condizione femminile. Notiamo però che, per le opere che sono state messe in scena, sia per la direzione d’orchestra e a maggior ragione per la regia sono stati scelti uomini e quindi è stato ignorato il punto di vista e la sensibilità femminile nell’affrontare temi che riguardano le donne.
La prima opera presentata è stata Ariane et Barbe-Bleue (1907) su libretto di Maurice Maeterlinck, basato sulla sua omonima commedia simbolista, e con la musica di Paul Dukas. È stata una scelta di estremo interesse perché la messa in scena di questa opera è un evento assai raro e il valore simbolico del testo e artistico della musica sono di grande rilevanza. È quindi un peccato che si sia svolta non dal vivo ma in streaming, perché l’impatto emotivo è leso notevolmente, speriamo solo che venga ripresa dal vivo quando ce ne sarà l’opportunità. Rispetto alla favola di Perrault incentrata sulla condanna della curiosità, al femminile naturalmente, la geniale versione di Maeterlinck apre prospettive diverse. Il nome Ariane ricorda il mito di Arianna e il suo ruolo decisivo per uccidere il mostro, il Minotauro, e infatti come donna consapevole di sé stessa non odia Barbe-Bleue, anzi lo salva dai contadini che vogliono ucciderlo, ma è determinata a liberare le altre donne.
Barbe-Bleue è il simbolo del predatore della libertà, non solo perché materialmente imprigiona le donne ma anche, e questo è colto con grande sensibilità da Maeterlinck, perché rappresenta l’ostacolo interiore che non permette di avere fiducia in sé stessi e costringe quindi a rimanere in uno stato di asservimento mentale che rende schiavi. È un problema universale quello del predatore ma lo è maggiormente per le donne perché, non solo hanno alle spalle millenni di emarginazione e di oppressione, ma ancora vivono in questa situazione anche se in modo diverso nelle varie parti del mondo. In loro infatti il ruolo dell’inconscio collettivo, descritto da Carl Gustav Jung, è un ulteriore e più forte ostacolo per sconfiggere il predatore mentale. L’epoca in cui molti artisti affrontarono temi simbolici attraverso la fiaba infatti, sono anche quelli dell’affermazione degli studi psicologici e di quelli antropologici, che li influenzarono. Barbe-Bleue è un personaggio che rimane una minacciosa presenza simbolica perché l’azione si svolge tra Ariane, la nutrice e le altre mogli a cui sono stati dati i nomi di altre eroine di Maeterlink: Selysette, Melisande, Ygraine, Bellangère e Alladine, che non parla. Ariane cerca in ogni modo di spingerle a riconquistare la libertà e, a superare la paura di affrontare il mondo esterno per essere libere, ma fallisce e se ne andrà via con la nutrice, anche se ormai Barbe-Bleue non può più né nuocere fisicamente, né impedire che se ne vadano.
Questa è l’unica opera di Paul Dukas, anche se ci sono echi di Debussy e di Wagner nell’uso del leitmotiv, che rielabora durante tutta l'opera per sfuggire alla sensazione della ripetizione, la scrittura musicale è personale e originale e straordinariamente evocativa dei vari luoghi dell’azione, dei personaggi e dei loro stati psicologici. Per quanto l’ascolto non dal vivo, in streaming sia penalizzante ci è parso che la direzione di Lothar Koenigs abbia colto nel segno guidando i bravi componenti dell’orchestra a sfruttare tutti i colori della iridescente tavolozza cromatica di Dukas, dall’oscurità inquietante e tenebrosa alla riconquistata luminosità della luce del sole, nelle diverse dinamiche e ritmiche che li esaltano. Il ruolo di Ariane è pesantissimo per la lunghezza, per la tecnica vocale e l’espressività che la splendida e fascinosa linea vocale creata da Dukas richiede, sempre nei l limiti di un ascolto in streaming che non permettono di valutare appieno le caratteristiche vocali, Katarina Karnéus ha ben assolto il suo compito e così anche le interpreti femminili, l’unico interprete maschile e il coro.
Lo streaming è altrettanto penalizzante per la messa in scena se non di più, perché la telecamera non permette di scegliere il personale punto di vista. Àlex Ollé, nella sua intervista ha detto che la sua impostazione della regia è basata sul racconto e sull’incubo, sul reale e sugli aspetti psicologici. La messa in scena ci è parsa curata negli aspetti tecnici ma, se alcune scene come l’apertura delle porte immergono in una dimensione onirica, la successiva parte ambientata in un realistico banchetto di nozze con tanti tavoli apparecchiati, che poi vengono usati in diverse circostanze, ci lascia perplesse. L’opera è concepita e voluta con un contenuto simbolico che non ha meno forza di un racconto realistico, anzi è esattamente il contrario. Un’ambientazione realistica in questo contesto indebolisce i simboli, le molte comparse femminili, con mascherina (sic!), che affiancano le cinque mogli a rappresentare tutte le donne, ci è sembrata una ulteriore soluzione inutile. Àlex Ollé ha anche affermato che Ariane è una donna di oggi e che la ricerca della libertà è tema attuale, certo che lo è se riflettiamo sulla narrazione di Ariane et Barbe-Bleue. Le sei porte che vengono aperte per prime si spalancano su camere che contengono immense ricchezze, ma nella settima stanza le mogli hanno le vesti stracciate perché lo sono le loro anime impoverite e prigioniere, come quelle di coloro che vengono privati della fruizione dell’Arte dal vivo.