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Firenze Teatro della Pergola. Orfeo festeggia il tricentenario di Gluck
Nell'anno in cui ricorrono i trecento anni dalla nascita di Cristoph Willibald Gluck (1714-1787), al Maggio Musicale Fiorentino, è andata in scena, riscuotendo un grande successo, l'Orfeo e Euridice; a dirigere l'Orchestra e il Coro dell'istituzione è stato chiamato il maestro Federico Maria Sardelli; quello che segue si riferisce alla recita del 14 giugno 2014.
Gluck, quando compose Orfeo e Euridice, aveva già alle spalle una carriera ventennale di compositore di opere di stile italiano. Sulla base della sua lunga e profonda esperienza, ben conscio del suo valore d'artista e con la collaborazione del librettista Ranieri de’ Calzabigi, compose Orfeo e Euridice. La composizione, azione teatrale per musica, fu creata allo scopo di porre fine agli arbitrii dettati dai capricci dei cantanti, ripristinando la coerenza drammaturgica e l’aderenza della musica al testo. Orfeo e Euridice, che andò in scena il 5 ottobre 1762 al Burgtheater di Vienna, è un capolavoro che segnò una svolta nella concezione del melodramma.
L'opera ebbe poi vari rifacimenti, compreso quello dello stesso Gluck per Parigi, il maestro Sardelli , che è anche filologo e musicologo, ha scelto la versione di Vienna, il cui manoscritto è conservato alla Bibliothèque National de Paris. Questa versione è stata scelta in quanto è quella che può esemplificare meglio le intenzioni di “bella semplicità” del compositore al pubblico di oggi, abituato anche all'ascolto dell'opera barocca. Il maestro Sardelli , l'ha interpretata e proposta con lo scopo di ricollocarla nella sua corretta prospettiva storica, per evidenziare il profondo divario con le opere coeve.
La sua vasta esperienza l'ha portato ad intervenire laddove c'erano evidenti errori del copista nella partitura, per altro chiara, conservata a Parigi Le differenze introdotte da Gluck sono molteplici per un'orchestra che comunque, era piccola per adattarsi agli spazi del teatro. Colpisce l'impiego di un'ampia varietà di strumenti diversi, per sottolineare i diversi passaggi drammatici, un esempio è il coro funebre iniziale in cui l'uso insolito dei tromboni e del suono, morbido e vicino alla voce umana, dei cornetti rinascimentali, al posto degli oboi , evocava negli spettatori la musica di chiesa e in particolare quella funebre.
La presenza dell'arpa barocca, fu certamente un'altra grande sorpresa per il pubblico viennese, in quanto era uno strumento allora utilizzato esclusivamente per fare musica nei salotti, e invece è usato come strumento obbligato e concorre alla realizzazione del basso continuo insieme al clavicembalo. Ricordiamo le brave interpreti: l'arpa è stata suonata da Ann Fierens e il clavicembalo da Giulia Nuti. A questi si aggiunge lo chalumeau contralto, invece del clarinetto, il cui suono dolce e intenso accompagna il canto disperato di Orfeo. L'impiego di strumenti diversi è sempre funzionale all'espressione e al contesto drammatico.
Tra le novità, che dovettero sorprendere il pubblico di allora, anche il ruolo del coro che interviene ripetutamente, quando allora spesso era del tutto soppresso, per limitare i costi, che erano destinati prevalentemente ai esorbitanti compensi ai cantanti. Altra innovazione furono i recitativi, sono accompagnati dall'orchestra, un procedimento che in quell'epoca era destinato a pochissime arie in un'opera per sottolineare la tensione drammatica. Nella prefazione all'Alceste, Gluck spiega quale effetto vuole ottenere con recitativi: [...] mi sono sforzato di restringere la musica al suo vero uffizio, che è quello di servire la poesia e l'espressione. [...] Ho creduto che ogni mia fatica dovesse esser rivolta alla ricerca di una bella semplicità".
La direzione del maestro Sardelli ha perfettamente centrato lo scopo che si era prefissa, liberare la composizione da una visione dogmatica di troppe interpretazioni volte a sottolineare il successivo sviluppo sttorico della musca. L'orchestra ha risposto perfettamente alle intenzioni del direttore e reso tutte le peculiarità della partitura, l'effetto sonoro è stato seducente, è stata resa tutta la tavolozza timbrica del compositore, dal suono cristallino e rarefatto, a quello impetuoso, tragico e drammatico. Il coro, invece, ci è parso a volte in difficoltà, non in piena sintonia con l'orchestra.
La parte di Orfeo fu affidata alla prima viennese al contralto Gaetano Guadagni, famoso per unire la bravura vocale a quella dell'interpretazione teatrale, un aspetto da non sottovalutare, Anna Bonitatibus, è un mezzosoprano, non ci è parsa a suo agio nella tessitura grave, usata spesso dal compositore per la parte di Orfeo, ma è stata convincente nell'interpretazione drammatica, nel canto e nei recitativi. Hélène Guilmette ha una voce calda e morbida ed è stata una Euridice tenera e disperata, bene anche Amore interpretato dalla voce argentina di Silvia Frigato.
La regia di Denis Krief, attenta e sensibile alla drammaturgia e alla musica, ha posto il mito senza tempo di Orfeo in una modernità astratta e stilizzata. Ha usato le proiezioni su teli trasparenti per raffigurare sia la natura del cimitero che la discesa agli Inferi, significativamente raffigurati da un video di una folle corsa notturna in automobile nelle vie della città, per poi imboccare un tunnel. Sul telo è anche proiettata una frase emblematica di Orfeo, tratta da libretto di Ranieri de’ Calzabig:i“Ho con me l’inferno mio”, una chiave per indicare un tunnel interiore che porta agli Inferi della mente .
La parte dell'azione che si svolge agli Inferi è delimitata da pannelli bianchi che delimitano uno spazio claustrofobico da incubo, quello del tormento di Orfeo, che non deve voltarsi per guardare Euridice per non perderla nuovamente, e la disperazione della donna che non sa spiegarsi il comportamento dell'amato. La scena sembra evocare una a situazione psicologica senza via di uscita, che ricorda l'Inferno che Sartre ha voluto rappresentare nel dramma A porte chiuse. La conclusione dell'opera è l'unica parte che rispetta le convenzioni dell'epoca e per questo il maestro Sardelli ha aggiunto le trombe e i timpani, non indicati ma che con grade probabilità erano presenti nel finale lieto d'obblio.
Una circostanza sagacemente evidenziata dalla regia che ha fatto apparire il coro imparruccato e con abiti settecenteschi. La parte coreografica è stato, a nostro avviso il punto debole dello spettacolo, slegata dal contesto è sembrata un elemento fuori contesto capitato per caso. Lunghi a calorosi applausi sono stati tributati a tutti gli interpreti.