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Firenze. Il Campiello di Wolf-Ferrari
Il Campiello di Ermanno Wolf-Ferrari (1876- 1961) ha inaugurato la stagione invernale 2014-2015 nel nuovo teatro di Firenze, è stata la prima rappresentazione fiorentina, dalla prima assoluta di Milano nel 1936. L'Opera di Firenze l'ha presentato in un allestimento in coproduzione con la Fondazione Teatro Verdi di Trieste.
Un musicista tra due mondi culturali, significativa è l'adozione del doppio cognome Wolf-Ferrari, quello del padre, il pittore tedesco August Wolf e quello della madre Emilia Ferrari. Nato nell'amatissima Venezia, cui restò sempre legato, svolse gli studi musicali a Monaco di Baviera, nella sue composizioni si fondono le tradizioni musicali tedesche e italiane. Il Campiello (1936), in dialetto veneziano, è il quinto e ultimo titolo basato sui testi di Carlo Goldoni, un autore prediletto dal compositore. Cominciò nel 1903 con Le donne curiose, poi i Quattro rusteghi (1906) – in dialetto veneziano- Gli amanti sposi (1925) – da Il ventaglio - e La vedova scaltra (1931].
Il Campiello è una commedia corale, plebea secondo una felice definizione di Giorgio Streheler, che ne realizzò una strepitosa e trascinante regia, crepuscolare e malinconica. Le piccole storie dei popolani, un merzer (merciaio), una fritolera, produttrice e venditrice di frittelle, vedova, che vuole organizzare il matrimonio del figlio con la figlia di un'altra, nella sua stessa condizione vedovile, per potersi risposare. A questo “mondo piccolo” rimangono estranei gli aristocratici, il Cavalier Astolfi, e l'intellettuale Fabrizio dei Ritorti con sua nipote Gasparina, che alla fine della commedia se ne andranno e il campiello ritornerà a essere completamente plebeo.
La musica di Wolf-Ferrari si ispira ai modelli italiani, dalla settecentesca commedia in musica al Falstaff, la musica alterna il tono lieve, melodico ma anche malinconico, che evoca il '700 ma che ricorda anche tanto Puccini, allo sberleffo dell'ultima fatica verdiana, come accade nella citazione del “..pizzica, pIzzica..”, ma c'è anche quella del Dulcamara dell'Elisir d'amore. Una citazione più antica è la consuetudine del melodramma dal '600 al '700 di affidare la parte delle vecchie nutrici ai toni scuri del contralto o del tenore, che allora era caratterizzato da un registro baritonale.
Nella Calisto ( 1651) di Francesco Cavalli, è affidata al tenore la parte di Linfea, nutrice, chaperon della dea Diana, in ossequio all'ipocrisia del tempo, un personaggio buffo, ancora voglioso di godere i piaceri del sesso anche in età avanzata. Il compositore così affida a due tenori i ruoli comici di Dona Cate Panciana (chiacchierona), vecia (vecchia) e Dona Pasqua Polegana (pappamolla), vecia, entrambe vedove sono desiderose di vedere sposate le loro figlie per potersi risposare.
Non c'è solo la musica italiana ma qua è là si affacciano echi di quella di Mozart ma anche di quella di Mahler e di Richard Strauss, suo contemporaneo, che aveva rievocato il secolo dei lumi, ma anche libertino, nel Rosenkavalier. Un secolo ambiguo da cui trassero ispirazione, in antitesi al tardo romanticismo wagneriano, in modi molto diversi, i compositori del secolo trascorso; si possono citare il Pulcinella di Stravinskij come la Sinfonia n°1 classica di Prokofiev.
La musica di Wolf-Ferrari lieve e briosa, ma anche crepuscolare e malinconica è stata diretta con grande sensibilità e autorevolezza da Francesco Cilluffo sul podio dell'Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Il cast omogeneo e ben affiatato ha ben interpretato musicalmente e scenicamente Il Campiello. La brava Alessandra Marianelli ha dato vita al goffo sussiego di Gasparina, a cui è affidata l'aria più malinconica e crepuscolare dell'addio a Venezia e così la pungente e battagliera Lucieta di Diana Mian, la timida Gnese di Barbara Bargnesi e l'intrigante e pettegola Orsola di Patrizia Orciani.
Una coppia divertentissima è stata quella di Cristiano Olivieri e Luca Canonici rispettivamente Donna Cate e Donna Pasqua sempre a pronte a berciare e spettegolare. Il “rustego” Anzoleto è stato ben reso da Filippo Morace, così pure il goffo e impacciato Zorzeto di Alessandro Scotto di Luzio, lo spiantato e cerimonioso Cavalier Astolfi di Clemente Antonio Daliotti e per finire il Fabrizio dei Ritorti di Luca Dall’Amico. Il campiello è stato ricreato nella bella scena di Tiziano Santi, il regista Leo Muscato ha deciso a scena invariata di cambiare epoca nei tre atti con pochi dettagli della scena e nei costumi creati da Silvia Aymonino adatti anche a caratterizzare i personaggi.
Le tre diverse epoche scelte dal regista sono: il 1756, anno della commedia goldoniana, il 1936 anno della composizione dell'opera e il 2014 anno della prima rappresentazione a Firenze. Non abbiamo capito perché cambiare epoca, Goldoni ha reso mirabilmente la rappresentazione della realtà plebea da lui attentamente studiata dal vero, per questo fu aspramente criticato da Gozzi . La realtà del1756, la quotidianità, i desideri e i contrasti che ne derivano, sono diversi da quelli delle epoche successive, il testo diventa incongruente e perde senso ambientando l'azione nel 1936 e nel 2014. I personaggi ci affascinano per la loro fragile umanità, questa sì vicina a noi, descritta con ironia umanissima e indulgente da Goldoni. La resa scenica dei personaggi è stata convincente, frutto di un ottimo lavoro svolto con i cantanti, che hanno interpretato con vivace scioltezza i loro ruoli, e che ha dato i suoi frutti nelle coinvolgenti scene corali delle liti e della festa. I lunghi applausi del pubblico, che si è divertito e ha mostrato di avere apprezzato lo spettacolo, hanno accolto tutti gli interpreti alla fine dell'opera.